Eremo di S. Caterina del Sasso, detto anche il
Sasso Ballaro.
La fatica del disagevol cammino è compensata dalla singolarità prodigiosa di questo venerato romitico asilo, non che dalla incantevole vista, che vieppiù maestosamente bella apparisce, man mano che si accede su nel rupinoso colle, a pie’ del quale il sacro speco è lambito e flagellato dall’onda. Al medesimo diede origine e nominanza uno di quegli uomini di ferrea volontà e d’entusiastica fede, dei quali appena troviamo esempi nella primitiva età del Cristianesimo.
ALBERTO BESOZZO, gentiluomo natio della vicina terra di Besozzo, ricco avaro e immerso dalla giovinezza a gola in tutti vizi, mentre un giorno su fragile barchetta tragittavasi dall’opposto lido, venne improvvisamente colto da ruinosa procella, e contro quest’irta scogliera lanciato a precipizio: il legno andonne a pezzi, ed egli aggrappatosi ai cinghi dell’ignuda balza, e introdottosi nel vicin antro, come per prodigio fu salvo. In quel frangente ei fermò nell’animo il proposito di torsi ad ogni dolce consuetudine della vita, e darsi, in quell’antro medesimo, specchio al mondo della più aspra e penitente austerità, facendo copia d’ogni aver suo ai poverelli.
Qui dunque, segregatosi da ogni umano consorzio, con solo una croce di legno dalle sue mani contesta, un vaso di creta da bere, ed un cestello di giunchi, da una funicella raccomandato per un tozzo di pane alla carità dei naviganti, visse, conforme narran le cronache, per ben 34 anni, pago del cuore e traboccante di gioia nel pensiero di Dio. E qui dalla pietà dei visitanti, che di quanto in quanto, massime nello infierire della pestifera lue del 1348, moveano a chiederlo di consigli e di preci, venne primamente costrutta una cappella a S. Caterina, d’onde ebbe nome il dirupo. E qui l’austero e pio solitario consumò i suoi d’intorno al 1350.
D’allora vie maggiormente si diffuse intorno e si raccrebbe la popolar fama e riverenza del luogo: lo si aggradì colla giunta della attuale chiesa dicata a Nostra Signora, chiudente nel mezzo l’antica Cappella in cui sono riposte la salma e l’estreme reliquie del Beato. In seguito vi si aggiunse un modesto cenobio, abitato in prima dai monaci di S. Ambrogio, poi da’ Carmelitani sino al 1770; ora da un canonico titolare della chiesa di Legiuno, che vi celebra il quotidiano sacrifizio, e assiste e benedice ai frequenti pellegrinaggi, che vicine e lontane parrocchie annualmente per voto vi sciolgono.
Più branche di scalee acciottolate e sostenute da muricciuoli, cui ombreggiano flessibili piante (
celtis australis) dai tronchi incastrati nelle rupe, guidano all’ingresso dell’antico convento, e da quello per uno stretto e lungo loggiato sostenuto da svelte colonne di granito, al Santuario. La struttura del medesimo è di vario e incomposto disegno, con basse volte e pareti dipinte a freschi, come altresì l’attiguo loggiato, sul quale rappresentasi in lunga serie di aggruppate figure una danza di morti, mentre alla vista prospicente sul lago si apre innanzi pressoché tutti il magnifico panorama della riva sarda, dalla rocca d’Angera alle Isole Belle, alla città di Pallanza e d’Intra, sino alle terre di Oggebbio; che la è una infinita delizia a completare.
La cappella dicata a S. Caterina è racchiusa, come dissi, in mezzo alla chiesuola posteriormente edificata; e li è che, spiccatisi dall’imminente dirupo cinque enormi scoglioni, e da una altezza di ben 30 metri caduti precipitosamente a filo sovresso la volta della cappelletta, la sfraccellaron nel centro per modo, che là si rimasero gli uni sugli altri sospesi e pendenti dall’aperto forame, in così strana guisa, che per veramente prodigio, e caso contrario alla legge di gravitanza. E sebbene chi più attentamente osserci, s’avvedrà come l’ultimo penzolante masso è tenuto in bilico da un altro, che superiormente lo preme contro i mattoni della volta; pure, come e’ possa più a lungo durare in quella giacitura, per essere il segmento di arco a cui s’appunta di sottile strato e corso da larghe screpolature, sicchè ad ogni poco minaccia di completamente sfasciarsi, egli si fa di giorno in giorno più difficile a intendere, e più mirabile a vedere.
Sotto la detta cappella apresi nel vivo scoglio un bugigatolo che adduce nella grotta, ove al santo Anacoreta a mala pena concesso era di fruire la vital luce, e ricevere uno scarso alimento per un pertugio verso il lago, a cui per altro non sempre accostar si potea per essere ivi l’acqua profondissima, e il sito tutt’affatto scheggioso e trabocchevole.
Da questo eremo sino ad Ispra la sponda contigua al lago non offre altro di notevole che una quasi continua scogliera di rocchio calcare, ignuda alle basi e superiormente coperta di silvestri betulle e castani, a cui in tempo di procella riesce alcuanto periglioso l’approdo: i villaggi di
Celina (260 ab.);
Arolo (259 ab);
Bosco (200 ab.), e
Turro che si conseguitano lungo la medesima riva fra qualche maggior pompa di vegetazione e facili clivi, sono, del resto, grami d’aspretto e privi d’ogni speciale importanza.
Fonti bibliografiche:
L. Boniforti,
Il Lago Maggiore e Dintorni, Corografia e Guida, Torino e Milano s. d. (ma 1858), pp. 221-224.
- A Cura di:
- [Valerio Cirio]
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