STRUMENTI CULTURALI

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Denominazione:
Breve Abstract:
V. De Vit, Il Lago Maggiore..., Vol. 01 p. 1 - Cap. 16 - Della prisca religione delle popolazioni intorno al Lago Maggiore
Abstract:

Cap. 16

Della prisca religione delle popolazioni intorno al Lago Maggiore.

 

Se le lapidi rimaste ci furono avare di nomi locali, ci offrono però un qualche compenso nei nomi delle false divinità, alle quali i nostri maggiori prestarono un culto religioso. Non mi tratterrò tuttavia lungo nè anco su questo punto, sì perché quello, che ricaviamo da esse, trattandosi degli Dei dell`Olimpo Romano, è cosa notissima a tutti, e sì perchè assai poca cosa è quello altresì che dalle medesime possiamo trarne intorno al culto di divinità straniere adottato dai nostri, e intorno al culto speciale delle divinità proprie della loro nazione in particolare.

Egli è naturale, che coll`aggregazione di queste genti alla cittadinanza Romana a poco a poco, coll`assumerne il linguaggio, s’imbevvero ancora delle consuetudini [1] e delle leggi, non meno che della cultura religiosa di Roma. Perciò non è meraviglia, che pure sulle sponde del nostro Lago avesse un culto Giove, il capo degli Dei, secondo la teologia di Varrone, il gran Maestro in Divinità de’ Pagani [2] e con esse se l`avessero Apollo [3], Mercurio [4], Silvano [5], Ercole [6], Vulcano [7] e gli Dei e Dee in generale [8] e il Divo Panteo, cioè l`unione di più Dei sotto di un unico simulacro [9].

Nè solo a queste o ad altre divinità, delle quali probabilmente si è perduta la memoria collo smarrimento delle loro pietre, ma progredendo nella superstizione di pari passo coi Romani, che ne vennero via via adottando mai sempre di nuove proprio dalle soggiogate nazioni, a queste pure i popoli del Verbano offersero gli omaggi della loro venerazione. Abbiamo anche su questo la non dubbia testimonianza delle lapidi, le quali ci mostrano onorati sulle nostre sponde cogli altri Dei anche Iside e Mitra, e prima fosse anco di questi Cibele, la madre degli Dei, il culto de’ quali venne a Roma importato, il primo dall`Egitto, il secondo dalla Persia e il terzo da Pessinunte sino dalla metà del sesto secolo di Roma. Centro di queste nuove religioni tra noi possiamo dire che fosse Angera, la quale anche sotto questo rispetto ci si mostra la città principale in quei tempi di tutto il Lago.

Una sola ve n’ha per Iside, ma da essa apprendiamo, che vi aveva anche un tempio [10]; un`altra per Mitra [11], ma rileviamo dal Biondelli [12] presso il Brambilla (l. c. p. 258), che vi era di esso pure una spelonca, nella quale se ne celebravano i tenebrosi misteri. Questa esisteva alla metà circa del monte su cui torreggia la rocca in una grotta naturale, detta dagli abitanti la tana del lupo; nome tradizionale allusivo a quel culto. Nè dee tacersi che Mitra molto probabilmente era venerato in Angera anche sotto l`altra denominazione di Cautopati [13], se è giusta la conghiettura degli eruditi. Da tutto questo possiamo raccogliere con quanta rapidità dall`Asia interiore si propagasse questo culto sull`esempio di Roma sino a queste estreme regioni d`Italia, nelle quali poco fa si credeva, che assai scarse tracce vi fossero di tale superstizione. Del culto finalmente di Cibele, in cui onore si solevano sacrificare tori ed arieti, onde il nome di taurobolio è criobolio a quei sacrificii, si hanno memorie in Locarno [14] ed in Ispra, vicina ad Angera [15].

Ma i popoli del Lago Maggiore avevano anche divinità speciali qua importate dalla Madre patria e proprie delle genti di razza gallica. Tali sono le Matrone, dette anche Madri, se pure non vanno da quelle distinte [16], le quali venivano in generale considerate quali Divinità tutelari delle regioni e dei pagi o vici. Il culto di esse si trova diffuso in tutta la parte montana del Piemonte e nella sottoposta pianura, come ne attesta il Promis (l. c. p. 461). Tra noi poi non si trova, che in pochi luoghi sulle sponde del Lago, niuna traccia di esso essendosi scoperta nella parte superiore e montana delle valli dell`Ossola.

Non sono ancora molti anni, che in occasione de’ restauri fatti alla chiesa parrocchiale di Mercurago venne tratta dalle fondamenta una iscrizione sacra alle Matrone [17]. In un`altra di Brebbia il culto di esse si vede associato a quello di Giove [18] e in una terza di Besozzo sono chiamate Giunoni [19]. Più celebre tra noi è quella, che esiste in Pallanza presso la chiesa parrocchiale di S. Stefano, dove le Matrone vi sono anche rappresentate in bassorilievo in atto di danzare [20]. Ne riferirò qui l`iscrizione anche per la sua importanza storica:

 

M A T R O N I S  ·  S A C R V M

PRO  ·  SALVTE  ·  C  ·  CAESARIS

A V G V S T I  ·  G E R M A N I C I

NARCISSVS  ·  C  ·  CAESARIS

 

Spetta ai tempi dell`Imperatore Caligola, che qui viene chiamato Caio Cesare Augusto Germanico, e successo a Tiberio l`anno 37 dell`era nostra e fu ucciso l`anno 41 dopo un impero di circa quattro anni. Il tempo adunque, al quale appartiene la nostra lapide, è limitato ai quattro anni dell`impero di lui. È chiaro di più, che Narcisso eresse un’ara alle sue Divinità protettrici e vi offrì sacrifici per la salute di questo imperatore.

Chi poi fosse questo Narcisso non è cosa facile a dirsi. Il Labus opinava, con altri molti, che potesse essere il famoso liberto di Claudio, amico del non meno famoso Pallante [21]. Non ho argomenti sicuri nè per confermare, nè per ribattere questa opinione. Tuttavia il veder Narcisso sciogliere un voto in codeste parti, nelle quali d`altronde non si saprebbe dire come venuto, può dar luogo a qualche ipotesi non del tutto fuor di proposito. E anzi tutto si potrebbe pensare ch’egli fosse originario delle nostre sponde, e che fatto schiavo, probabilmente nella guerra di Augusto contro i popoli Alpini, e venduto in Roma, sia caduto in potere di quell`Imperatore; dal quale sia stato poi mandato ad amministrare alcuni beni che quegli forse si aveva intorno al nostro Lago. Siccome però in questo caso non avrebbe mancato di segnare sulla pietra la sua qualità, credo più probabile l`altra ipotesi, che sia stato cioè da esso Imperatore manomesso, e che sia venuto in patria a finire i suoi giorni, e quivi avendo intesa la malattia pericolosa dell`Imperatore, per gratitudine abbia offerto un sacrificio alle deità della sua nazione, pur continuando, per adulazione al medesimo, ad indicarsi sulla pietra alla guisa stessa degli altri servi, omettendo però questa voce. Mi persuade questo il trovarlo qui vivente ancora Caligola [22].

Del resto molte e strane interpretazioni vennero date dai nostri corografi di questa lapide, che stimo opportuno di passare sotto silenzio; ad eccezione di quella stranissima, secondo la quale Pallanza sarebbe stata edificata dal greco Pallante e restaurata dal Pallante amico del nostro Narcisso; unicamente basandosi sull`ipotesi che questo sia il liberto di Claudio amico dell`altro liberto Pallante. E gioverà qui notare eziandio, come al solito non mancasse di venire in aiuto di questa aberrazione, se fors’anco non le desse fondamento, un qualche impostore, che fabbricò a questo scopo la stupida epigrafe: Pallas libertus -- Claudio Caesare -- Imperi Potens -- Restituit (cioè Pallanza, che si dovea sottintendere). Ecco su quali basi si edificava ne’ secoli scorsi la storia!

 

 



[1] Poche cose si traggono però sotto questo rispetto dalle nostre lapidi, una delle quali soltanto ci ha serbato memoria dell`uso dei bagni o delle pubbliche lavazioni, introdotte pure in queste contrade. Fu questa scoperta in Brebbia e pubblicata dal Mommsen l. c. n. 5504. Si ha da essa che due coniugi fecero per uso degli abitanti del vico un bagno; pel quale questi in segno di grato animo innalzarono loro un monumento coll’epigrafe seguente: Cn. Terentio Cn. f. Primo IIIIII. Viro et Terentiae coniugi iucundissimae, qui vican. f. habitantib. Lavationem, cioè qui vicanis fecerunt etc.

 

[2] Abbiamo già veduta sacra a Giove un ara in Angera: altre due ne furono pubblicate dal Labus nelle note all’Amoretti p. 17, ivi stesso scoperte.

 

[3] Si trova il suo culto in lapide di Legiuno presso il Mommsen, ivi, n.5514.

 

[4] Oltre alle lapidi già ricordate di Mercurago, una si ha pure a lui sacra in Angera. Noterò qui che il luogo di Mercurago in una carta del 959, già citata, è chiamato Mercoriago, che più si accosta alla sua odierna appellazione che l`altra di Mercuriacus, come si chiama da altri, per es. dal Bescapè, Nov. p. 73.

 

[5] Fu scoperta un’ara sacra a Silvano in Vergiate presso Sestocalende, e pubblicata dal Giani nella operetta citata Battaglia del Ticino, ecc. Altra ne diede il Labus presso l’Amooretti p. 17, ed altra il Mommsen, ivi, n. 5524 di Sestocalende.

 

[6] Fu onorato in Brebbia, in Angera, in Sestocalende e in Arona, come da lapidi presso il Mommsen, ivi, nn. 5467, 5498, 5520, 5521 e 6622.

 

[7] A Vulcano ed Ercole insieme è sacra un ara di Besozzo. V. il Mommsen, ivi, n. 5510.

 

[8] Diis deabusque omnibus si legge in lapide di Brebbia presso il medesimo n. 5497.

 

[9] Da lapide di Sestocalende presso il Grutero, 1500, 1, d’onde l’Orelli, n. 2112. Divo Panteo (sic), salvis, etc.

 

[10] Isidi M. Qurt. aedem leggiamo in lapide presso il Mommsen, ivi, n. 5469. -- Scrive il Biondelli nell`opuscolo che or ora indicherò, essendo stata questa pietra distrutta da uno scarpellino (V. p. 515).

 

[11] Col titolo D. S. I. M.., cioè Deo Soli Invicto Mithrae (ivi, n. 5477).

 

[12] Nell`opera che ha per titolo: Iscrizioni e monumenti Romani scoperti in Angera sul Verbano, Milano, 1868, in 8.°, edizione tratta in separato dagli Atti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Ser. II, Vol. I, p. 513-530, ivi, anno stesso.

 

[13] Difatti leggiamo presso il Mommsen al n. 5465. Cautopati sacr. M. Statius Niger etc. Di questa oscurissima denominazione e intorno alla quale furono fatte di molte conghietture, il lettore potrà, se il voglia, consultare il mio Onomastico alla voce CAUTUS, dove ho raccolto in breve quel tanto che ne ho saputo.

 

[14] Ecco quanto scrive intorno a questo argomento il suddetto Nessi l. c. p. 16. «Esisteva anche una marmorea tavola, al sommo della quale vedevasi una testa di toro, scolpita anch`essa a basso rilievo, cui formavano ornamento una ghirlanda di spessi fogliami intrecciata, che passando dalla fronte alle corna in due parti partivasi cadendo dappoi a mo’ di festoni. Questa tavola, che diede luogo ad una dotta dissertazione di G. A. Azari, e che riprodotta in accurata incisione bene da lui fu detta marmo taurobolico Locarnese, serbava la memoria del sacrificio del taurobolio fra i Romani usitato.» -- La dissertazione di Giuseppe Antonio Azari, che qui si accenna, fu pubblicata in Milano nel 1795.

 

[15] Scrive il Nessi l. c. p. 18, alla nota 9. «Nel cortile della casa Parrocchiale di Ispra mi fu mostrata poc’anzi altra lapide allusiva allo stesso sacrificio del Taurobolio

 

[16] Vedi sotto questo rispetto gli autori citati dal ch. P. Bruzza nell`opera già lodata p. CLIX e segg.

 

[17] È la seguente: Q. Aurelius Q. f. Optatus Matron. V. S. L. M.

 

[18] È presso il sullodato Mommsen n. 5501. I. O. M. Matronis concam L. Clodius Marcian. V. S. L. M.

 

[19] È riportata dal Muratori (p. 93, n. 4) e dal Biondelli l. c. Matronis Iunonibus Valerius Baronis f. V. S. L M. -- Il dotto Biondelli ne riporta ivi ben 16 tutte spettanti a Milano ed all`agro Insubrico; ed è notevole, che nè in queste, nè in altre che si hanno sacre alle Matrone non venga loro mai dato il titolo di Dee, del quale spesso sono insignite le Madri; dal che si argomenta che questo sieno di un ordine superiore alle Matrone.

 

[20] Si osserva in generale che nei monumenti che ce le rappresentano, queste si veggono per lo più in numero di tre, in alcuni pochi in numero di cinque (V. il sullodato P. Bruzza l. c.) e talora anche una sola: cioè sempre un numero dispari.  -- La nostra iscrizione fu pubblicata dall’Amoretti l. c. p. 59, e da altri molti dopo di lui. Il Labus poi parla più a lungo delle Matrone nelle note al medesimo alla pag. 289.

 

[21] «Non è improbabile, scrive egli alla p. 59, che il servo, il quale qui sciolse il voto alle dee Matrone per la salute di Caligola, sia quel famoso Narciso, che dopo la morte violenta del suo padrone passò a’ servigi di Claudio, da cui fu manomesso (Plin. Hist. Nat. 33, §. 47) e sollevato al grado di segretario e fregiato delle insegne questorie e pretorie, onde fattosi immensamente ricco e possente, inviso alla tristissima Messalina, fu fatto morire appena che salì in trono Nerone.» -- Di questo Narcisso parlano Suetonio nella vita di Claudio, c. XXVIII e XXXVIII, e in quella di Vespasiano, c. IV, Tacito negli Annali XIII, 1, e Dione, LX, 34. Fu ucciso l`anno di Roma 807 (dopo Cr. 54). Ma tanti sono in questa epoca i servi chiamati col nome di Narcisso, che ben difficile sarebbe il provare l`identità del nostro col Narcisso liberto di Claudio.

 

[22] Non mancano poi esempi consimili di liberti indicati nelle lapidi alla guisa dei servi: e rispetto alla omissione della voce servus sia distesa, sia in compendio, si faccia il confronto coll`altra lapide, che abbiamo riferita di sopra, di Baveno. In questa Trophimus non si chiama già in modo assoluto servo dell`Imperatore, ma viene espressamente indicato col nome di servus Dophnidianus, cioè servo un tempo di un Dafnide dal quale passò, forse coi beni di esso, ai servigi di Claudio Imperatore; per cui si potrebbe similmente supporre che anch`esso, abbia conseguita la libertà, e che sia venuto così a terminare la carriera della sua vita nella diletta sua patria.

 

Autore:
   [Vincenzo De Vit]
A Cura di:
   [Riccardo Papini]

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