Don Piero Folli vide la luce del mondo il 17 settembre 1881, e la luce della fede il giorno 18 seguente; come spesso usava, non si frapponeva soverchio tempo tra la nascita e il battesimo per escludere rischio di morte subitanea.
Dai registri degli atti di matrimonio e di battesimo della parrocchia e del comune di Premeno risultano alcune maggiori precisazioni sulla famiglia di don Piero Folli.
Egli era figlio di Giuseppe del fu Santo e Teresa Cagnazzi, nato a Chiosi di Lodi (o Fontana Chiosi di Lodi), nel 1880 domiciliato a Milano ma residente in Premeno; in quell’anno egli si sposava con Catterina Rosa Tambornino (da distinguere dai Tamborini, ceppo peraltro esistente anche a Premeno) del fu Giovanni di Giulio e della vivente Domitilla Zamponi e residente in Premeno, ma nata a Düren, presso Colonia e allora in Prussia.
Stando ai dati riportati nella registrazione di matrimonio dei due giovani, la famiglia Tambornino risultava agiata, anche se a ciò per la madre di Caterina, Domitilla Zamponi ved. Tambornino non corrispondeva particolare istruzione, firmando ella gli atti con il segno di croce dell’illetterata. Giuseppe Folli dichiarava invece una professione di cuoco, il che potrebbe far sospettare una sua collocazione a servizio in qualche famiglia dell’alta borghesia milanese in villeggiatura a Premeno.
Lo potrebbe confermare, oltre alla data del matrimonio (17 agosto 1880), la professione di almeno un testimone di nozze: Luigi Perelli Cazzola è noto quale giardiniere della fine secolo XIX, attivo come manutentore del giardino e delle serre della premenese villa Perelli Pasta, e probabile socio della Società Orticola Verbanese nel 1889.
Conforta tale supposizione anche l’atto di nascita di Piero Folli. Primo di sei fratelli, condivise con la sorella Teresa (1883-1960) la sorte di nascere a Premeno, mentre tutti gli altri videro la luce a Milano. «Il luogo di nascita di Piero e Teresa, Premeno sulla montagna di Intra, non è casuale. La famiglia soggiornava d’estate presso lo zio materno di Caterina, don Pietro Zamponi (Piana di Forno 1829-1897), per 28 anni coadiutore a Premeno e per 12 a Oggebbio, e la donna vi si trattenne a respirare aria buona sino al parto». Ma alla nascita e all’immediato battesimo di Piero (che ricevette i nomi di Pietro Paolo) il padre Giuseppe era assente, e, sola parente, l’ava Domitilla apponeva il segno di croce come madrina del piccolo, nato al mezzogiorno e venti minuti del 17 settembre: la mancanza del padre è forse un ulteriore segno del fatto di come Premeno fosse luogo di conoscenza tra il cuoco Giuseppe Folli, in forza presso una famiglia altolocata milanese e che la professione obbligava ad assenze e trasferte, e la giovane Caterina che viveva con la madre presso lo zio ecclesiastico?
Il resto della vita di don Folli è benissimo tracciato da quanti hanno scritto di lui, personalmente conoscendolo (il giornalista e scrittore Aldo Mongodi per primo) o ricostruendone sulle carte e dalle carte l’intensa vicenda umana.
Per una esaustiva e aggiornata ricognizione della parabola vitale di don Folli, si indicano al lettore le pagine apparse nel giugno 2009 sulla rivista Vallintrasche 2009, disponibile ai soci del MSV.
Una nota biografica su don Folli
di Francesco Scomazzon
Nel 1923 giunse a Voldomino, paese dell’entroterra Luinese, don Piero Folli. Parroco dal temperamento austero, fin dagli anni dell’adolescenza manifestò quella straordinaria apertura e sensibilità alle problematiche sociali che, svelate in occasione delle battaglie operaie del 1898, avrebbe dimostrato ancora negli ultimi anni del secondo conflitto. In particolare dopo l’armistizio del settembre 1943 l’attività a favore di militari sbandati, ex-prigionieri di guerra e giovani militari renitenti alla chiamata di Salò, accentuò in Folli quello spirito caritativo e assistenziale che si sarebbe manifestato anche nei riguardi dei tanti ebrei in fuga dalla stretta repressiva della Repubblica Sociale italiana. D’altronde la vicinanza di Voldomino al confine elvetico rendeva il paese una tappa quasi obbligata per tutti coloro che, provenienti dal capoluogo e anche da altre parti d’Italia, erano diretti verso la libera e democratica Confederazione.
La sua casa, la sacrestia, l’oratorio e il vecchio asilo invasi da centinaia di persone alla macchia, non potevano ovviamente non attirare l’attenzione della milizia fascista che, il 3 dicembre 1943 durante un’irruzione, scoprì una quindicina di ebrei provenienti da Genova, accompagnati dal segretario dell’allora cardinale Boetto. Don Piero, fermato e legato all’inferriata della Canonica mentre il gruppo veniva arrestato e percosso, venne trasferito immediatamente al carcere milanese di San Vittore, dove subì ulteriori torture e pestaggi perché rivelasse i nomi di complici e organizzatori degli espatri.
La sua resistenza dopo tre duri mesi di carcere venne ripagata dall’intervento del cardinale Schuster, che gli garantì il confino prima a Cesano Boscone e poi al domicilio coatto di Vittuone dove sarebbe rimasto fino al termine del conflitto. Ritornato a Voldomino, nel febbraio 1947, mentre si recava a Creva per confessare, venne colpito da paralisi. Morì al terzo attacco del male l’otto marzo 1948.
Ancora oggi una
lapide, sulla volta del portico che da piazza Piave in Voldomino conduce alla casa parrocchiale, ricorda quel tragico 3 dicembre 1943 e il coraggio di un prete torturato al servizio dei perseguitati.