Sull`origine di questa famiglia si scrisse molto e da molti e in varia guisa. Le prime sicure notizie di essa, come vedremo, risalgono alla fine del secolo XIII od ai primordii del XIV. A queste però gli scrittori non si tennero paghi, e vollero ripescarne altre più a fondo cacciandosi a tutto potere per entro alle fitte tenebre delle età più remote. Quelli ch`ebbero vista più acuta, e a dir vero, non sono pochi, trovarono, che i Borromei fossero scesi direttamente da Dardano fondatore di Troia, donde i Silvii, re del Lazio, e quindi Cesare ed Ottaviano; e la famiglia degli Anicii capo stipiti delle case regnanti di Francia, di Germania e di Spagna. Altri si limitarono a volerli scesi da Antenore, fondatore di Padova; altri li vollero di razza Etrusca, che dominò in Adria, della quale, poiché fu distrutta, passarono in Padova. Altri anche affermarono, che alcuni di essi da Padova trasmig[
r]arono nella Germania, dove imparentandosi colla casa principesca di Svevia, della quale fu Federico il Barbarossa, che noi già conosciamo. Anzi vi fu chi scrisse, che un figlio di questo, chiamato similmente Federico, venuto col padre in Italia fissò la sua residenza in Toscana, ed ebbe in retaggio il borgo di S. Miniato, e fu il capo stipite dei Borromei di questa contrada.
1
Ma questi sono sogni, de’ quali non possiamo occuparci. Ho già avvertito di sopra, e lo ripeto ancor di presente, che se v`era pur qualche traccia di verità, rispetto alle epoche meno remote, nello sterminate genealogie, ch`essi fecero, si perdette anche questa; perché confusa tra tanti errori, non siamo ora più in grado di sceverarla. Per la qual cosa lasciando ben volentieri ad altri ogni disquisizione sull`origine primitiva di questa famiglia, ché al postutto nè anco è richiesta dalla natura del mio lavoro, mi limiterò a dire di essa quello che reputo più sicuro od almeno più probabile, e che non può incontrare appo alcuno una seria difficoltà.
Secondo il co. Pompeo Litta nella sua opera:
Famiglie celebri d`Italia (Milano, 1819, fol.), la famiglia de` Borromei che venne a trapiantarsi in Milano, è originaria di S. Miniato, borgo e castello della Toscana a venti miglia circa da Firenze, nella qual cosa tutti in fine convengono.
Capo stipite di essa sarebbe stato, ancora secondo il Litta, un Francesco probabilmente
de` Franchi di S. Miniato, il quale avrebbe avuto due figli, dal primo de` quali, Borromeo, crede che fosse in appresso denominata. Da questo sarebbe disceso quel ramo, che si mantenne in S. Miniato, dove si estinse nel 1672. Dal secondo, Lazzaro, sarebbe disceso l`altro ramo che poi venne a stabilirsi in Milano.
In questo però non sono pienamente concordi gli altri scrittori, i quali niun Francesco ricordano tra i progenitori di questa famiglia di S. Miniato. E a dir vero nè anco ci sembra probabile che la denominazione di essa famiglia sia provenuta indirettamente e per adozione da un altro ramo; mentre ogni ragion vuole, che fosse così appellata da un Borromeo stipite d`entrambi i rami; come si rileva altresì dalla testimonianza di Bonincontro, del quale cadrà fra poco il discorso. Confesso poi di non sapere su qual fondamento il Co. Litta abbia opinato che i Borromei si chiamassero anteriormente
de` Franchi: forse fu questa una sua conghiettura dedotta dal nome stesso di Francesco, nome, che d` altra parte non si riscontra in questa famiglia che in età rispettivamente assai tarda. Per la qual cosa sono coi più di avviso, che capo stipite loro sia in vece quel Lazzaro che fioriva alla fine del secolo XIII, quale, secondo il Crescenzi, pel favore e pei soccorsi grandi, che prestava ai pellegrini che si recavano in Roma per celerbrarvi il giubbileo pubblicato solennemente da Bonifacio VIII con apposita bolla del 22 febbraio 1309, si meritò il titolo di
buon romeo, donde a lui il soprannome di Buonromeo
2 passato poi in cognome a tutti i suoi discendenti, chiamati per questo de` Bonromei o Borromei.
3
Secondo il medesimo Crescenzi questo Lazzaro avrebbe anche imposto il nome di
Bonromeo al figlio suo primogenito, il quale più pienamente perciò sarebbe stato chiamato
Bonromeo di Bonromeo. Fu questi, al dire del co. Litta, giudico di Firenze nel 1347 e giudice de` malefizii della Marca d`Ancona nel 1349. Un figlio di questo chiamato dal nome dell`avo egualmento
Lazzaro (o
Lazzarino secondo il Ripamonti) sarebbe quindi stato detto
Lazzaro de` Borromei. Esso fu padre di Filippo, il primo di questa famiglia, che cominciò ad avere per lui un`importanza veramente storica.
E di vero, che un tale cognome deva ritenersi assai più antico in questo casato, è manifesto dal sullodato Bonincontro scrittore contemporaneo dei figli di detto Filippo. Parlando egli di questo nei suoi Annali,
4 lo chiama
Philippus Lazzarinus scriba ex Borromaeorum gente; il che ci è prova non solo del possesso già pieno di questo cognome nella famiglia di essi Filippo, ma eziandio della diffusione della medesima
in S. Miniato. Non è poi improbabile che Filippo sia stato da lui chiamalo
Lazzarino, perché figlio di un Lazzaro, e scriba, perché, come interpreta il Litta,
5 era notaio di professione.
È poi sentenza comune di tutti gli scrittori che la famiglia de` Borromei in S. Miniato fosse una delle più ricche e potenti di questo borgo. Ne assicura il Crescenzi sulla fede del Ripamonti, che essa già possedeva allora nella Toscana l`entrata di cinquantamila scudi annui: né credo che questa somma sia esagerata.
6 Molti anche asserirono, ch`essa fosse padrona dello stesso S. Miniato e di molte terre e castelli vicini, e chiamano tanto il Borromeo figlio di Lazzaro, quanto Filippo di lui nipote, signori di S. Miniato: ma ciò è contrario ai documenti che abbiamo, ed è apertamente contraddetto dal Bonincontri e da Bartolommeo Scala, suo contemporaneo.
7
Era al tempo di Filippo Borromeo il borgo di S. Miniato oppresso dai Malpighi e dai Mangiadori, famiglie potentissime allora. Però mal sofferendo quegli abitanti la tirannia di costoro l’anno 1347 si erano dati temporaneamente ai Fiorentini. Ma allorquando scese in Italia l`anno 1366 Carlo VI per frenare, come dicevasi, l`audacia di Bernabò Visconti, essi si dichiararono per lui, inimicandosi apertamente coi Fiorentini. Se non che l`imperatore poco dopo, sia che la fortuna dell`armi gli si fosse mostrata avversa, sia che l`oro dei fratelli Visconti, secondo l`opinione più comune, fosse più potente, conchiuse una tregua con essi e partì d`Italia (1368). Narra il Bonincontri che appunto dopo la partenza di lui i nobili di S. Miniato tumultuarono, e che Giovanni Mangiadoro capo di questi uccise certo Rodolfo Ciccione del partito contrario e si fece padrone del borgo. E soggiunge che i popolani dell`opposta fazione eccitarono allora Lodovico fratello di Rodolfo a vendicarne la morte, e che questi in compagnia di Filippo Borromeo, fatto tumulto, si ribellarono e cacciarono i nobili dal Borgo. Indi i Samminiatesi per sostenersi contro questo doppio nemico ricorsero a Bernabò Visconti, che spedì in loro soccorso il famoso capitano Aucud colla sua compagnia d`Inglesi, il quale a principio li difese contro de` nobili, che tentavano di rientrarvi. Ma essendosi questi accordati coi Fiorentini comparvero nuovamente con grossa truppa sotto le mura di S. Miniato. Incapaci i Samminiatesi di sostenersi contro forze tanto superiori il borgo fu preso e quattordici
8 dell`opposta razione furono presi e Firenze ed il 14 gennaro dell`anno 1370 decapitati.
Ne accerta il medesimo Bonincontro, che fra questi era anche Filippo Borromeo, contro del quale i Fiorentini di preferenza sfogarono la loro vendetta, perché accusato di avere ucciso un bambino di sei mesi tra le braccia della propria madre (era figlio dell`avo dello stesso Bonincontro), ne consegnarono il cadavere ai fanciulli, i quali lo trascinarono per tutta la città o da ultimo lo gettarono nell`Arno.
9 Soggiunge il co. Litta che i beni di lui furono confiscati e dati al partito guelfo, e che fu fatta grazia ai figli di lui per questo che quando avvenne la morte del padre erano minori.
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Quattro erano questi figli, cioè
Borromeo,
Alessandro,
Giovanni e
Andrea, oltre una femmina,
Margherita, più giovane di tutti. Filippo gli aveva avuti da
Telda o
Talda, sua moglie, donna assai lodata dagli scrittori per la sua prudenza e pel suo animo virile;
11 la quale, secondo che affermarono non pochi di essi, sarebbe anche stata sorella di Beatrice, moglie di Facino Cane e poi di Filippo Maria Visconti, della nobile famiglia dei Conti di Tenda. Altri però dubitano assai di questa affinità del Borromeo coi Visconti; e il co. Litta la nega recisamente:
Nei conti di Tenda, scrive egli (l.c.), non vi ha traccia di questo parentado, né è probabile che da essi uscisse una figlia per entrare nella famiglia di un popolare, il cui cognome comincia ad essere conosciuto dopo la morte tragica di Filippo. Deve essere adunquo una favola dei genealogisti.
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Narra lo Scala che Talda alla crudele notizia della morte del marito, non ritenendosi ormai più sicura in S. Miniato, prese seco i figliuoli e si rifugiò con essi in Padova.
13 Ita questa sua determinazione è facile argomentare non senza qualche probabilità che essa avesse in Padova dei parenti, presso i quali sperava di avere di molti aiuti e conforti. È vero, che molti scrittori, non escluso lo stesso Litta, affermarono, che Talda si portò coi tigli immediatamente a Milano; ma l’autorità dello Scala, che trasse le sue notizie dalla stessa famiglia Borromeo, merita a mio parere maggior fede; tanto più, che essi tutti collo Scala ci appresero che Andrea Borromeo, il minore de` fratelli, si diede tosto a compire in Padova a quella università i suoi studii, dove ebbe altresì la laurea, e fu insignito del titolo di cavaliere aurato.
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Gli altri fratelli, a quanto pare, si dedicarono alla mercatura e in breve acquistarono molta rinomanza e molte ricchezze, oltre alle non poche che seco aveano recato dalla patria: e quando la sorella crebbe in età, ivi pure la collocarono in matrimonio a Giacomo Vitaliano o de` Vitaliani, famiglia illustre di quella città.
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Era signore allora di Padova Francesco I da Carrara, il quale, conosciuta l`abilità grande di Borromeo, il maggiore dei fratelli, lo elesse all`ufficio di tesoriere. Se non che veggendolo i Carraresi crescere ognora più in ricchezze, e per questo temendolo ed invidiandolo, gli cercarono cagione addosso, e lo arrestarono; e il Borromeo non potè uscirne libero, che pagando la somma di ventiduemila scudi d`oro.
Fu per questa cagione, che Borromeo per sottrarsi alla prepotenza de` Carraresi deliberò di trasferire insieme coi fratelli il proprio domicilio in Milano, dove fu accolto assai favorevolmente dal duca Giangaleazzo Visconti, il quale, alcuni anni appresso, concesse loro anche la cittadinanza di Milano (1394), secondo che narrano espressamente col Litta molli altri scrittori. Aggiungono inoltre, che Borromeo giunto in Milano, per vendicarsi dell` ingiuria ricevuta dal Carrarese, si diede ad instigare il Visconti ed i Veneziani contro di lui, né mai si ristette da ciò fare fino a che questi non giunsero ad abbatterlo e spogliarlo de` suoi dominii (1387). Però avendo tre anni dopo Francesco Novello da Carrara ricuperato quando si conchiuse da ultimo per la mediazione di Papa Bonifacio IX nel 1392 la pace fra esso e il Visconti, questi
obbligò il Carrarese alla restituzione di ogni cosa stata tolta al Borromeo.
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Non trovo farsi alcun cenno di questo dallo Scala, il quale invece narra semplicemente, che essendosi i fratelli Borromeo dedicati in Padova alla mercatura, per riuscire meglio nel proprio intento deliberarono di trasferirsi in Milano, dove in breve essi crebbero in ricchezze ed autorità tale e tanta, che Giangaleazzo quasi niuna cosa imprendeva senza il loro consiglio o concorso. Ed aggiunge, che dell`opera loro si valse in modo particolare nell` acquisto di Pisa (1399). Perocché dovendo egli pagare per questo un`ingente somma, ed essendo per tante sue spedizioni già esausto il suo erario, Borromeo gli somministrò la somma di circa sessanta mila fiorini d`oro.
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Grato per sì segnalato benefizio il Visconti lo ricompensò col dargli la Signoria di Val di Taro e del Castello d` Arquato nel Piacentino col titolo di conte. Anche questo fatto viene espressamente riferito dal nostro Scala,
18 mentre i più affermano essere stato investito di questa Signoria il Borromeo dal successore di lui Giovanni Maria Visconti con diploma del primo (altri dicono del 9) maggio 1403, che Paolo Morigia attesta di aver veduto.
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Qual genere di mercatura esercitassero allora i Borromeo non è detto dallo Scala: ma a quesiti suppliscono altri scrittori, i quali affermano che di panni e di lane, soggiungendo, che avendo essi con questo mezzo acquistate molte ricchezze ben presto anche apersero banco. E ci attesta a questo proposito il Cantù che Borromeo fu de` primi che usasse di trarre lettere di cambio, e che il giureconsulto Baldo adduce due cambiali di lui, l`una del 1381 sotto nomi supposti, e l`altra del 1395 di Borromeo Borromei da Milano sopra Alessandro Borromeo.
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Le cose dei Borromeo proseguivano a prosperar grandemente sotto il duca Giangaleazzo, e si ha dalla storia, che nel 1399, secondo il Giulini, ovvero nel 1400, come narra il Coronelli, Borromeo stette mallevadore di Teodoro marchese di Monferrato per la somma di dodici mila scudi presso di lui per continuare la guerra intrapresa contro Amedeo di Savoia.
21 Morto poi Giangaleazzo, e mutato lo stato delle cose in Milano sotto il successore di lui Giovanni Maria, come a suo luogo fu detto, Borromeo caduto in disgrazia di questo e spogliato dei feudi, che aveva ottenuti, concepì il disegno di allontanarsi lestamente da Milano insieme coi suoi fratelli, e di trasferire il suo domicilio in Venezia, ad eccezione di Andrea che si portò ad abitare in Bologna, dove sempre da poi rimase e di Giovanni, che, come appresso diremo, ritornò in Milano.
22
Morì BorromeO di Borromei in Venezia l`anno 1422 e fu sepolto nella chiesa di S. Elena,
23 lasciando di Maddalena Moviglia, milanese, sua moglie, cinque figliuoli, tre maschi, Galeazzo, Antonio e Giovanni, dai quali si propagarono i diversi rami de` Borromei in Venezia ed in Padova,
24 e due femmine, Beatrice ed Elisabetta. Ques’ultima fu data in moglie nel 1423 a Bernardo Salviati.
Alessandro Borromeo morì similmente in Venezia l’anno 1431 lasciando eredi di tutto il suo avere i figli del fratello. Fu uomo assai benefico: edificò a proprio spese una cappella magnifica dedicata a S. Elena nella chiesa di questo nome, dove anche ebbe il suo sepolcro,
25 facendo al tempo stesso grandissimi doni di rendite all`annessovi monastero degli Olivetani.
Di Andrea poi, l`ultimo de` fratelli Borromeo, non ho trovato l`anno della morte. Il Coronelli scrive, ch’esso ebbe una figliuola, maritata in Amerigo de` Verri di Capodistria.
Discorse così brevemente le prime memorie di questa famiglia dalla sua origine, accostiamoci ora più da vicino a quel ramo di essa, che stabilitosi definitivamente in Milano dovrà essere quinci innanzi la guida fedele della illustrazione storica dei luoghi del nostro Lago.
1 Per dare un saggio di questi famosi edificatori di genealogie riferirò qui un brano di Giampietro De` Crescenzi, scrittore del secolo XVII, tolto dal suo
Anfiteatro Romano (pag. 132). Dopo un preambolo, nel quale confessa di non poter dire, per le ragione che sono infinite, quante auguste famiglie della stirpe Troiana degli Anicii venissero a felicitare tutta l`Europa, così prosegue:
«Se da Enea, avo de` Cesari, onde Anicio Giustiniano imperatore pregiavasi del titolo di Eneade, o prima da Autenore, che Padova fabricò e lasciò i posteri in possesso della provincia Veneta, siano discesi gli Anicii, non per anco mi piglio a disputarne. Accerto bene, che o da questi o da quelli venendo, vennero dai re di Troia. E gli stessi Vitaliani, or Borromei, già re di Padova, benché de’ posteri di Antenore si predicassero, pure il cognome Anicio non ricusarono; poiché ascritti alla romana nobiltà si aggregarono agli Anici per essere tutti di un sangue e tutti originare della regia di Troia. Non mancano di quelli, che i Vitaliani stessi da Enea piuttosto
genus onde Latinum
Albanique patres atque altae moenia Romae
per la discendenza dei Silvii re del Lazio, che dalla posterità di Antenore, vogliano dedurre. Tutti in questo concordi sono, che vengano da Dardano primo fabbricatore di Troia:
Dardanus Iliacae primus pater urbis et auctor
Da qui non solo Giulio Cesare ed Ottaviano Augusto primo imperatore, anco gli stessi Faramondo e Meroveo, primi re della Francia, così gli imperatori S. Carlo Magno e Rodolfo e Carlo V d`Austria, per conseguenza i potentissimi re delle Spagne, gli arciduchi della Germania, i cristianissimi della Francia, ed infinite coronate teste riferiscono la grandezza de` loro natali... A farci poi credere di Anicio sangue la casa Borromeo giova molto la di lei fede incorrotta ecc.»
Ma basti questo; il lettore, credo, potrà supplire al resto, che segue di questo tono. Chi poi volesse conoscere quanto fu scritto nei secoli scorsi sull`origine di questa famiglia, potrà ricorrere alle Tavole Genealogiche di essa nell`opera in corso di stampa col titolo:
Famiglie notabili Milanesi (Milano, 1875 e segg.) ed al
Cenno storico premesso ad esse Tavole da Leopoldo Pullè, il quale anche ci offre la lunga serie degli Scrittori, dai quali con somma cura e diligenza le trasse.
2 Narra il Coronelli nella Biblioteca Universale (Venezia, 1706, fui.) T. 6, pag. 789, che Giovanni de` Tarsis, contemporaneo di questo Lazzaro, nella Storat di Arezzo rende solenne testimonianza dell`insigne liberalità di esso Cavaliere, il quale, prosegue il Coronelli, ebbe molti fìgliuoli, uno de`quali per gli applausi, che gli si facevano dalle turbe de` pellegrini, nominò Buon-Romeo. ho fatto più volte ricerca di questa Storia di Arezzo, ma inutilmente.
3 È necessario però di avvertire, che questa famiglia non fu la sola e nè anco la prima ad essere così denominata, giacche è nota tra le altre e presso di noi l` illustre casa de` Borromei di Vercelli, della quale fu Uguccione, vescovo assai benemerito di Novara dal 1301 al 1329. Ma innanzi a lui un Pietro Borromeo è ricordato nelle vecchie scritture come console di Vercelli nel 1181 (Si vegga Carlo Dionisotti,
Notizie Biografiche dei Vercellesi illustri, Biella, 1862). Ed in altra carta del 1234 (ch` è nel Codice de’ Biscioni, T. IV, pag, 231), è ricordato similmente un altro Pietro De Bonoromeo (così) pur di Vercelli.
4 Nacque Lorenzo Bonincontri in S. Miniato l`anno 1410. Non si conosce l`anno della sua morte, che dovette però essere nella seconda metà alquanto inoltrata dello stesso secolo XV. Scrisse gli Annali di S. Miniato, che furono pubblicati dal Muratori nel T. XXI,
Rerum Italicarum con questo titolo:
Laurentii Bonincontri Miniatensis Annales ab anno 1360 usque ad 1458, nunc primum e MS. Cod. Minialensi in publicam lucem prolati.
5 Si vegga il fascicolo XXXIX dell`Opera succitata, uscito in Milano l`anno 1837.
6 Vedi il Ripamonti nell’opera, della quale darò il titolo più innanzi, alla pag. 67, dove nota per altro, che
Lazarino Borromaei filio res adhuc angustior fuit.
7 Questi nacque in Firenze l`anno 1424 e vi morì l`anno 1497. Scrisse la Vita di Vitaliano Borromeo apprendendone le notizie in gran parte dalla viva voce di Filippo suo figlio, e la dedicò a Pietro de` Medici, alla famiglia de` quali era addetto. Questa vita giacque nascosta oltre due secoli nella libreria Medici di Firenze, dalla quale fu tratta e resa di pubblica ragione due secoli or sono, con questo titolo:
Bartholomaei Scalae Vita Vitaliani Borromaei ex Bibliotheca Medicaea, Romae, typis et sumptibus Nicolai Angeli Tinassii a. MDCLXXVII, in 4.° picc. – Essendo questa vita rimasta ignota agli scrittori delle cose de` Borromei, anteriori alla pubblicazione di essa, è facile argomentare, come non trovandosi da veruno di questi citata, anche gli scrittori posteriori non ne approfittassero gran fatto. Questo spiega altresì il silenzio dello Scala appo quelli, che scrissero sino a questi ultimi tempi intorno ai Borromei. Ecco il tratto, dal quale si rileva ciò che abbiamo detto qui sopra:
Miniatum, scrive egli (alla pag. 8),
oppidum est Etruriae nobile, non plus quam XX fere milliaribus a Florentia, cuius etiam in ditione nunc est, distans. In eo autem Borromaeorum gens cum opibus et potentia non mediocriter polleret, ita ut oppidi principes facile diceres, suspecti tamen Florentinis esse cepere. Se i Borromei fossero stati realmente signori di S. Miniato, come altri affermarono, egli non avrebbe potuto scrivere:
ita aut oppidi principes facile diceres.
8 Lo Scala al luogo citato dice dodici:
Quamobrem, così prosegue
, ad duodecim ex primoribus una captis nocte, atque actis in carcerem, capitis damnaverunt. In quibus Philippus quidem Borrhomaeus fuit, vir per eam tempestatem nobilis, atque eius fere factionis princeps. – Il Cantù poi nelle sue
Storie Minori, Vol. Il, pag. 273, sulla fede del Coronelli (Biblioteca universale, T. 6, pag. 790), narra, che Filippo Borromeo fu consegnato in mano dei Fiorentini pel tradimento di un suo capitano.
9 Philippus vero Borromaeus a pueris per totam urbem distractus in Arnum proiectus, quod infantem necaverat. Così il Bonincontro (I.c. pag. 17). Lo stesso ricorda nuovamente questo fatto più sotto (alla pag. 70), ed aggiunge di averlo udito dalla bocca di suo padre. Non è pertanto a prestar fede al Ripamonti, che sembra dubitare della verità di questa tragica fine di Filippo.
10 Compositis, scrive il Ripamonti pag. 68,
in Hetruria rebus, prioris fortunae partem, et publicata illic bona recepere, dataque Borromeae genti pax a Florentino populo, sicut urbis etiam illius monumenta testantur. Di questa restituzione dei beni confiscati dai Fiorentini parlano anche altri scrittori; ma è taciuta affatto dallo Scala.
11 Hic habuit, scrive lo Scala (I.c.),
uxorem Taldam nomine virili quadam prudentia animoque praeditam. – Il Ripamonti poi scrive della medesima (pag. 72).
Matrona ultra feminam prudens, et suae domus utramque fortunam experta pari animo.
12 Oltre all`argomento offertoci dal co. Litta, a me pare che anche la cronologia smentisca questa asserzione; poiché pur supponendo che Talda fosse sorella maggiore di Beatrice, come scrive il Crescenzi (l.c.), essa alla morte di Filippo Borromeo suo marito nel 1370 era già stata madre di cinque figli, mentre Beatrice non era ancora nata. Questa, essendo morta nel 1418 nell`età di anni 46, non potè vedere la luce che intorno al 1372. La cosa poi è ancora più evidente se si ammetta il racconto del Ripamonti. Questi dopo avere asserito che Talda era sorella di Beatrice (pag (72), scrive che essa Talda venne a morte poco dopo l`assunzione al trono di Filippo Maria Visconti (a. 1512) in età di anni 73 : Talda deinde moritur (pag. 72) in septuagesimo quintum annum egressa vitae spatio. Ammettendo che sia morta, al più tardi, l`anno 1414, essa sarebbe nata intorno al 1339; sicché tra la nascita sua e quella della sorella sarebbero corsi oltre 30 e più anni. D`altra parte poi la nascita li Talda nel 1339 circa, pienamente concorda col racconto delle sue geste: poiché supponendola moglie di Filippo Borromeo all`età di 15 anni, cioè intorno al 1336, nel 1370 essa poteva benissimo avere avuto da lui i cinque figli summentovati, ed essere questi alla morte del padre in età ancora immatura.
13 Quae (Talda)
cum Borromaeo, Alexandro, lohanne … et Andrea parvis filiis, quos ex Philippo genuerat, Pavium (leggi Pataviuni, come più innanzi)
amisso viro, aufugit. Filiam quoque Margheritam parvam adhuc termini adduxit. Ripamonti (pag. 68) poi è il principale tra quelli che scrissero, che Talda condusse seco i figliuoli da S. Miniato direttamente a Milano, e che questi furono accolti assai benignamente da Bernabò Visconti, e che solo si portarono la prima volta in Padova dopo le discordie nate tra Bernabò e Giangaleazzo.
14 Questo narra anche il Coronelli, Biblioteca Universale, Venezia, 1706, fol. T. 6, dove parla a lunga della nostra famiglia, trascrivendo quasi alla lettera il citato Crescenzi.
15 Quae Margherita, scrive Io Scala (l.c.),
ad annos pubertatis cum venisset, lacobo, homini imprimis claro nuptui data est.
16 Narra appunto il Coronelli (I.c. pag. 790), che tra i patti di questa pace v’era anche questo:
che si restituisca l`occupato al Sig. Borromeo de` Borromei di S. Miniato, e che alla detta pace sottoscrisse anche il celebre giureconsulto Baldo (Bald. Vol. 2, post cons. 147).
17 Mares autem, prosegue alla pag. 9 lo Scala,
cum adolevissent, mercaturae operam dantes, quo id melius facere possent, Mediolanum se contulere, ubi brevi ad id divitiarum atque auctoritatis devenere ut nihil fere a Iohanne Galeatio vicecomite, qui per id tempus Mediolanensibus imperabat, nisi per Borromaeos ageretur. Quorum opera eum saepenumero alias tum vel maxime in Pisana emptione usus est. Cum enim ingentem pro civitate pecuniam esset soluturus, ipsemet propter continuas expeditiones exhaustum haberet aerarium, ad sexaginta fere aureorum millia Borromaeus illi subministravit.
18 Quod non mediocre beneficium, prosegue egli, Galeacius dicens, ut aliquam gratiam rependeret, Thiare vallis et Arquati comitem instituit, exque eius merito semper adamavit.
19 Vedi la sua Storia di Milano (Venezia, 1302) pag. 523. Dopo il Morigia ripeterono questo fatto altri molti, come lo Schroeder nel suo Repertorio Genealogico (T. I., pag. 147). Tuttavia soggiungendo il co. che Giovanni Maria Visconti dopo avere concesso questi feudi al Borromeo, poco dopo anche glieli tolse, e nel 1407 ne investì gli Scotti, credo, che la cosa, non potendo negar fede in questo allo Scala, si possa conciliare col supporre, che il diploma di Giovanni Maria sia una conferma di quello anteriore di Giangaleazzo suo padre, ovvero che non avendo questi, prevenuto dalla morte, potuto mandare ad effetto il suo divisamento, sia stato invece questo eseguito l`anno appresso dal successore di lui. – Gioverà a questo proposito anche riferire le parole del Ripamonti, che aggiunge qualche altra notizia non riferita dallo Scala.
Penes Borromeum (pag. 70),
qui maximus noti erat, actionum et honorum gloria fuit. Consiliarius Principis (Giangaleazzo)
hic, et eo mortuo tutor liberis relictus summa quaeque administrabat. Hic Bononiam cum imperio est missus: paci apud Genuam cum Carrariensibus faciendae interfuit: pecunia sua refecit classem, cum navali proelio Vicecomes afflictus subsidium id ab ipso poposcisset. Ob ea in principatum et in Rempublicam merita, Arquaturn et Vallem Tari et onerum omnium immunitatem et stipatores corporis armatos, lohannes Maria Galeacii filius, et Catharina mater concessere, quorum rerunt concessionumque omnium diplomata et monumenta in familiae tabulario adservantur, postquam res ipsae periere.
20 Vedi la sua Storia degli Italiani, c. CXXIV. Altrove poi narra che i Borromeo possedevano anche una fabbrica di panni grossolani, ed osserva che i nobili di allora non si vergognavano di tal professione, mentre si trova, che figurassero sulle matricole i Litta, i d` Adda, i Bassi, i Crivelli ed altri assai della prima nobiltà milanese di que’ giorni senza alcun pregiudizio della medesima; laonde anche nobili mercanti vengono chiamati dal Corio presso il Giulini (l.c. P. III, pag. 484). Un elenco delle famiglie nobili, che si applicavano al commercio nei secoli XV e XVI è dato dal Sitoni presso il Calvi, Patriziato milanese (Milano, 1863. in 8.vo) pag. 66. Scrive poi il Brambilla (op. cit. Vol. I, pag. 330): «Si sa che i signori Borromeo assunsero insieme collo stemma le principali fabriche di panno dei soppressi Umiliati. Il panno ch’essi vendevano era perciò detto
Borromee, ed i venditori girovaghi del medesimi erano chiamati dal popolo i
Borrometa». Il fatto è vero; ma non è vera l`assunzione dello stemma dagli Umiliati, come vedremo più innanzi.
21 Narra questo il Giulini nella citata Continuazione delle sue Memorie (P. III. pag. 45). Non possiamo dispensarci dal riferire colle sue stesse parole la deduzione, che esso ne trae: «Questo Borromeo de` Borromei cittadino Milanese, qui nominato dal Corio, conferma sempre più la mia opinione, già esposta altrove, che la nostra illustre famiglia dei Borromei discenda veramente da Borromeo de` Borromei Vercellese, fratello di Ugucciono de` Borromei Vescovo di Novara ; poiché l`eguaglianza de` nomi specialmente se un po` strani, è un argomento ammesso generalmente da tutti i più critici genealogisti per provare ne` tempi lontani l`identità delle famiglie».
Cosi egli: ma questo argomento nei caso nostro non ha valore dopo i documenti storici, che abbiamo prodotti e le stesse epigrafi sepolcrali di alcuni de` nostri Borromei, che qui appresso soggiungeremo. Il Borromeo poi Vescovo di Novara ebbe un nipote chiamato Martino, come ci attesta il Bescape (Novaria, pag. 463), il qual nome non si trova mai usato dalla nostra famiglia. Errò similmente anche il Coronelli, scrivendo (al l.c. pag. 789) che il Buonromeo figlio di Lazzaro era Vicario generale di Uguccion Borromeo suo fratello, Vescovo di Novara, confondendo, in una due diverse famiglie.
22 Gioverà riferire anche qui le parole dello Scala, il quale così prosegue:
Galeacio vero mortuo et mutatis rebus, cesserint prudenter illi quidem tempori, Venetiasque concesserunt, ibique postea fuerunt, praeter Andream, qui Bononiam profectus, ibique reliquam omnem atatem absumpsit et lohannem, qui cum audisset Mediolanensium res esse compositas, Philippumque Mariam Anglum, lohannis Mariae fratris, qui post Galeacium regnavit, obque ipsius crudelitatem ab suis trucidatus est, imperio successisse, redeundi Mediolanum consilium cepit.
23 Il Ripamonti al contrario scrive che Borromeo morì in Padova, e che ne fu poi trasportato il cadavere in Venezia nel sepolcro, che il fratello aveva per sé e per lui colà fabbricato. Sed Borromaeus (pag. 71) prior moritur apud Patavium, quo se contulerat, relicto Venetiis fratre, indeque infertur sepulcro, quod vivens Alexander commune sibi cum eo posuerat. Matteo de Reversis milanese gli compose il seguente epitafio:
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Insignem virtute virum, comitemque Tiarae
Vallis et Arquati Dominum, celeberrima praesens
Urna tenet. Tantam genuit Florentia prolem
Hic pietatis honos, gravis et sectator honesti
Bonromaeus erat iustus: ditavit egenos
Semper, et his meritis superam penetravit ad aulam
Matthaeu. de Reversis
Mediolanensis fecit MCCCCXXII.
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24 Capostipite dei Borromei di Padova è Antonio di Borromeo de Borromei, dal quale si propagarono quattro rami, uno dei quali si estinse nel 1666, un secondo nel 1813, ed un terzo nel 1819. Un quarto esiste anche oggidì. La genealogia di questi rami si può vedere presso il Litta suddetto. Non è del nostro scopo l`occuparci di essi: mi sia lecito tuttavia di ricordare un candido fiore uscito dai Borromei di Padova, il quale trova, come vedremo, un qualche riscontro anche nel nostro, voglio dire di Bianca Borromeo, che fu celebrata non meno per la sua dottrina che per le sue virtù. Narrano che avesse una perfetta contezza delle lingue classiche e delle scienze, e che molti mossi dalla fama che avea levato di sé, anche da lontani paesi venissero per udire le sue pubbliche lezioni. Cessò di vivere nel 1537 in età ancor giovanile e il dotto Alessandro Leonardi gli compose il seguente epitafio:
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Candida honor Potavi immatura morte perempta,
Ut rosa vix florens ungue recisa cadit.
Tecum omnis virtus, tecum omnis forma recessit
Aeterni merito te voluere dii.
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25 Con apposito epitafio, del quale riferirò solo il principio in confermazione di quanto abbiamo detto sull` origine di questa famiglia
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Mitis Alexander vir Bonromaeus Etruscus
Natus enim Sancto Miniate propagine clara etc.
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Una figlia naturale di lui, a quanto pare, per nome Giovannina, è ricordata da alcuni scrittori delle cose del nostro Lago come moglie di uno della famiglia Franzi di Pallanza, dalla quale questi ebbe un figlio chiamato dal nome della madre Giovannino.
- Autore:
- [Vincenzo De Vit]
- A Cura di:
- [Carlo Alessandro Pisoni]
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Biografia Carlo Alessandro Pisoni
Carlo Alessandro Pisoni (Luino, 1962 - Varese, 2021). Seguendo le orme del padre Pier Giacomo,
dal 1991 al 2017 è stato conservatore, per gentile concessione dei principi Borromeo, dell'Archivio
Borromeo dell'Isola Bella. Appassionato studioso e ricercatore, ha sempre voluto mettere a
disposizione degli altri conoscenze e scoperte, togliendo la polvere dai fatti che riguardano Lago
Maggiore e dintorni; insieme a studiosi e amici, ha riportato alla luce tradizioni, eventi e personaggi
passati dal lago, condividendoli con la sua gente.
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