STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

La Corsa delle Patate

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Primo Autore:
Leopoldo Minola
Secondo Autore:
 
Titolo:
La Corsa delle Patate
Testo Completo:
La Corsa delle Patate
Racconto di Carnevale


La «Corsa delle Patate» o «Cursa di patàti», tanto per calarci subito nella memorabile atmosfera dell’avvenimento, fu una grande competizione sportiva che impegnò un piccolo drappello di coraggiosi ed aitanti stresiani che si cimentarono in una gara di velocità, sul percorso da Lesa a Stresa, trainando carrettini a mano con un carico di alcuni sacchi di patate ciascuno, all’ incirca un quintale, patata più patata meno.
L’impresa ebbe luogo il pomeriggio di un giorno di un lontano carnevale e richiese un’accurata preparazione. Grande animazione sulla statale, lungo i sette chilometri del percorso. Traffico adeguato ai tempi. Non era ancora nata la “Balilla”!
Molti stresiani fecero tranquillamente la strada a piedi fino a Lesa per assistere alla partenza, poi rifecero il percorso accompagnando i concorrenti, incitando, controllando, plaudendo alle “fughe“, alle “finte”, alle “volate”.
A Lesa grande confusione, curiosità, entusiasmo. Frammisti ai “Persigàt” c’erano Lecapiàt da Meina, Ràt da Solcio e Cagarét d’in Vila, convenuti per dare un’occhiata, ai quali si aggiunsero qualche Barnabò da Massino Visconti, alcuni Fasooj da Comnago e pochi sparuti Gàtt da Carpugnino.
Il Comitato misto, su basi rigorosamente paritetiche (PersigàtFalcit) espletò con diligenza le formalità necessarie per il miglior svolgimento della manifestazione.
Commissari e giudici di gara impegnatissimi per il controllo dei carretti e della ingrassatura dei mozzi delle ruote, verifica del carico e infine numerazione dei concorrenti, con applicazione di vistosi cartelli sul petto e sulla schiena. Bastarono numeri con una cifra sola. Poi apparvero alcuni volontari in bicicletta per sorvegliare il percorso, evitare ingorghi al traffico, garantire l’assoluta imparzialità e mettere i concorrenti al riparo da spinte maldestre, subdole zavorre, altre scorrettezze o favoritismi da parte dei tifosi indisciplinati al seguito della corsa. Posti di ristoro volanti misero a disposizione dei corridori il “nostranin da Lesa”. Una sorsata da un fiasco e via, per non perdere secondi preziosi e per non inebriarsi troppo. La partenza fu data dalla avvenente Principessina dei Persigàt.
Allora non esistevano pubblicazioni specializzate nella cronaca rosa, del tipo di quelle che oggi mettono tutti al corrente degli avvenimenti intimi, ma veramente intimi di persone, coppie, famiglie. Si pubblicava – si diceva – a Stresa, ma solo oralmente, un “Gazzettino Rosa”, affidato a un comitato di redazione composto da donne solitamente bene informate su fatti e persone. Le notizie erano controllate alla buona. Per far colpo e per mantenere un certo prestigio nell’informazione, era talvolta necessario qualche granellino di pepe e un po’ di fantasia, cioè «tacàgan un tòc». Tutto faceva parte di un giuoco. Gli ultimi numeri del “Gazzettino Rosa” avevano lasciato intendere un certo filarèl (traduciamo: flirt) tra quell’impenitente scapolo Re Falcetto e la Principessina dei Persigàt, filarèl visto di buon occhio dai sudditi. Forse l’idea della “Cursa di Patati” era nata così. Anche una Corsa della Patate può favorire un incontro, far sorgere un idillio e portarlo ad un felice e soddisfacente epilogo.
Decisamente i segni zodiacali dei due personaggi non erano in sintonia, per cui non se ne fece nulla, tanto che ancora oggi Re Falcetto è irrimediabilmente celibe, pur se attorniato talvolta da un certo numero di Principi Falcettini che (mancando il Monarca di una Real Consorte) si debbono presumere frutti di esuberanze con qualche Bella Rusìn!
A meno che…! A meno che siano figli di dignitari o di gentiluomini distintisi per eminenti servigi resi ed elevati al rango di principi solo come titolo nobiliare.
Egregia cosa farebbe qualcuno di questi dignitari sussurrando all’orecchio di re Falcetto:
«Sire! A parte l’appuntamento europeo del ’92 che, dati i tempi duri per le monarchie, potrebbe anche lasciarvi indifferente, a parte l’eventualità di un bel viaggio in America per le manifestazioni dei 500 anni dalla scoperta, badate che nel settembre 1997 si dovrà festeggiare il duecentesimo anniversario della visita di Napoleone all’Isola Bella e che nel 1998 si dovrà celebrare solennemente il millennio di STRIXIA.
Vecchie carte parlano chiaro, o almeno un po’ chiaro-scuro, data la vetustà. Un atto di compravendita stilato nel gennaio del 998 tra il vescovo di Tortona Luitfredo – venditore e un tale Ottone marchese di Verona – acquirente e quindi vostro illustre predecessore nel governo di queste genti, testimonia inequivocabilmente che la nostra Stresa in quel tempo già esisteva e contava.
Sire! Con tutto il rispetto per la vostra augusta persona, per la sovranità delle vostre decisioni, auspicano i componenti della vostra real Corte e anelano i vostri devoti sudditi che la Maestà Vostra si presenti ai due grandi appuntamenti ormai prossimi con a fianco una Regina, meglio se giovane e graziosa! Sire! Tra il vostro popolo circola un detto che non fa puramente riferimento al mutar delle stagioni, ma anche alla vita dell’uomo:

A un certo mumentin.
quand al sùul al va giù,
végn subit noc’!



A buon intenditor!»

Abbiamo divagato, ma solo per dar tempo alla piccola carovana dei carrettini di snodarsi lungo lo stradone napoleonico e di risalire l’amena sponda lacustre verbanese. A poche centinaia di metri dalla partenza ecco, ordinatamente disposti ai lati del percorso, gli Sciàt di Belgirate con gli occhioni sgranati più del solito e con espressioni miste di ironia e di commiserazione.

«Ben altre corse abbiamo organizzato noi, oltre mezzo secolo fa! Ma quelle erano cose serie! Qui convennero per assistervi Garibaldi, Cavour e D’Azeglio. Qui si fece un pezzettino della storia d’Italia! Da Lesa si mosse pure il don Lisander, quello, per intenderci, che ha scritto i Promessi Sposi!».

Il riferimento era evidente: la storica regata remiera, forse la prima in Italia, dell’anno 1858.
Un paio di Maràgn scesi da Calogna annuirono. Un falchitin, presente per caso, fece finta di niente.
Dopo Belgirate qualche concorrente tentò sorpassi spericolati, uno addirittura una fuga, altri qualche breve volata, tanto per farsi notare e mietere applausi.
Poi prevalse il buon senso e per tacito accordo, essendo il percorso abbastanza lungo, ed essendo ovvia la necessità di risparmiare energie per la volatona finale a Stresa, la gara si trasformò in un’allegra passeggiata, vivacizzata da grida e battimani da parte dei tifosi che avevano ribattezzato i loro beniamini con i nomi dei più famosi ciclisti dell’epoca: “Forza Nuvolari!” “Forza Binda!” “Vai Girardengo!”
La carovana, procedendo verso Stresa, fu guardata a vista per un tratto da un gruppetto di bandì con il loro bravo sciòp a tracolla, scesi da Magognino attraverso le balze di Sant’Albino. Frammisti a loro alcuni Strupasciuc da Stropino e un Can da Vezzo. Poco oltre un armonioso coro di Urchìt, scesi fino all’estremo limite del loro territorio per significare, ad ogni buon conto: «Qui siamo noi! Questa è casa nostra!».
Passata la Sacca serpeggiò tra i concorrenti un poco di nervosismo. Fra i tifosi – alcuni erano venuti incontro da Stresa – chi gridava «Daj! Daj!», chi consigliava «Vardì da mia sciùpàa!».
«Al bèl al vegn adèss!»: così si giunse alla Villa Pallavicino e alla curva Bernocchi, superata la quale le vedette, appostate sul muraglione del porto e all’imbarcadero, diedero alla piazza il segnale: «Arìvan!». Furono momenti di entusiasmo e di grande confusione. Tifosi che correvano incontro ai sudatissimi tiracarretti si scontravano letteralmente con le avanguardie della tifoseria proveniente da Lesa che si precipitavano nel tentativo di accaparrarsi i primi posti per assistere all’arrivo. Corri di qua, corri di là, per lo striminzito numero di superstiti – qualcuno, già stanco, con sette chilometri di cammino nelle gambe aveva mollato e procedeva placido – era suonata l’ora di giocarsi il tutto e tirar fuori anche l’anima pur di agguantare il trionfo (e il modesto premio) in Piazza del Mercato. Ecco la volata! Uno rallenta alla casa dell’Auto, un altro molla proprio davanti al Municipio. I primi due procedono affiancati. Ecco l’Albergo Speranza! Bisogna imboccare la Via Principe Tommaso. Quello a sinistra è favorito, prende la curva stretta. Quello di destra arranca. Traballano carretti e patate. Il primo tratto della Via Principe Tommaso, in lieve falsopiano, invita ad aumentare l’andatura. Ecco l’imbocco di Via Cavour! Sul piazzaletto ex Hotel Stresa (ora Banca popolare di Novara) la folla assiepata già grida e applaude.
«Forza! Forza! Tira! Tira!» e l’onda d’urto dell’entusiasmo invade la Piazza del Mercato dove Re Falcetto è in attesa, attorniato dai sudditi stresiani, da Bindej, Passarit, Balon d’Audàsc, Tulipàn da Carsciàn, Burdùugn da Smarè, Tajon da Léu, Asnìt da Campin e Pissàt d’Insèla.
Ma un diavoletto subdolo e malizioso si stava aggirando fra tutta quella gente allegra e aveva forse già teso la sua perfida trama.
Dove è adesso l’imbocco della Via Domenico Ottolini, il marciapiede della Via Principe Tommaso cessava, per far posto a una piccola rampa che immetteva, con un passaggio sotto ad un portichetto, al vero “centro storico” della cara vecchia Stresa.
Finita la rampa, prima che il marciapiede riprendesse, correvano alcuni metri, per così dire allo scoperto e a una sessantina di centimetri sotto il livello della strada esisteva un piazzaletto antistante a un piccolo negozio con vendita di ceramiche e terraglie (per fortuna, quel giorno chiuso). «Daj! Daj! Tira! Tira!»; «Forza! Forza!» Arrancavano fianco a fianco i due disperati trasportatori di patate. Quello di sinistra, che rasentava il ciglio della strada, era più favorito per la curva finale di ingresso alla Piazza del Mercato. Quello di destra “stringeva sotto” per non perdere terreno. I tifosi si agitarono e passarono dall’incoraggiamento all’insulto: «Daj semulina! Dai pantùla!».
Uno strappo rabbioso dei due finalisti, chi per guadagnar terreno, chi per non perdere. I mozzi delle ruote dei due carretti si toccarono. Un urlo della folla, una doppia sbandata e il carrettino di sinistra con conducente e carico di patate rovinò fragorosamente giù dalla strada finendo nel piazzaletto sottostante. Il carretto di destra letteralmente si impennò perdendo il carico.
Urla, fischi, gran vociare, discussioni. Poi tutto finì in una gran mangiata di polenta e salamini, in una buona bevuta e in una salomonica suddivisione dei premi in palio, poiché la commissione d’inchiesta poté stabilire che non c’era stato dolo, ma che galeotta fu una rotaia della Ferrovia del Mottarone la quale, imprigionando per un attimo la ruota del carretto di destra, determinò la sbandata.

La Corsa della Patate non fu più ripetuta. Peccato!


Leopoldo Minola
A Cura di:
   [Isa Minola]

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