Editoria Verbanese - Pubblicazioni, Periodici & Bollettini

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Articolisti:: [Anonimo],
Autore poesia: Fara, Alberico

Titolo Articolo:: Poesia opportuna [”Al Redentore” di A. Fara - 1885]

SottoTitolo Articolo:

Testata ospitante l'articolo:: Il Bescapè

Data:: 1885 apr 03

Progressivo di Edizione:: a. 04 (IV), n. 14

Editore:: Tipografia Vescovile dei Fratelli Miglio

Luoghi di residenza del Giornale:: Novara

Riferimento a Biblioteche:: Novara, Biblioteca Civica Negroni

Note Generali:: Poesia opportuna
Pubblichiamo di buon grado le seguenti terzine gentilmente trasmesseci, come quelle che, oltre agli incontrastabili pregi intrinseci di cui vanno adorne, hanno una opportunità speciale
Ché son questi «i dì santi ed amari
I dì quando il fedele si atterra
Ripentito agli squallidi altari»
(Berchet)

Al Redentore
Iddio vedendo ad ogni colpa rotta
Strisciar nel fango la progenie d’Eva,
Dall’angue astuto a perdizion condotta,

A fecondar d’Israel scendeva
Il Vago Fiore e, sotto forma umana,
Alla divina sua mission correva.

Ma invan della calunnia, o Farisei,
Andaste armati alla tenzon più fella,
Lo tormentaste invan crudi Giudei;

L’uomo uccideste, ma la sua suggella
Alta mission l’Emanuel, che muore,
E sillaba di Dio non si cancella!

E chi ridir, chi mai ridir l’orrore
Della Vostra Passion, Cristo, potrìa?
Chi lo strazio narrar del Vostro Core?

Chi le lagrime dire onde Maria
Fe’ molle di Solima crudele?...
E chi l’infamia della colpa mia?

Sì, della colpa mia! L’amaro fiele
Al labbro io pure presentai di Cristo,
Quando accolsi il pensier dell’infedele;

Anch’io tentai di catturarlo, ahi! Tristo,
Mentre per me Egli pregava all’orto,
Anch’io ridendo a spasimar l’ho visto;

Di spine io pure e di flagelli ho pôrto
Il manipolo mio col mio peccato,
Le vestimenta io pur giocai del Morto.

E se il popl di Sion venne segnato
Nel libro della giusta ira celeste,
Oh! Quale fia a me il destin serbato?

Dei carnefici Vostri, oh! Ben diceste
Ciò che fanno non sanno ed Io perdono,
Ma parlare di me tal Voi poteste?

Vi conosco, o Signore, udito ho il suono
Degli oracoli Vostri e mi svelaro
Delle infinite Vostre grazie il dono.

E io peccai… i sensi vagheggiaro
Larve di gloria, effimeri piaceri
E l’intelletto e il cor s’ottenebraro;

S’ottenebrar così, che i santi veri
Più non appresi, e barcollando andai
Della colpa pei lubrici sentieri.

Non più la prece al mio Signor levai,
Incredulo mi feci, e la codarda
Mano io pur sul Redentore alzai.

Oh! Perdono, perdon! Or la bugiarda
Larva che bella la mia colpa fea
Cadde e il ritrono a Voi Signor mi tarda;

Mi tarda di lavar l’anima rea
Di mille errori, e a Voi Nume pietoso
Levar la fronte che nel fango avea.

E quando l’ora del fatal riposo
Suonerà per la mia umile creta,
Fate che mondo d’ogni fallo ascoso

S’alzi lo spirto a Voi ultima meta!

Alberico Fara
Cannobio, marzo 1885.

A Cura di:: [Sergio Monferrini]

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