STRUMENTI CULTURALI
del Magazzeno Storico Verbanese
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Puoi tu pensar....
Che di sua fama ignudo cader possa l’eroe? Scoppieria dalla terra e dalle pietre spontaneo il canto e ’l seguiria sui nembi. Ossian, traduzione di Cesarotti, Temora Canto II. |
Garrian gli augelli ch’il mancar del giorno
rendea disiosi d’adunarsi a schiere, indorava di sole un debol raggio Le vette appena de’ maggior palagi, con infocate strisce trapassando fuor dalle negre nubi accavallate: eppur costume me dal tetto spinge che da’ tedj del giorno affaticato d’aere più aperto e puro amo il conforto: onde muovendo per deserte vie a vincere col petto la bufera chiudo i lumi alla polve e stringo i panni: venuto presso dell’antiquo tempio U’ fama vuole quell’anguea si conservi del fuggente Israel riparo i morsi, densa pioggia m’assale e mi ricovro del vestibolo suo sotto le volte: di là contemplo la convulsa faccia della natura e sulla terra e il cielo i sguardi alterno; ma la notte abbuja col suo velo la scena e sol del lampo La momentanea luce vi ripara, accrescendo l’orrore nel cuore infuso da fragore di tuon, da scroscio d’acqua: brivido di terrore, rigor di freddo ogni fibra mi scuote, onde proveggo se all’interno del tempio il varco s’apra e mentre provo il cardine consenta, ecco una voce improvvisa gridarmi chi per trovare asil qui tardi muove non speri entrar la soglia, che sprangata di Teodosiob chiese il pentimento; ratto mi volgo e di veder m’aito, ma quei prosegue; esserti noto appieno per sembianti dovrei, se tempo e doglie me non mutarla da quel ch’io m’era affatto; sulle fiorite rive ebbi la culla del picciol lagoc che la Toce inpingua; il “mezzo del cammin della mia vita” fu sacro al rito di codesto altared e se un nuovo desir non mi stornava facile corona già m’avrian concessa Pel divoto salmeggio, che veggendo scarso lo stuolo dei cultor dell’arti Ond’hanno onore le cittadi e i regni entrar in schiera elessi, e spese io volli Le mie vigilie ad indagarne le seste, per cui ne’ Greci avanzi e ne’ Romani l’attrattiva del bello impressa siede. Luce mi fur tai detti, e replicai, quale, o spirto gentil, superna forza che fa peregrinar sotto quest’archi? Qui per eletta riedo a farmi certo se perfin l’amistade di coloro, che a me vivente si mostrar benigni, talora degnando d’affidar miei studi con l’aura blanda di modesta lode, soggiacque al gelo che mie membra strinse? Oh mente inferma se poter presumi mai da labbro terreno raccorre il vero! Ben or l’intendo, che fra tanti cippi un marmo invano ricerco che m’accenni, facil dono agli amici, a me prezioso; né t’ingombri pensier che a ciò m’invogli, di vana pompa amor, sprezzan gli Elisi il mercato coll’or fasto di duolo, sol si libra fra noi d’ognuno il merto col sospiro de’ cuori, e la memoria ed una rosa spontanea prevale a prescritta ecatombe ed anche a mille. Da tai sensi raccor troppo m’aggreva, che d’essere in non cale il dubbio t’ange e porger spero al tuo dolore sollievo. Celare invan vorreie siccome al triste Annunzio di tua morte ognunf fu muto, né pubblica di duole lagrima scorse; ma tu degna por mente onde derivi se teco non curante alcuno apparve. Preside posto a invigilar le moli Ch’ornan la sponda del ferace Olona, sebbene varie di forme, appajan tutte con simmetriche almeno fronti leggiadre; spesso lottar dovedi col ristretto censo o il desire ingordo di chi brama solo un nicchio formar pei Lari e per Pluto, e col tuo senno provveder più spesso all’altrui crasso ingegno ordin imponendo, Amor di nummo e presunzion di ignavi son tali Erinni ch’acquetar mal pensi, l’acre motto v’aggiugni, in cui sì pronto ponevi ai tristi innevitabil nota, belle cagion son queste, eppur le sole del negato al tuo merto onor di pianto. Ma se marmo effigiatog anco non vedi il nome ad eternar, non men presenti de’ cittadini al cor parla tue gesta: esser tuo vanto, in parte, ognun rimembra, se di pubbliche moli e d’edifici arricchita Milano l’occhio sorprende de’ suoi reduci figli e de’ stranieri te sommo scrutator d’ogni precetto dimostrava nell’arte di Vittorio l’alunno istrutto più ch’in altra etade, te felice cultorh de’ studi ameni e il calzato con lode italo socco e l’emulato Venosin nel carme ch’il tardo donator punse ed il mimo: ma per astro inimico a te non valse di tanti pregi il grido alto risuoni: e fu ragion che per diversi casi ad egual destin correste entrambi, s’anco di patrio amor tanta favilla scaldò tuo petto, quanta in cor n’accolse chi nel primo suo fiorei ottenne in Pindo non facil palma, te esortando all’opra ch’in gran parte compivi: e qui m’avvidi il suo petto gonfiarsi e mal celato un sospiro scoppiarne, indi mi disse: colui che tu rammenti ebbi in gran pregio, né del nostro rancor t’illuda il dubbio; è amor per l’arti e della patria il bene l’unanime desir che ci diresse, o s’alcun ebbe disparer fra noi fu sol nei mezzi, che variar s’avvisa ciascuno a norma d’inegual talento: Fra quei ch’ancora col vital suo raggio il sole alluma, operar non si disdice discreta cote ad affilar gli ingegni, sebbene sia d’uopo provveder, non v’entri dell’ira il soffio ad innasprir la guerra; ma quando il ferro di imprecata Parca alcun raggiugne, dell’estinto il nome cosa sacra vuol farsi, onde non passi il garrito dell’uom l’acqua di Stige: lieve colpa non merta eterno cruccio qual me colpiva, sol perch’ebbi a schifo d’ufficio usa corteccia il ricoprirmi; se Temide terrena è greve tanto qual puote aggiugner carco ira di Nume? Ma di ciò basti che trascender temo: tu il placido costume intanto segui di tua vita solinga e quasi ignota: se v’assente destino, anco sì viene con men usato calle ad erta cima; e di romita calma ebbe vaghezza chi del tremendo giorno, al Tebro in riva, col possente pennello erse l’immago e quei che di Melpomene lo stilo all’Italo impugnar più fermo apprese. Se ne’ privati crocchi, oppure fra quelli che s’onoran d’alcun pubblico incarco. Qualche cuor più gentile avvien tu scopra, di narrar la mia pena a lui procura e scerner quindi se dolor ne provi; a noi vien tolto di poter l’udito molcer de’ vivi e ricambiar l’affetto: ma l’amor de’ coevi essi compensa e d’esta vita l’infallibil premio. Di vari so, cui non perduto al tutto sono nel cuore, e a ben volermi primi esservi que’, che miei precetti udiro; grazie di ciò lor rendi e li scongiura d’aver più l’arte in pregio che non l’oro onde giunger là suso… e come i lumi per seguire suo gesto al cielo alzava un improvviso lampo abbarbagliommi, che nel ritor sua luce, aver mi parve assorbito nel grembo il caro aspetto. |
Dov’è l’arco, o Zanoja, onde sì acuta
La delica partìa doppia saetta ecc. |
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A tutti gli amici e studiosi
che nel tempo avete condiviso o vi siete interessati alle attività della Associazione Magazzeno Storico
Verbanese, dobbiamo purtroppo comunicare che in seguito alla prematura scomparsa di Alessandro Pisoni,
la Associazione stessa, di cui Alessandro era fondatore e anima, non è più in grado di proseguire nella
sua missione e pertanto termina la sua attività.
Carlo Alessandro Pisoni (Luino, 1962 - Varese, 2021). Seguendo le orme del padre Pier Giacomo, dal 1991 al 2017 è stato conservatore, per gentile concessione dei principi Borromeo, dell'Archivio Borromeo dell'Isola Bella. Appassionato studioso e ricercatore, ha sempre voluto mettere a disposizione degli altri conoscenze e scoperte, togliendo la polvere dai fatti che riguardano Lago Maggiore e dintorni; insieme a studiosi e amici, ha riportato alla luce tradizioni, eventi e personaggi passati dal lago, condividendoli con la sua gente.