STRUMENTI CULTURALI

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Elenchi di funzionari e cariche pubbliche in «MASSINO VISCONTI»

Denominazione:
Massino Visconti
Breve Abstract:
V. De Vit, Il Lago Maggiore...: Cap. 13 - Massino Visconti
Abstract:

CAPO XIII


Delle antiche memorie di Massino all’ epoca dei Carolingi
e vicende della sua abbazia.

Nelle carte sin qui esaminate abbiamo veduto fatta soventi volte menzione di Massino: ora è giusto, che qui parliamo pure, di esso in particolare; poiché riunendo insieme i brevi cenni qua e là trovati, è forse questo il luogo, dopo Stazona ed Angera, che presenti tracce maggiori di antichità.
E certo ch’esso fosse luogo abitato all’epoca della dominazione romana in queste nostre contrade, ce lo insegnò un sarcofago ivi scoperto (vedi sopra, pag. 107). È poi tradizione, che ivi ancora esistesse un tempio pagano sacro a Giove, i cui ruderi furono già da gran tempo scoperti con un’ara dedicata a questa divinità.(1)
Ed è fama, che questo stesso tempio sia stato da Desiderio, re de’ Longobardi, purgato e ridotto a forma di tempio cristiano e dal medesimo anche dedicato a Maria sotto il titolo della Purificazione (vedi sopra, pag. 165). Né credo andar lungi dal vero nel ritenere che esso sia quel medesimo, del quale è memoria nella carta già citata del 1035, e dal quale sin da quel tempo il nostro luogo ebbe il nome di terra di S. Maria di Masino seconda il lodevole costume non infrequente a giorni di denominare il proprio paese dal santo suo titolare.2
Consta poi dai Documenti sin qui veduti che Massino era corte, e che come tale fu donata dall Imperatore Lodovico II a sua moglie, l’angusta Angilberga, nell’anno 863, e confermata dopo la morte di esso dai suoi successori Carlo il Grosso coi diplomi accennati dell’880 e 882, e Berengario dell’anno 888. Sembra anche, che Angilberga abbia ottenuto questo dono in piena sua proprieta, poiché si trova, che nel suo testamento dell’anno 877 dispone liberamente di esso a favore del monastero di S. Sisto di Piacenza da lei fondato.
Gioverà anzi tutto recare intero il brano di quel testamento relativo alla nostra corte.

Offero insuper et confirmo cortes meas in Comitatu Stationensi, id sunt Cabroi et Maxina ad usum et perpetuam possessionem eiusdem venerabili loco habendas, eo videlicet ordine, ut in predicto loco Masini3 ad ecclesiam sancte genitricis Marie foris porte constructam decem monachi vel canonici excubare debeant et exorare iugiter pro remedio anime sepedicti gloriosissimi domini et senioris mei et mercede mea. Et dicti ei ab abbatissa (del monastero di S. Sisto suddetto) que pro tempore fuerit per annum convenientia subsidia in alimentis et vestibus seu reliquis corporis accessitatibus.

Questo testamento fu fatto da lei confermare anche dal Pontefice allora regnante Giovanni VIII, del quale abbiamo ancora il decreto perciò emanato il 1° agosto 877 e pubblicato nel Codice diplomatico le tante volte citato sotto il n. CCLXXII.
Più cose rileviamo da questo brano meritevoli di essere dilucidate. Apprendiamo anzi tutto da esso l’esistenza di una chiesa in Massino con annesso Monastero o Canonica, e dicendosi che quella Chiesa era costrutta fuori della porta (foris porte) che Massino era anche luogo cinto di mura e fortificato: e di più che quella Chiesa era inoltre distinta da un’altra egualmente di S. Maria, la quale dovette essere nell’interno del paese. Consta di fatti, dalle informazioni prese che la Chiesa od Oratorio, che esiste tuttora in capo al paese e sulla strada che conduce a Brovello, e e chiamato oggidì della Madonna di Loreto, sia di un’antichità assai remota. Consta di più che che ivi appresso era anche un antico monastero o Convento, ora ridotto ad uso di privata abitazione, ma dagli aibitanti chiamato anche adesso col nome di casa dei frati. Questa dunque secondo ogni apparenza, sarebbe l’indicata nel testamento di Angilberga.
Dubito tuttavia che ivi si parli di essa, poiché dopo tanti secoli i paesi hanno mutato faccia, ed è assai più probabile, che in quei tempi fosse fuori delle mura la Chiesa principale, e dentro al castello la minore. Opino pertanto che la Chiesa intesa da Angilberga quella stessa, che fu costrutta dall’ultimo re de’ Longobardi, al quale si attribuisce anche la fondazione dell’annesso monastero, la cui esistenza verrebbe per ciò stesso appieno confermata.
Forse quel monastero ai tempi di detta Imperatrice era grandemente decaduto, ed ella pensò di rimetterlo in fiore fissando il numero de’ monaci, che vi dovessero abitare e provvedendo alle loro necessità. Si chiederà però qui, perché Angilberga nel suo testamento gli abbia chiamati monachi vel canonici.
È questa la prima volta, secondo l’ordine de’ tempi, che mi occorre di trovar memoria di canonici sulle sponde del nostro Lago. Devo dire per altro, che non è tuttavia ben chiaro se qui si parli di canonici propriamente detti, e che fossero da sostituirsi ai monaci, nel caso, che questi non potessero o non volessero abitare colà, ovvero dei monaci stessi, ad un medesimo tempo anche canonici, essendo proprio egualmente del loro istituto di cantare in coro dì e notte il Divino ufficio. Comunque sarà sempre utile il sapere, che appunto in quell’epoca furono ad imitazione di essi monaci, se non introdotti, giacché pare più antica la loro istituzione, certo più ampiamente propagati e diffusi i collegi canonicati, annessi a principio alle chiese cattedrali e viventi ad una mensa comune con redditi proprii; e ciò per opera specialmente di Lodovico il Pio, il quale nel 816 fece adunare in Aquisgrana un concilio di Vescovi e di Abati allo scopo altresì, che da questi fosse estesa per essi un apposita regola, non meno che per le cure di Papa Eugenio II nel Concilio da lui tenuto l’anno 825. È facile quindi argomentare come Angilberga sia potuta venire in questo pensiero di procurare anche all’abbazia di Massino datale in proprietà, insieme colla sua corte un collegio canonicale obbligando per questo l’abadessa pro tempore del monastero di S. Sisto di Piacenza di somministrare ad esso il bisognevole alla sua sussistenza. 4
Ma se non si può muover dubbio sull’esistenza dei Monaci in Massino, si potrebbe però porre in dubbio l’esecuzione del testamento di Angilberga. Egli è vero, che questo fu posteriormente anche approvato e confermato, benché in generale e senza indicare i nomi particolari dei luoghi, da Papa Adriano III con sue lettere apostoliche del 17 aprile 885 (vedile nel Cod. Dipl. cit. al n. CCCXXVIII) ma è vero altresì, che dopo dell’anno 882, ch’è la data del diploma di Carlo il Grosso a lei in conferma delle donazioni ricevute, non si fa più memoria di Massino nelle carte di sua spettanza, eche anzi Ermengarda sua figlia l’anno appresso alla morte di lei nella sua carta del 30 novembre 890 (ivi, n.° CCCXLV), colla quale fa donazione di molte sue corti, una parte delle quali certamente le vennero in retaggio dalla madre, osserva il più perfetto silenzio sull’abbazia e sulla corte di Massino. E dirò ancora di più, che nel diploma di Ottone I Imperatore del 6 febbraio 952 (ivi, n.° DXCVIII) a Berta badessa del monastero di S. Sisto, mentre le conferma molti doni fatti al suo cenobio anche da Angilberga, tace egualmente della corte di Massino. Che ne avvenne dunque di questa dopo l’anno 882?
Molte conghietiure certo si potrebbero porre in campo per ispiegare il silenzio delle carte posteriori al detto anno dall’una parte e le ulteriori notizie, che abbiamo dall’ altro di Massino e della sua Abbazia da fonti molto diverse, e le quali ci manifestano, che il testamento di Angilberga almeno per questa speciale disposizione, checché ne dicano altri, non ebbe la sua piena esecuzione: reputo però miglior consiglio l’attenerci ai fatti, senza entrare nelle ragioni dei medesimi quando non si hanno sicuri elementi su cui poggiare.
Consta di fatto per l’autorità di Ratperto monaco di S. Gallo e contemporaneo o certo vicinissimo a questi tempi, che l’Abbazia di Massino era già nell’anno 883 posseduta, qual beneficio dal Vescovo di Vercelli Liutwardo, arcicancelliere dell’Imperatore Carlo il Grosso, senza che se ne sappia d’altronde da chi l’abbia avuta.5 Questa notizia è pienamente confermata anche dalla Cronaca di S. Gallo d’ignoto autore, della quale un brano relativo è presso il giureconsulto Francesco Campana nella sua Opera sui Monumenti di Somma, 6 e non è punto contradetta dalle carte che noi abbiamo sin qui esaminate e prima e dopo quest’epoca, e sostenuta al contrario da più altri scrittori, sebbene sia acremente impugnata dal nostro Giulini, il quale ignorava del tutto queste due cronache. 7
Seguono poscia queste a narrare, che l’Imperatore Carlo il Grosso in quell’anno stesso 883 ad istanza del medesimo Vescovo Liutwardo, donò l’Abbazia di Massino al monastero di S. Gallo a condizione però che il detto Vescovo ne godesse l’usufrutto vita sua naturale durante, e pagasse frattanto un annuo canone a quel monastero: condizione che fu accettata e firmata d’ambe le parti. 8 Soggiunge poi l’altro Cronista presso il Campana, che morto Liutwardo l’Abbazia di Massino passò di fatto in potere dei Monaci di S. Gallo intorno all’anno 900 per beneplacito eziandio di re Berengario.
Non è del mio scopo l’approfondire più oltre questo argomento, o né anco di proseguire il racconto delle ulteriori vicende di questa Abbazia, che il lettore volendo potrà apprendere dallo stesso Cronista qui in nota9 e solo soggiungerò a conclusione di questo capo ch’è dovuta ai monaci di Massino l’erezione eziandio dell’eremitaggio sul monte, che le sta sopra, con più cappelle, dalla principale delle quali, dedicata al Ss. Salvatore, esso monte ricevette in appresso il nome di Monte S. Salvatore, divenuto in breve famoso nelle regioni contermine del nostro Lago, come avremo occasione non molto di dichiarare.




1 Questa tradizione fu anche raccolta dal Mommsen nel citato volume V del Corp. Inscr. Lat. sotto il n. 6657, che qui riproduco: «Stemma gentilicium Marchionis Theobaldi Vicecomitis, etc. (Mediolani, 1654 apud Io. Ambrosium Sirturium) Parte II, n. 49 habet haec: Oppidum [Maximi = Massino] fuisse antiquissimum hoc salis indicatur templo quadratis ibi lapidibus quadrata forma constructo et Iovi Maximo, ex ara marmorea ibidem reperta, dicato, in cuius vestibulo etiam Valeria Caii Cassii uxor marmoreo sarcophago Romanis caracteribus inscripto tumulata fuit.

2 Da ciò è anche facile argomentare che questa chiesa dovette essere l’antichissima parrocchiale del luogo, constandoci d’altronde, che la Chiesa di S. Michele. che le fu sostituita, fu edificata, come Si crede da Ottone Visconti nel 1111 (v. il Cotta nel Comment. al Maccagno sotto Massino), e servì come tale fino al 1585, nel qual’ anno per una frana precipitata dal monte avendo sofferto de’ forti guasti minacciando rovina fu abbandonata, e si ritornò ad ufficiare la Chiesa primitiva della puritificazione già da oltre un secolo ristaurata ed ampliata. Della Chiesa di S. Michele non sussiste ora che il campanile.

3 Masina, sottintendi corte, e Masino sono qui scritti con semplice s. Questa scrittura è confermata anche dall’altro documento del 1033 riferito di sopra . Generalmente però nelle antiche carte si trova scritto Massino con doppia s, e qualche volta anche Maximum o Maximum. Oggidì si usa scrivere dai più Massino, anche per distinguerlo da uu altro Masino, ch’è nel Piemonte.

4 Confesso di non saper comprendere come il co. Giulini, il quale alla pag. 372 della Parte I delle sue Memorie fa espressa mensione del testamento di Angilberga e ne commenta una parte, abbia poscia potuto asserir francamente e senza il menomo dubbio nella P IV delle medesime p. 400, che «questa abbadia da Massino è tutt’affatto ignota, né se ne trova alcuna autorevole memoria». Convien dire che si sia dimenticato di questo documento o non l’abbia letto intero!

5 Scrisse Ralperto una cronaca o libro col titolo: De origine et diversis casibus monasterii S. Galli in Alamannia che fu pubblicato con più altri intorno al medesimo argomento dal Goldast nell’opera Rerum Alamannorum Scriptores, Francofurti, 1661, fol.

6 Monumenta Summae locorumque circumiacentium, Mediolani, 1784, in 8vo.

7 Tra gli scrittori che avevano affermato quello stesso, che le Cronache di S. Gallo, almeno nella sostanza, sono da annoverarsi Tristano Calco ed il Biffi; ma il Giulini, che aveva precedentemente negato l’esistenza di un’Abbazia in Massino, chiama poco sicura la relazione del primo e infedeli i diplomi di Corrado e dell’abate di S. Gallo presso il secondo, e tali, egli scrive, che sarebbe tempo perduto il volerne dimostrare la falsità (vedi Parte V, p. 400). Dobbiamo dire tuttavia a favore del Giulini, che quanto al Biffi, il suo nome è assai pregiudicato per aver dato ricetto nella sua opera sulla famiglia Visconti (Generosa Vicecomitum etc.) a molti documenti falsi o interpolati ma non quanto a Tristano Calco, la cui storia è certo assai commendevole.

8 Ecco il testo di Ratperto nel capo X, p. 10 dell’opera citata: «Rogante Hartmoto - così chiamavasi l’abate di S. Gallo di quel tempo - et efficiente Liutwardo episcopo atque archicancellario Imperatoris, quamdam ABBATIOLAM in Italia sitam oleorum et vinearum feracem (quam tunc idem Liutwardus in beneficio habebat), cui nomen est MASSIN (così), ad monasterium S. Galli imperatoria auctoritate contradidit (Carlo il Grosso), eo quoque pacto, ut idem Luitwardus (così è scritto qui il suo nome) tempore vitae suae sub usufructuario ipsas res possideret, censumque de ipso loco sicut ipse contradixit, singulis annis ad monasterium praedictum persolveret, hoc est vel VI languenas (leggi lagenas) de oleo, vel LX solidos de argento. Post obitum vero Liutwardi ipsae res sine ullius conditione perpetualiter ad bis pertinerent monasterii, cuius rei carta protinus firmissime sua auctoritate est scripta. Atque firmata atque ipso imperatore iubente super altarium S. Galli est posita, ubi HODIE Deo volente, cum pace tenetur»

9 L’intera narrazione del Cronista di S. Gallo riferita dal Campana, il quale descrive di averne ricevuto l’estratto trasmessogli cortesemente dal Principe di S. Gallo, è la seguente (op. cit. p. 21): «Carolus Crassus in monasterium nostrum munificentissimus, ad preces Liutwardi Vercellensis episcopi Vice-Cancellari (così) sui iam anno DCCCLXXXVII S. Gallo tradidit abbatiam Massinensem olei vinique feracem, ea tamen conditione, ut Liulwardus episcopus, qui eamdem in beneficium habebat, quoad viveret, eius usufructu potiretur, sub certo tamen annuo canone Monasterio S. Galli persolvendo, quo defuncto tota abbatia ad S. Gallum devolveretur. Itaque mortuo Luitwardo, Berengarius ltaliae rex praedictam abbatiam cum omnibus iuribus et appertinentiis suis Salomoni abbati et per eum Monasterio nostro re ipsa tradibit atque in perpetuum transcripsit anno Christi nongentesimo.
Permansit deinceps in S. Galli iuribus ac possessione praedicta Abbatia, donec Warnherus abbas a. MCXXIX sub certis conditionibus annuaque pensione Monasterio persolvenda eandem Vidoni, Vicecomiti Mediolanensi tradidit. Sed cum postea haec transactio per Guidonem eiusque heredes non observaretur, dicta Abbatia postliminio ad S. Gallum rediit. Ergo S. Gallus iterum Massinum tenuit, donec Henricus II S. Galli abbas circa annum MCCCXI ipsis loci indigenis iura Maxinensia (così) denuo concessit, imposito certo censu annuo propriis illorum sumptibus quotannis ad S. Gallum deferendo. Nec tamen diu ab incolis pactum servatum est. Itaque legimus adhuc Georgium abbatem nostrum anno MCCCLIXXXXI Massino procuratorem dedisse. Sed enim cum postea collaberentur res S. Galli, etiam Massinum iniuria temporum amissum est.

Gothardus»

Exscripta ex Chronico S. Galli
T. VI, lib. XVI, cap. XV.

Per amore del vero devo anche aggiungere, che nelle altre Cronache pubblicate dal medesimo Goldast nell’opera sopra citata, non si fa più menzione alcuna dell’Abbazia di Massimo, né anco del Burkardo monaco di S. Gallo là dove parla in particolare dell’abate Werinhero o Wernhero nel suo libro similmente intitolato: «De casibus monasterii S. Galli» al cap. IX. Tuttavia dalla condotta, secondoché egli stesso narra, poco lodevole di questo abbate, potrebbe anche essere avvenuta la cessione sotto di lui della nostra abbazia alla famiglia Visconti. Ma basti su ciò il sin qui detto.




Accedere qui al quadro generale dei volumi dell`opera devitiana Il Lago Maggiore, Stresa e le Isole Borromee..., Alberghetti, Prato 1875-1880



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