STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

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Articolisti:
Müller, Carlo
Titolo Articolo:
Intra - I tumulti contro le Sbianche (1758) - parte 04
SottoTitolo Articolo:
Testata ospitante l'articolo:
La Vedetta
Data:
1905 mag 09
Progressivo di Edizione:
a. 020 (XX), n. 035 (1905 mag 09)
Note Generali:
Con la medesima scelta, suppergiù, di argomenti parlano altri rappresentanti di paesi della nostra Giurisdizione. Ai quali, come non ce ne fosse d’avanzo dei nostri, si aggiungono, nel gridare la croce addosso alle povere sbianche, anche delegati di fuori via, di Cannobio e di Baveno, i quali si fanno a denunziare gli stessi guaj nelle loro campagne; a nessuno, fra tanti, venendo in mente che, riscontrandosi gli stessissimi fenomeni anche là dove le sbianche non c’erano, poteva parer non troppo sragionevole che si avesse a cercare all’infuori di quelle poverette la causa dei malanni comuni.
Sceso ultimo nell’arringo, il sindaco di Mergozzo si mostra impensierito del lato spirituale della questione, vale a dire della salute delle anime; atteso che la universale indignazione contro le sbianche è causa, dice il buon uomo, di «continui peccati, non sentendosi che biasteme, maledizioni et imprecazioni; e però essere impegno del zelo della Maestà Sua di togliere, per la maggior gloria di Dio, tali scandali e quei sconcerti che potrebbero dalli animi arabbiati et oppressi dalle miserie suscitarsi».
Come si vede, il nemico era stato investito bravamente da ogni parte, per ogni verso; e la carica contro di lui non poteva desiderarsi più concorde, più a fondo, né più indiavolata per la foga degli assalitori e per la scelta delle armi.
Il conte delegato, fatto buon viso ai memoriali e subìta con benigna rassegnazione la sfuriata delle accuse, riprende la parola cercando destramente di persuadere il popolo dell’errore: cita il giudizio assolutorio dei medici nel caso di identiche imputazioni mosse alle sbianche di Valsesia;1 adduce l’esempio di simili manifatture stabilite, in buon numero e senza inconvenienti al mondo, da tempo nelle Fiandre, nell’Impero, in Isvizzera e di recente nel Comasco; aggiunge che, per conto suo, chiamerebbesi ben fortunato di potere, col sopprimerle in questi paesi, introdurle nella sua provincia, dotandola della ricchezza apportata da tale industria fiorente. Dimostra la ben poca fondatezza e serietà dei capi d’accusa e degli argomenti messi in campo dagli avversarii delle sbianche. Tuttavia (qui ci voleva pure un contentino), a legittima soddisfazione degli animi, promette di mandare, con tutta sollecitudine, sul luogo un medico di fuori a fare la sua brava inchiesta, spassionata e coscienziosa, che abbia da servire di criterio al provvedimento da sottoporsi alla decisione di Sua Maestà, la quale, nella sua saggezza, diremo noi col poeta milanese

l’avarìa poi fatt ciò che le fuss piaciutt.*

Il giudizio e abile discorso di Sua Eccellenza non ottiene quel buon successo oratorio che si meritava, né l’effetto che stava a cuore all’inviato del governo, ma viene accolto dal turbolento uditorio con un sordo ma eloquente mormorio di disapprovazione, che non tarda a spiegarsi [= sciogliersi, dispiegarsi] in aperte proteste: i medici forastieri non averci che fare in questa faccenda del paese, poter benissimo venir comprati dall’oro dei proprietarii delle sbianche e via dicendo. Sopra poi allo schiamazzo e al vocìo incrociato e discorde si fa udire alto e insistente il ritornello: Vogliamo provvidenza, che la vada, che la vada!
Tenta il conte delegato di fare intender ragione agli ostinati e tenere a bada gli impazienti, impegnando solennemente la sua parola, che in quella notte stessa avrebbe spedito apposta una staffetta al re per sollecitare gli opportuni provvedimenti; ma la folla, che da quell’orecchio non voleva udire, a più alte grida reclama che si provveda sul momento, con la chiusura delle sbianche. E cercando Sua Eccellenza di tener testa al tumulto crescente, col replicare non aver egli facoltà per un così grave provvedimento ma esser necessario un ordine espresso del re, il popolo – riferisce il nostro verbale – «affollandosi al tavolo dove era assiso detto sig. conte delegato, chi se gli presenta con rami le di cui foglie erano imbrattate di materia bianca, altri con cavagni con entro grappoli d’uva neri e consonti, uve secche, erbe e foglie imbrattate di detta materia... ed anche da longi gettatogli sul predetto tavolo un fazzoletto pieno di consimili grappoli ed uve, ritornò confusamente ad esclamare: Provvidenza, Provvidenza, ma subito, che la vada, che la vada!» A queste grida se ne aggiungono altre, di un tenore più esplicito e risoluto: «che se non si fosse data pronta provvidenza, l’avrebbero eglino da sé presa col levare le tele, perché, coll’andare a male le castagne, non volevano morire di fame»; e qui, in coro, a urlare più forte e più sodo: Che la vada, che la vada, ma subito! Non vogliamo perir tutti per tre o quattro!.
Visto che la faccenda accennava a prendere brutta piega, stimò prudente Sua Eccellenza, a tutela della propria dignità e del proprio decoro, ritirarsi in buon ordine nel pretorio di sopra. Dietro a lui venne premurosamente chiusa la porta, non permettendosi l’entrata che alle persone di conto e di giudizio, ai sindaci, consiglieri e deputati.
Ma il popolino minuto, rimasto di sotto in piazza, seguitava, più inferocito che mai, a tumultuare vociando: Provvidenza! Ad accrescere forza e paurosa solennità alla dimostrazione, ecco all’urlìo della folla unirsi da lontano e far da bordone la voce grossa e minacciosa della campana maggiore che alcuni dei più scalmanati erano corsi a suonare a stormo.



1 Non sarà estraneo al fatto lo scritto apologetico del SEBASTIANO ROVIDA, Le bianche di Varallo difese, con discorso meteorologico, Novara 1739.

* CARLO PORTA, La Nomina del Cappellan, 42 [N.d.R.]
A Cura di:
   [Gioacchino Civelli]

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