STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

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Articolisti:
Müller, Carlo
Titolo Articolo:
Intra - I tumulti contro le Sbianche (1758) - parte 05
SottoTitolo Articolo:
Testata ospitante l'articolo:
La Vedetta
Data:
1905 mag 13
Progressivo di Edizione:
a. 020 (XX), n. 036 (1905 mag 13)
Note Generali:
Al delegato del regio governo parve impresa pericolosa il contrastar più a lungo alla volontà popolare. Manda a far tacer quel molesto campanone ed annunziare ai dimostranti che sarebbero contentati in sull’atto. E, lì per lì, viene steso infatti un decreto che sospende l’esercizio delle sbianche fino a nuovo ordine di Sua Maestà. Siccome poi i tumultuanti non se ne davan per intesi, tirando via a gridare peggio di prima, viene mandato giù il cancelliere del Comune – immaginiamoci con quanto suo gusto particolare – a leggere a quei forsennati il decreto; questo, per imposizione della moltitudine, viene letto una seconda volta e proclamato in forma solenne dal balcone del pretorio.
Senonché la piazza non si tiene ancora soddisfatta; ma diffidando, non a torto, della facile vittoria e volendo accortamente profittare del vento in poppa, esige che il decreto venga caldo caldo intimato ai proprietarii delle sbianche e che, a dar forza e principio d’effetto al divieto, sia tolta l’acqua che serviva a quell’industria. Anche in ciò si accondiscende ai padroni del momento: era, si vede, uno di quei tali giorni fuori dell’ordinario in cui, come venne argutamente osservato, «le cappe» e – nel caso nostro – anche le toghe «s’inchinavano ai farsetti». Ottenuta poi, per amore o per forza, la sottomissione dei poveri proprietarii, il signor conte delegato poté alfine restituirsi a Pallanza, si pensi con che respiro di sollievo e con quanta riconoscenza ai Numi d’essersela cavata a buon mercato, ma ruminando dentro di sé l’amaro della sconfitta toccata e il proposito di prendersi al più presto la rivincita.

* * *

Né questa ebbe a tardare molto. Tornati gli animi in calma, tornò il coraggio all’autorità e con esso il sopravvento della legge. A sedare i bollori degli animi esaltati sarà giovato non poco l’invio di buon nerbo di milizie a Intra, in alloggio militare: non più in là del 24 di quello stesso mese vediamo i nostri amministratori far ricorso alla clemenza sovrana, per esser liberati dal flagello di quella soldatesca «che si rende – lagnansi i poveretti – di molto preggiudicio a questo publico, massime de’ frutti della campagna che vanno maturando». Altro che la nebbietta e la polverina delle sbianche! Queste potevano dirsi vendicate a misura di carbone.
E già dal 23, giorno dopo l’arrivo dei soldati, il conte intendente aveva con un manifesto revocate le concessioni estortegli dal tumulto di otto giorni prima.
A ribadire il chiodo e coronare l’opera dell’autorità, un altro manifesto del sig. conte intendente, in data dei 14 di ottobre, quando la missione e la villeggiatura di quegli ospiti forzati erano appunto al termine, notificava che Sua Maestà, fatto «esaminare non solamente da medici chiamati sul posto, ma anche da medici collegiati più esperti della Regia Università di Torino li fondamenti sì di raggione che di fatto» delle imputazioni a carico delle sbianche, e avuto unanime responso che trattavasi di pregiudizio al tutto infondato, tornava a concedere alle sbianche di Intra, Pallanza e Ghevio la più ampia facoltà e libertà di esercizio, proibendo «a qualonque si sia publica o privata persona, niuna eccettuata, di molestare, offendere, intorbidare et impedire, direttamente o indirettamente, li padroni ed operaij di esse ed il loro esercizio, sotto pena eziandio corporale» ad arbitrio di Sua Maestà.
Non pare che il giusto e ragionevole decreto incontrasse opposizione seria e ostilità aperta: sia che la gente, pur di mala voglia, mordesse il freno, sia che, col tempo, si fosse persuasa da sé o in questa persuasione l’aiutassero non tanto gli argomenti astratti dei dotti, che per solito lasciano il tempo che trovano, quanto quelli positivi ed efficaci della soldatesca, mandata a correggere le idee storte e curare la raccolta dei frutti.
Così, alla liscia e senza grossi guai, con la vittoria della giustizia e del buon senso, venne sopita, almeno per allora, se non messa a dormire per sempre,2 questa curiosa agitazione, che rimane un esempio tipico, se pur troppo non raro, anzi tutt’altro che raro, di quei pregiudizi e quelle aberrazioni popolari che non sempre trovarono chi, andando contro la corrente, seppe o volle raddrizzarli, né sempre riescirono, come quella che abbiamo veduta fin qui, una tempesta in un bicchier d’acqua.



1 A Ghevio, nel Vergante, aveva trasportato i penati pericolanti delle sbianche qualcuna delle ditte intresi.

2 Dico almeno per allora; perché se s’ha da credere al Lizzoli – il quale ricercando l’origine e il movente della guerra strana ed accanita agli Intresi, esce in un’accusa che io non sto a ripetere – l’agitazione sarebbe in breve riscoppiata più ardente che mai e, quel ch’è peggio, avrebbe finito col vincerla sul senno del Governo torinese, strappandogli di mano quella condanna che tanto tornava a lode della sua saviezza l’aver saputo, con fortuna, contendere dapprima al cieco fanatismo popolare.
A Cura di:
   [Gioacchino Civelli]

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