STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

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Articolisti:
Müller, Carlo
Titolo Articolo:
Intra - I tumulti contro le Sbianche (1758) - parte 01
SottoTitolo Articolo:
Testata ospitante l'articolo:
La Vedetta
Data:
1905 apr 29
Progressivo di Edizione:
a. 020 (XX), n. 032 (1905 apr 29)
Note Generali:
TUMULTI CONTRO LE SBIANCHE NEL 1758

Un’industria intrese, oggidì al tutto scomparsa, ma in passato fiorentissima, era l’imbiancatura delle tele che, ancor greggie, venivano dalla vicina Svizzera e da quella parte della Germania che confina cogli Svizzeri. Perché poi a Intra si circoscrivesse, quasi ad esclusione di altri luoghi da noi, e prosperasse, tanto da dar vita a un rilevante traffico speciale e, stavo per dire, a un monopolio, questa industria delle più semplici e comuni, si può spiegare, e si spiegò, con l’abbondanza d’acque correnti, necessario e primo elemento della poco o punto complicata e costosa manipolazione.
Ma si può supporre che non vi rimanesse estraneo il fatto che Intra, a quel tempo, come fu rilevato da altri,1 era il «luogo di deposito di tutto il commercio della Svizzera e di parte della Germania coll’Italia e da Intra passavano le merci al Piemonte e a Genova, scendendo per il Ticino alle parti orientali d’Italia». Questo commercio, dopo che i nostri paesi alla sponda occidentale del lago, mercé la convenzione seguita nel 1751, tolti all’antico Ducato di Milano, passarono dal dominio austriaco sotto a quello piemontese, era stato favorito dal Governo di Torino, in ispecial modo con la concessione, fatta a’ intresi, dei cosidetti transiti, per le merci di provenienza estera, e della facoltà di spedire in proprio i recapiti di dogana per l’accompagnamento di esse. Privilegio, ognun vede, di non poco vantaggio e incremento al commercio e all’industria locali, sia per sé medesimo, sia, e forse più (vorrò credere che non sarà un giudizio temerario), per la facilità lucrosa del contrabbando.
Fatto sta, che all’imbiancatura delle tele, la quale oltre alla comodità e gran copia d’acqua corrente non richiedeva altro che un po’ di calce sfiorita, ranno e sapone ordinario, stavano occupate più di mille braccia, se è lecito prestar fede in questo particolare a qualche storico,2 e attendevano parecchie ditte intresi, in laboratorii speciali, denominati le Sbianche.
A queste appunto toccò in sorte il vanto non comune, sebbene poco invidiabile e ancora meno cercato, di eccitar le fantasie e le ire popolari, di occupare dei fatti loro personaggi illustri, scienziati, storici e poeti,3 e d’essere tuttora vive, dopo morte, in grazia di una tempesta che ne sconvolse gravemente e per poco non ne schiantò l’umile esistenza.
Nella storia voluminosa dei pregiudizi umani, dove alla commedia, troppo spesso e in troppo grande misura, trovasi mescolata la tragedia, il caso in parola presenta un fenomeno curioso e, ad un tempo, ameno, perché comico anziché tragico: mette conto di riferire, raccogliendola dalla testimonianza ingenua di un documento contemporaneo, la narrazione particolareggiata dei fatti, accaduti nel 1758.
Di quell’anno, nelle nostre popolazioni d’ordinario così tranquille e aliene da tumulti, suscitossi contro le sbianche un generale e vivo fermento, che con tutta facilità sarebbe potuto trascendere a gravi e riprovevoli eccessi, quando il Governo di allora, con ispirito di prudenza, se non sempre di fermezza, non fosse intervenuto in tempo a dominare la burrasca. Già da qualche tempo le annate agrarie correvano tutt’altro che liete: i raccolti, colpiti da non so qual influsso maligno, fallivano senza rimedio, rendendo vane le fatiche e le speranze di chi dal prodotto dei campi aspettava i proprii redditi o il proprio sostentamento. Ormai il male era giunto all’estremo, non dando più la terra di che pagare gli stessi carichi fondiarii.
Circostanza poi che più al vivo feriva la fantasia popolare e metteva gli animi in effervescenza, una siffatta fallanza dei raccolti era accompagnata da fenomeni insoliti e strani: le uve, senza una causa nota e apparente, vedevansi avvizzire, disseccare, consumarsi: le frondi poi apparivano cosparse di certa polverina biancastra, non mai veduta prima d’allora, di natura e origine misteriosa.4




1 L(UDOVICO) LIZZOLI, Osservazioni sul Dipartimento dell’Agogna, Milano 1802, p. 52.

2 CARLO MORBIO, Storia della Città e Diocesi di Novara, Milano 1841, p. 81.

3 Della guerra mossa alle sbianche intresi parlarono, tra altri, sebbene in modo molto succinto e generale, i citati Lizzoli e Morbio. Anche le Muse non rimasero insensibili alle tribolazioni delle nostre sbianche, ma ne presero la causa a cuore, come ce ne fa ampia fede una specie di poemetto, in due canti e buon numero di quartine, dal titolo: Fenomeni delle Bianche d’Intra, difese dall’impostura colla seguente Anacreontica del conte Giulio Cesare Bossi sulle traccie de’ fedelissimi sperimenti fatti per comando di S.M. Sarda nella Delegazione del sig. Conte Castellani Tettoni di lui Referendario di Stato. Sarebbe piacevole, se non fosse fuori di luogo, riportare qui almeno un saggio della musa abborracciona del sig. conte Giulio Cesare Bossi.

4 La realtà dei fenomeni descritti pare non potersi mettere in dubbio; tante sono e concordi ed esplicite le testimonianze a questo proposito; né essa venne negata dai difensori delle sbianche, ma soltanto spiegata con origine ben diversa. Che poi si trattasse di crittogama, riesce una supposizione forse più singolare che dubbiosa a chi esamini i caratteri e la natura dei fenomeni denunziati e si faccia a compararli a quelli, molto affini invero, che contrassegnano le odierne malattie crittogamiche dell’oidio e della peronospora. E sarebbe uno studio curioso il proseguire l’indagine e il confronto, per arrivare, chi sa mai, alla conclusione inaspettata che certi malanni comunemente ritenuti per nuovi e quasi un triste privilegio dell’età nostra, sono all’incontro roba vecchia e non ignota ai tempi che ci precedettero, in omaggio alla verità e sapienza antica del Nihil sub sole novum.
A Cura di:
   [Carlo Alessandro Pisoni]

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