STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

Il Temporale. Versi Sciolti

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Primo Autore:
Carlo Manzi
Secondo Autore:
 
Titolo:
Il Temporale. Versi Sciolti
Testo Completo:
Il temporale
sciolti
di
Carlo Manzi
dedicati alla memoria
di
Giuseppe Zanoja

Milano
dalla tipografia del D. Giulio Ferrario
.MDCCCXXII.


Cortesi lettori

vi presento alcuni endecasillabi, da me scritti per esalare l’interno dolore, che provava nel vedere non abbastanza illustrata la memoria del defunto canonico Giuseppe Zanoja, già segretario di questa imperiale Accademie di Belle Arti, uomo specialmente benemerito nella patria nostra.
L’unico scopo che mi determinò a render pubblici i suddetti versi, fu quello di palesare la stima ch’io nutriva verso chi seppe co’ suoi studj il lustro e l’ornato della città nostra procurare, e nella lusinga che questo mio tentativo potesse eccitare qualche elevato ingegno a mettere co’ suoi scritti in piena luce i meriti di un uomo cotanto distinto, ciò che renderebbe i miei voti pienamente compiuti.

Vivete felici.

Puoi tu pensar....
Che di sua fama ignudo
cader possa l’eroe?
Scoppieria dalla terra e dalle pietre
spontaneo il canto e ’l seguiria sui nembi.

Ossian, traduzione di Cesarotti,
Temora Canto II.





Garrian gli augelli ch’il mancar del giorno
rendea disiosi d’adunarsi a schiere,
indorava di sole un debol raggio
Le vette appena de’ maggior palagi,
con infocate strisce trapassando
fuor dalle negre nubi accavallate:
eppur costume me dal tetto spinge
che da’ tedj del giorno affaticato
d’aere più aperto e puro amo il conforto:
onde muovendo per deserte vie
a vincere col petto la bufera
chiudo i lumi alla polve e stringo i panni:
venuto presso dell’antiquo tempio
U’ fama vuole quell’anguea si conservi
del fuggente Israel riparo i morsi,
densa pioggia m’assale e mi ricovro
del vestibolo suo sotto le volte:
di là contemplo la convulsa faccia
della natura e sulla terra e il cielo
i sguardi alterno; ma la notte abbuja
col suo velo la scena e sol del lampo
La momentanea luce vi ripara,
accrescendo l’orrore nel cuore infuso
da fragore di tuon, da scroscio d’acqua:
brivido di terrore, rigor di freddo
ogni fibra mi scuote, onde proveggo
se all’interno del tempio il varco s’apra
e mentre provo il cardine consenta,
ecco una voce improvvisa gridarmi
chi per trovare asil qui tardi muove
non speri entrar la soglia, che sprangata
di Teodosiob chiese il pentimento;
ratto mi volgo e di veder m’aito,
ma quei prosegue; esserti noto appieno
per sembianti dovrei, se tempo e doglie
me non mutarla da quel ch’io m’era affatto;
sulle fiorite rive ebbi la culla
del picciol lagoc che la Toce inpingua;
il “mezzo del cammin della mia vita”
fu sacro al rito di codesto altared
e se un nuovo desir non mi stornava
facile corona già m’avrian concessa
Pel divoto salmeggio, che veggendo
scarso lo stuolo dei cultor dell’arti
Ond’hanno onore le cittadi e i regni
entrar in schiera elessi, e spese io volli
Le mie vigilie ad indagarne le seste,
per cui ne’ Greci avanzi e ne’ Romani
l’attrattiva del bello impressa siede.
Luce mi fur tai detti, e replicai,
quale, o spirto gentil, superna forza
che fa peregrinar sotto quest’archi?
Qui per eletta riedo a farmi certo
se perfin l’amistade di coloro,
che a me vivente si mostrar benigni,
talora degnando d’affidar miei studi
con l’aura blanda di modesta lode,
soggiacque al gelo che mie membra strinse?
Oh mente inferma se poter presumi
mai da labbro terreno raccorre il vero!
Ben or l’intendo, che fra tanti cippi
un marmo invano ricerco che m’accenni,
facil dono agli amici, a me prezioso;
né t’ingombri pensier che a ciò m’invogli,
di vana pompa amor, sprezzan gli Elisi
il mercato coll’or fasto di duolo,
sol si libra fra noi d’ognuno il merto
col sospiro de’ cuori, e la memoria
ed una rosa spontanea prevale
a prescritta ecatombe ed anche a mille.
Da tai sensi raccor troppo m’aggreva,
che d’essere in non cale il dubbio t’ange
e porger spero al tuo dolore sollievo.
Celare invan vorreie siccome al triste
Annunzio di tua morte ognunf fu muto,
né pubblica di duole lagrima scorse;
ma tu degna por mente onde derivi
se teco non curante alcuno apparve.
Preside posto a invigilar le moli
Ch’ornan la sponda del ferace Olona,
sebbene varie di forme, appajan tutte
con simmetriche almeno fronti leggiadre;
spesso lottar dovedi col ristretto
censo o il desire ingordo di chi brama
solo un nicchio formar pei Lari e per Pluto,
e col tuo senno provveder più spesso
all’altrui crasso ingegno ordin imponendo,
Amor di nummo e presunzion di ignavi
son tali Erinni ch’acquetar mal pensi,
l’acre motto v’aggiugni, in cui sì pronto
ponevi ai tristi innevitabil nota,
belle cagion son queste, eppur le sole
del negato al tuo merto onor di pianto.
Ma se marmo effigiatog anco non vedi
il nome ad eternar, non men presenti
de’ cittadini al cor parla tue gesta:
esser tuo vanto, in parte, ognun rimembra,
se di pubbliche moli e d’edifici
arricchita Milano l’occhio sorprende
de’ suoi reduci figli e de’ stranieri
te sommo scrutator d’ogni precetto
dimostrava nell’arte di Vittorio
l’alunno istrutto più ch’in altra etade,
te felice cultorh de’ studi ameni
e il calzato con lode italo socco
e l’emulato Venosin nel carme
ch’il tardo donator punse ed il mimo:
ma per astro inimico a te non valse
di tanti pregi il grido alto risuoni:
e fu ragion che per diversi casi
ad egual destin correste entrambi,
s’anco di patrio amor tanta favilla
scaldò tuo petto, quanta in cor n’accolse
chi nel primo suo fiorei ottenne in Pindo
non facil palma, te esortando all’opra
ch’in gran parte compivi: e qui m’avvidi
il suo petto gonfiarsi e mal celato
un sospiro scoppiarne, indi mi disse:
colui che tu rammenti ebbi in gran pregio,
né del nostro rancor t’illuda il dubbio;
è amor per l’arti e della patria il bene
l’unanime desir che ci diresse,
o s’alcun ebbe disparer fra noi
fu sol nei mezzi, che variar s’avvisa
ciascuno a norma d’inegual talento:
Fra quei ch’ancora col vital suo raggio
il sole alluma, operar non si disdice
discreta cote ad affilar gli ingegni,
sebbene sia d’uopo provveder, non v’entri
dell’ira il soffio ad innasprir la guerra;
ma quando il ferro di imprecata Parca
alcun raggiugne, dell’estinto il nome
cosa sacra vuol farsi, onde non passi
il garrito dell’uom l’acqua di Stige:
lieve colpa non merta eterno cruccio
qual me colpiva, sol perch’ebbi a schifo
d’ufficio usa corteccia il ricoprirmi;
se Temide terrena è greve tanto
qual puote aggiugner carco ira di Nume?
Ma di ciò basti che trascender temo:
tu il placido costume intanto segui
di tua vita solinga e quasi ignota:
se v’assente destino, anco sì viene
con men usato calle ad erta cima;
e di romita calma ebbe vaghezza
chi del tremendo giorno, al Tebro in riva,
col possente pennello erse l’immago
e quei che di Melpomene lo stilo
all’Italo impugnar più fermo apprese.
Se ne’ privati crocchi, oppure fra quelli
che s’onoran d’alcun pubblico incarco.
Qualche cuor più gentile avvien tu scopra,
di narrar la mia pena a lui procura
e scerner quindi se dolor ne provi;
a noi vien tolto di poter l’udito
molcer de’ vivi e ricambiar l’affetto:
ma l’amor de’ coevi essi compensa
e d’esta vita l’infallibil premio.
Di vari so, cui non perduto al tutto
sono nel cuore, e a ben volermi primi
esservi que’, che miei precetti udiro;
grazie di ciò lor rendi e li scongiura
d’aver più l’arte in pregio che non l’oro
onde giunger là suso… e come i lumi
per seguire suo gesto al cielo alzava
un improvviso lampo abbarbagliommi,
che nel ritor sua luce, aver mi parve
assorbito nel grembo il caro aspetto.




Note al testo

a Landolfo seniore scrive: Moratus Arnulphus per tres menses, apud imperatorem, gratia regis adepta serpentem aeneum, quem Moyses in deserto, divino imperio admonitus, coram filiis exaltaverat, imperatori requisivit, et habere meruit; et veniens in ecclesia Sancti Ambrosii, ipsum exaltavit.

b Sant’Ambrogio vietò l’ingresso in chiesa a Teodosio imperatore ed impose al medesimo la penitenza, per la strage di Tessalonica. Vedi la Vita di S. Ambrogio, scritta da Goffredo Hermann, traduzione di Giuseppe Francesco Fontana, libro IV, capo XIV, e XV; e più la vita del suddetto santo, scritta dal suo segretario Paulino.

c Nacque per caso a Piacenza [informazione inesatta: cfr V. Cirio, Giuseppe Zanoja, scheda biografica in www.verbanensia.org, sez. Biographica, Z, Zanoja Giuseppe, dove si dimostra la nascita genovese nel 19 gennaio 1752 e il battesimo nella chiesa di S. Tommaso della capitale ligure], ma fu allevato nella casa paterna di Omegna, luogo sul lago d’Orta, e venuto ancora giovinetto a Milano, quivi passò il resto di sua vita, facendosi per tal modo nostro concittadino.

d Sebbene eletto professore di architettura, continuò cionondimeno ad adempire agli obblighi di canonico, fino all’epoca che nominato segretario dell’Accademia, dovendo disimpegnare i relativi uffici ed assistere alla scuola, non gli fu più possibile l’intervenire al coro.

e Essendosi recato ad Omegna per passare alcuni giorni delle ferie autunnali, quivi di repentina malattia morì il 16 ottobre 1817, e debbe forse attribuirsi alla minor impressione che fanno i casi altrove avvenuti, il non aver dato il pubblico alcun segno di grave dispiacere alla notizia della di lui morte.

f Se si eccettui l’onorevole cenno necrologico inserito nella Gazzetta di Milano, il 19 novembre 1817, N. 323, per opera del signor Fumagalli, allora vice-segretario di questa Imperiale Accademia di Belle Arti.

g L’Accademia possiede il suo busto che si propone di decorosamente collocare in luogo opportuno, come ebbe la bontà di verbalmente dichiararmi un illustre personaggio.

h Dalla sua penna uscirono tre sermoni e qualche commedia, una delle quali, intitolata il Ravvedimento, fu molto aggradita, non che varie orazioni, o funebri, o morali, od analoghe agli uffici da lui disimpegnati, opere tutte che distinguonsi per purezza di lingua, venustà di stile, e sublimità d’idee.

i Giuseppe Bossi pittore, che tornato da Roma, gli diresse alcuni sciolti, stampati poscia nel 1810, esortandolo ad unirsi seco lui, per tentare la riforma di alcuni abusi, pregiudicievoli alla pubblica decenza ed alla salubrità della nostra città, i quali cominciano

Dov’è l’arco, o Zanoja, onde sì acuta
La delica partìa doppia saetta ecc.
A Cura di:
   [Nicola Menepento]

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