Capo XI
Si cerca di stabilire approssimativamente
dove esistesse il Locarno diverso dall’ attuale.
Trovato un Locarno diverso dall’attuale nello stesso contado di Stazona, è ora a ricercare il luogo di sua esistenza almeno approssimativo, giacché non possiamo sperare di darne uno preciso. Questo nome nella contrada, nella quale dobbiamo cercarlo, è totalmente scomparso,1 e la Terra da esso designata col processo de’ tempi deve avere mutato nome. Nella storia de’ luoghi queste vicende non sono nuove, né sarà per questo che alcuno ne faccia le meraviglie.2 Ciò premessa veniamo alle altre carte, che proseguono secondo l’ordine de’ tempi le memorie del nostro Locarno.
Queste sono due, l’una del 15 gennaro 998, e I’altra del 1 novembre 1001, pubblicate amendue dal Muratori nelle sue Antichità del medio evo (T. 8, p. 355 e seg. e T. 10, pag. 73 e seg. della citata edizione), e la prima anche dal co. Porro nel Codice sopra lodato al n. DCCCCXL. Tutte e due queste carte si riferiscono ai medesimi luoghi e si danno luce a vicenda. Ecco in breve la storia che se ne può trarre a dilucidazione del proposto argomento.
Liutfredo vescovo di Tortona possedeva una grande quantità di beni e di terre, la maggior parte delle quali erano intorno al Lago Maggiore. Aveva egli avute queste cose in retaggio dalla madre sua Bertani (altri leggono Betane); ma, non si sa bene quando e in che modo, erano state a lui usurpate da certo Riccardo e da Walderara (o Waldrada) sua moglie. Il Vescovo per ricuperarle ricorse all’Imperatore Ottone che allora trovavasi nel suo palazzo in Pavia. Quivi dunque si trattò la lite alla presenza di esso Ottone, e non essendovi altro mezzo per venire in chiaro del legittimo possessore, questi propose alle due parli di decidere, secondo la consuetudine di quei tempi, la causa con un duello per compromesso. Accettata da ambo le parti la sfida, vennero a singolare tenzone per quella del Vescovo il suo avvocato, e per l’altra lo stesso Riccardo in presenza dell’Imperatore medesimo. L’esito della pugna diede vinta la lite al Vescovo, il quale, ritornato per questo mezzo in possesso de’ suoi beni, qualche tempo dopo ne vendette una parte ad Ottone duca, figli di Conone3 e l’altra donò all’Imperatore in benemerenza della lite da questo decisa in suo favore, ossia, come dice il diploma, pel retto giudizio da lui pronuncialo tra i due contendenti (propter rectum iudicium, quod fecimus!). L’Imperatore però non ritenne il dono per sé, ma lo regalò al monastero detto della Regina in Pavia. Tutto questo rilevasi appunto dalle due carte accennate, la prima delle quali è lo strumento di vendita fatta dal Vescovo al suddetto Duca e la seconda il diploma di Ottone Imperatore a favore delle monache di quel monastero. Ne riferiremo qui in nota le parti che più ci possono interessare. 4
Quello poi che anzi tutto giova osservare in questa divisione è il modo col quale fu fatta; poiché in luogo di eseguirsi per equivalenza di valore, si procedette alla materiale divisione delle case e delle terre in natura cedendo una parte di esse all’uno e l’altra all’altro per forma, che entrambe le parti si trovassero posseditrici a metà degli stessi fondi e delle medesime terre, che poi in sostanza non erano che una metà esse stesse di tutto l’intero. Questo spiega come in tutte due le carte si trovino i medesimi nomi delle terre e delle corti, nelle quali erano i detti beni. La qual cosa è in pari tempo la prova più eloquente della misera condizione di questi tempi.
Inoltre è a notare che nell’enumerazione delle terre e dei fondi non si tenne in amendue le carte il medesimo ordine. Nella prima, limitando il discorso a soli que’ luoghi che ci in-teressano, sono così indicati: in loco fundo ubi dicitur Castro Insula, qui nominatur maiore infro laci maiore … in vicis et fundis Strixia, Bavena, Cariciano et de castrum inibi constructum, qui clamatur LEXA LEOCARNI. Nella seconda all’incontro si legge: Castro Insula, que nominatur maiore infra lacum maiorem, LEXA, Valle, Summovico, Strixsia, Bavena, Cariciano, LEOCARNI.
Lasciamo l’Isola Maggiore che già conosciamo, e Stresa, Baveno e Carciano, delle quali parlerò poi, e restringiamo le nostre considerazioni ai soli due nomi LEXA e LEOCARNI.
Appena è necessario avvertire che niuno degli scrittori delle cose nostre ebbe il minimo sospetto che il Leocarni qui ricordato possa essere diverso dall’attuale Locarno, e che in questa persuasione non si diedero alcun pensiero di fare ulteriori ricerche; mentre un attento esame di queste carte li poteva condurre ad una conclusione affatto contraria, come or ora vedremo.
Incominciamo dal considerare in che maniera si devano distinguere i due nomi suddetti. V’ha chi li legge in modo che I’uno sia pertinenza dell’altro, cioè Lexa Leocarni, o lexa Leocarni. In questa seconda maniera lesse il Nessi (l.c., p. 43) intendendo nominato più pienamente così il Castello del suo Locarno (et de castrum inibi constructum quod clamatur lexa Leocarni). In tal caso lexa è vocabolo comune, il quale variamente scritto lexa, lesa, leza, lexia, lesia nelle antiche carte citate dal Ducange significherebbe luogo vacuo, area, campo, nel quale si può edificare qualche cosa. Ma questa lezione non si può ammettere per la ragione che nella seconda carta questi due nomi si leggono separati l’uno dall’altro, e il primo qual nome proprio di luogo. È dunque necessario di leggere o scrivere non lexa Leocarni, ma Lexa Leocarni.
Però anche in questo modo può essere doppia l’intelligenza, o di un luogo solo cioè, così chiamato con due nomi, il primo de’ quali sia compimento dell’ altro, o di due luoghi diversi, l’uno de’ quali non dipenda punto dall’altro. In questo secondo modo sembra sia stato inteso dal co. Porro: il quale separandoli con una virgola legge Lexa, Leocarni; mentre dal Giulini fu scritto Lexa Leocarni. La seconda delle nostre carte da ragione in apparenza al primo, mentre credo che l’altro modo di leggere abbia per sé un fondamento maggiore di vero, purché s’intenda sempre di due luoghi bensì diversi, ma dipendenti l’uno dall’altro.5
Frattanto notiamo che in qualsiasi modo si leggano questi nomi, viene sempre ad escludersi, che il Leocarno della nostra carta sia il Locarno attuale, sì perché questo non si trova mai nominato col titolo di Lexa Leocarni sì perchè l’attribuzione del Castello non è data al Leocarni, ma al Lexa, sì perchè questo stesso Castello si dice INIBI, cioè in quel luogo, ossia in quei dintorni, constructum, che c’impedisce di pensare al Locarno le tante miglia distante, sì finalmente perchè la seconda delle nostre carte nominando i luoghi dì Lexa e di Leocarni in separato, tuttavia li pone insieme cogli altri ad essi vicini Strixsia, Bavena, Cariciano, Leocarni. La dimostrazione a me pare evidente, né so argomentare, quale seria obbiezione se le possa opporre.6
Escluso pertanto che il Leocarni delle nostre carte sia il Locarno attuale, ma sì in quella vece un luogo similmente così chiamato (di che non è punto a maravigliare, innumerevoli essendo gli esempi che si potrebbero addurre in confermazione) e non lontano da Lexa, che indubiamente è la nostra Lesa, mi pare che si abbiano con ciò stesso dei dati sufficienti per chiarire almeno approssimativamente anche la sua posizione.
È di vero si richiami ora in aiuto delle carte presenti anche quelle che abbiamo esaminate nel Capo precedente, e si pongano a confronto tra loro; e si vedrà, come nominando queste un Leocarni insieme con Massino, e le nostre nominandolo insieme con Stresa, Baveno e Carciano ed anzi la prima di esse con Lesa così prossima a Massino, e in modo da formare di Lesa una dipendenza di Locarno (Lexa Leocarni), si vedrà, dico, non essere longi dal vero, chi ne argomentasse per questo l’esistenza in prossimità di Lesa e forse tra Lesa e Massino o certo in que’ dintorni.7 Egli sarebbe condotto a questa conclusione anche dal considerare che niuna memoria di Lesa si trova anteriore a queste carte, mentre ne abbiamo parecchie di Leocarno; laonde pure potrebbe credersi che il Castello di Lesa costruito sulle sponde del nostro Lago sia stato così chiamato, perchè posto nel territorio di esso Locarno (castrum inibi constructum, qui clamatur Lexa Leocarni).
Come poi sia avvenuto, che la memoria di questo Leocarno sia scomparsa tra noi, non saprei dire. È assai probabile, che Lesa come luogo fortificato abbia esercitata una maggiore influenza e che a poco a poco sia giunta a soppiantarlo del tutto per forma, che di esso siasi in fine perduta ogni traccia, come avvenne di tanti altri luoghi, dei quali, memorabili un tempo, si ignora tuttavia di presente il sito preciso della loro esistenza.8 Ma basti su questo: forse nuove carte, che si verranno a scoprire, o nuove indagini, potranno meglio chiarire la cosa che certo non è, nè può essere senza importanza pei luoghi del nostro Lago.
1 Sulla riva destra della Sesia a poche miglia da Varano esiste un Locarno, ma questo non può essere il ricercato da noi: è tuttavia anch’esso una prova evidente dell’esistenza in codeste parti di più luoghi chiamati col medesimo nome.
2 Darò tuttavia un esempio anche di questo, tolto in casa, come suol dirsi. In una carta dell’anno 1033 pubblicata la prima volta dall’illustre Cav. Carlo Morbio nel Codice Diplomatico, che soggiunse alla sua Storia della città e diocesi di Novara, Milano, 1841 in 8.vo picc. sotto il n. XIV, p. 320-322, e che contiene la donazione fatta dai coniugi Ainardo e Maria alla chiesa di S. Giuliano costrutta infra castro Gaudiano, oggi Gozzano, di una pezza di terra, cosi tengono designati nel bel Latino di quei dì i confini di questa:
Pecia una de terra aratoria iuris nostris iugalibus, quas abere visi sumus in loco et fundo Olegio qui dicitur Paruciaro, et iacet a locus, qui dicitur in Coreclo: est per mensura iusta perticas iugealis duas: coerit ei de una parte terra Sancii Graciniani, de alia parte terra Sancte Marie de Masino, de tercia parte terra Adami, de quarta parta terra Raprandi, sibique alii sunt coerentes etc. — Infine si legge Actum suprascripto loco Olegio qui dicitur Paruciaro feliciter — Certamente quando fu fatta questa donazione i limiti qui descritti erano conosciuti da tutti, ma al giorno d’oggi, se si eccettuino alcuni nomi, chi potrebbe dire dove esistesse precisamente quella pezzo, e come si chiamino ora il luogo qui dicitur in Coreclo, la terra Sancti Graciniani e la terra Adami e la terra Raprandi? — Non lascierò inoltre di notare, data occasione, che il luogo ora chiamato Paruzzaro sembra, che in quell’epoca fosse detto Olegio e che per distinguerlo dall’altro Olegio vi-cino, questo si chiamasse Olegio Castello e quello Olegio Paruciaro. Da ciò anche verrebbe che Olegio fosse piuttosto nome comune, anzichè proprio in quei tempi. La formola poi Olegio qui dicitur Paruciaro trova un riscontro in altra carta del 1044 presso lo Zaccaria (dei SS. MM. Fedele, ecc. p. 117), nella quale l’altro Olegio è così designato: De loco Olegio, qui dicitur Langobardorum.
3 Questo Conone od anche Corrado (Chuno, Cono e Conradus sono nelle antiche carte lo stesso nome) era duca di Lorena della stirpe di Corrado l, re di Germania ed aveva in moglie Liutgarda figlia di Ottone il Grande. Ebbe egli da questa l’Ottone suddetto, duca di Carintia e Marchese della Marca di Verona nell’anno 994, il quale fu padre di quattro figli, uno de’ quali fu Brunone, creato poi papa sotto il nome di Gregorio V nel 995.
4 Dalla carta di vendita del 15 gennaro 998 si ha: Constat me Liutefredus episcopus sancte Terdonensis Ecclesie, qui professo sum ex nacione mea legem vivere Langobardorum, accepisse, sicut et presencia testium accepi ad te domnus Otto dux filius bone memorie Cononi argentum denarios bonos libras trecenti finitum precium pro medietate de duas porciones de corte una (e qui si descrivono i fondi venduti de’ luoghi che non ci appartengono, indi passa a descrivere quelli presso le sponde del nostro Lago). Verum etiam medietatem de duas portiones de casis et rebus illis et de seruis et ancillis, aldiones et aldianas, seu capellis inibi abitantibus vel exinde pertinentibus, quibus esse videntur in loco et fundo, ubi dicitur Castro Insula, qui nominatur Maiore infra laci maiore et de casis et rebus territoriis servis et ancillis, aldiones et aldianas inibi abitantibus et exinde pertinentibus quibus esse videntur in vicis et fundis Strixia, Bavena (così), Cariciano et de Castrum inibi constructum, qui clamatur Lexa Leocarni cum domui coltilem, seu de casis ei massariciis et omnibus rebus sive capellis ... atque medietatem de corte una in loco et fundo Stazona … qui fuerunt iure et proprietatem quondam Bertani, que fuit genitris mea, nominative ipsa medietate ex ipsas duas portiones de suprascriptas cortes et ecclesias seu capellas atque de casis et mas-sariciis universisque rebus seu servis et ancillis, aldiones et aldianas inibi abitantibus et exinde pertinentibus, unde inter me, quem supra Liulefredus episcopus et Richardus seu Walderada iugalibus intencio fuit et ipsa intencio definita fuit per pugna inter meus avocatus et predictus Richardus in presencia predicti domni Ottoni imperatori in palacio eius Ticinensis, omnia ipsa mediatas in integrum etc.
Dall’altra carta poi, cioè dal diploma dell’imperatore Ottone del 21 novembre 1001, togliamo il seguente brano pel necessario confronto.
Con esso Ottone dichiara: Monasterio Domini et Sancti Salvatoris, quod dicitur Regina… dedimus et confirmamus medietatem de duabus partibus ex castellis vel cortis seu villis cum aldiis utriusque sexus atque cum omnibus pertinentiis nomina quorunt vel quorum haec sunt. Quoronate, Castronovo, Rocco, item Coronatem et Castro Insula, que nominatur maiore infra Lacum Maiorem, Lexa, Valle, Summovico… Sparoaria, Strixsia, Bavena, Cariciano, Leocarni, Yerveiam de duabus portionis medietate, scilicet de casis et tribus capellis… item alia curte que dicitur Stazona, seu Castelli et Paniano cum servis et aldiis utriusque sexus, que omnia dedit et concessit nobis Liutefredus Terdonensis episcopus de hoc, quod omnipotens Deus sibi concessit victoriam, nec non propter rectum iudicium, quod fecimus inter eum et Richardum atque Walderadam ex iam prenominatis rebus. Unde haec omnia in omnibus ad utilitatem donamus, ad victum scilicet et usum Monacharum etc.
Anche il Giulini parla di questo diploma (P. III, p. 17 e seg.) e conviene che i nomi dei luoghi qui ricordati sieno i medesimi con quelli della prima carta, salvo alcune leggere modificazioni, ma non vi fa sopra alcuna considerazione, e molto meno un opportuno confronto tra quelli dell’una e quelli dell’altra che gli poteva dar luce.
5 È poi da avvertire che per Lesa questa è la prima certa memoria, che si ha della sua esistenza, non potendosi prestar fede veruna alla carta del 21 marzo 880, nella quale si legge che Carlo il Grosso dona alla Basilica di S. Ambrogio di Milano tres mansos a Lesa cum omnibus suis adiacentiis et pertinentiis, poiché questa carta, tuttoché si dica veduta dal Calco, è giudicata falsa dal Muratori e dal Giulini (P. I, p. 405).
6 Con questo poi si scioglie anche la difficoltà che si propose, ma non seppe risolvere il benemerito Nessi, che scrisse alla pag. 43: «Se non che non può comprendersi, come otto anni dopo il rilascio di questo diploma (cioè di quello del 988, di cui abbiamo fatto parola di sopra) rinvengasi una carta riportata dal Muratori e dal Giulini di vendita fatta da Liutfredo Vescovo di Tortona al Duca Ottone… di molte Terre… fra cui il castello di Locarno… e quello che più sembra strano si è che Liutfredo soggiunge che quei beni erano altra volta di Betana sua madre». La difficoltà proposta dal Nessi ora è sciolta del tutto colla distinzione di un secondo Leocarno, per la quale sono rese conciliabili più carte, che pareano fare a cozzi tra loro.
7 Esistono nel territorio di Villa Lesa oggi ancora i ruderi di un antico castello, a quanto appare, assai vasto, sulle sponde del Lago, nel luogo ch’è segnato sulla carta pubblicata dal Maggi col nome, non so per qual ragione, di Castello delle Monache. Questi ruderi di proprietà della mensa arcivescovile di Milano sono passati, non è gran tempo, in proprietà dell’ Avv. Francesco Conelli de Prosperi Senatore del regno. Non ho trovato esaminando attentamente que’ miseri avanzi alcun indizio della sua età, od altra cosa che mi potesse aiutare ad una identificazione col castello in discorso: e sebbene l’animo inclini a crederlo tale, non oso tuttavia di asserirlo, e di buon grado rimetto ogni giudizio a chi meglio di me si conosce in questa materia; tanto più che in Lesa stessa v’hanno similmenti tracce di altro antico castello, che potrebbe contendere per se l’identificazione proposta.
8 Acciocchè poi non faccia difficoltà l’uso invalso in questi tempi: di donare la metà di una terra, corte o castello ad uno, e l’altra metà od anche meno ad un altro, è bene che il lettore sappia, che trattandosi di beni allodiali, secondo le leggi longobardiche, e nel caso nostro si tratta appunto di proprietà longobarda, tanto i figli che le figlie legittime succedevano egualmente al padre; di che avveniva che i beni individui, come le chiese, castelli, corti, case, selve ecc. avessero più padroni e che talvolta crescesse la divisione nei figli de’ figli in tal maniera, che un podere o castello o terra qualunque venisse ad essere divisa perfino in venti e più parti. — In uno strumento del Monastero della Cava dell’ anno 1094, citato dal Muratori nella sua Dissertazione XI (p. 173, ediz. di Milano), Gisolfo figlio del fu Giovanni conte offerì de’ propri beni in dono a quel sacro luogo de duodecim partibus integras duas partes. Andando poi innanzi troveremo ancora qualche altro esempio.
- A Cura di:
- [Gioacchino Civelli]
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