Tanto accadde ad Alberto, che nato di nobilissimi parenti nell’insigne borgo di Besozzo, ed allevato tra gli agi, ed il fasto, che porta la grandezza di nobile stato, in cui pare, che la natura crescente in simili oggetti, non inclini, che alle superbie del secolo, alle delizie, che porge il comodo, ed alle sodisfazioni più proprie della ricchezza, ogni sua applicazione giovanile fu a sodisfare il proprio appetito, poca cognizione, e minore studio facendo delle cose di Dio, e conseguentemente del bene eterno.
Poscia osservando, che le ricchezze servivano d’antemurale alle sue voglie, tutto s’applicò ad accrescer le rendite paterne, passato già a miglior vita il genitore.
Cresciuto in età virile Alberto, e fatto naturale seguace de’ costumi del secolo, s’accasò con una figlia, del cui ceppo si portò a volo l’agnazione il tempo, che sempre fugge, ed inoltrato co’ gli anni a centinaia nell’oblio, mai non fu possibile tra ‘l fondo delle sue rovine ripescarne l’orme; non v’essendo rimasto, né per tradizione di succedenti etadi, né per annotazioni storiografe alcun lume di que’ nomi. Ben si sa, che quel maritaggio fu conchiuso secondo le leggi Si vis nubere, nube pari; almeno perche trasse seco dote eguale allo stato dello sposo. Fu volere di Dio, che tra le solitudini della sterilità sempre restassero all’ombre de’ cipressi quegl’imenei, e benché in quel stato di mortificazione si trovasse Alberto, cedendo alle tentazioni di Satana,e sdrucciolando nel clive fondo delle miserie, in cui lo spignea l’innato appetito di sempre moltiplicar ricchezze, errando ne’ termini di far fine il mezzo, scordatosi nel temporale dell’eterno, credé sua perpetua felicità ogni bene terreno, ed a questo consacrando il cuore, lo spirito, e l’Anima, tutto si donò con ogni maggior attenzione, e fatica a’ traffichi per cumular fondi, e posseder molt’oro; ne ciò potendosi ottenere senza danneggiar i nostri prossimi, disgustava quel Dio, che per darci esempio volle, fatto uomo, nascer povero, viver tale, e morir nudo su la trave più ignominiosa de secoli. Ma egli postergate queste notizie, tutto che nato cattolico, né riflettendo alla sua solitudine, cercato da pazza passione di far monti d’oro, e moltitudine di tenute, quanto più s’osservava solo, e senza figli, tanto più crescea nel suo cuore l‘amore, e la brama d’ammassare.
Tutto votato a’ terreni affetti, anzi piagnendo quel Sole giunto all’occaso, che per lui non avesse fruttato alcun lucroso contratto, benché lecito; nulla curando l’oppressione de’ poveri, gli orfani ridotti all’estremo, le vedove rese miferabili, andava sempre più profundando in tal modo lo stato di sua perdizione.
Ed cco il nostro Alberto fatto grande del secolo, ricco magno, e giunto quasi all’auge di quella felicità, ch’è madre delle sciagure estreme, di que’ contenti, che non fanno fruttare, che toschi mortali, non rimastovi altro ne’ suoi defiderj, che la brama di far più vasti i granai, più spaziose le cantine; nel resto ampi poderi, deliziose vigne, superbi palagi, somme egregie d’usureggiati danari, fitti, livelli, censì, ed ogn’altra spezie di vantaggiosi contratti, anco coll’usure delle stesse usure, come detesta il Legislatore Monarca, tutto era nel suo cuore, tutto suo traffico, tutto il tempo speso con eccedenti fatiche alle proprie forze.
Ma quanto più abbondava, crescendo l’oro nelle sue casse, tanto più crudele lo tormentava la sete d’accrescerne cumuli maggiori. Quando il Grande Dio dell’infinite misericordie, per coglierlo al varco, un dì aprì l’erario de’ suoi tesori, e chiamando a guerra gli elementi, l’impaurì.
Contrario il fatto alla sorte di Paolo, benche nel fine lo stesso.
Quegli fu da uno sprazzo di luce celeste reso cieco, questi all’oscuro d’orribil procella aprì gli occhi, et nox sicut dies illuminabitur, ci disse l’increata Sapienza per mezzo del Real Profeta.