STRUMENTI CULTURALI
del Magazzeno Storico Verbanese
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Conosciute così le vicende generali, cui soggiacque il territorio dei Leponzii sino alla conquista fatta di esso dai Romani, possiamo ora con maggior frutto scendere al particolare di quelli, che abitano le sponde del nostro Lago e, lasciate a parte le Alpi, ricercare quali fossero i luoghi più frequentati di popolo su queste rive.
Fu già accennato che le genti di razza gallica o celtica costumarono di vivere non in popolose città, ma dispersi per vici e pagi. Quali però fossero e come si chiamassero i vici tenuti allora dai nostri, non possiamo dire. Di alcuni ci rimase memoria dalle pietre; e li ricorderemo tra poco: di altri non si hanno che conghietture, talora ben fondate, tale altra probabili, ma pur conghietture. Quanto poi ai nomi, questi sono tutti periti ad eccezione forse di un solo, del quale farò parola più avanti, od almeno ci rimangono ignoti. E dico, che almeno ci rimangono ignoti, perchè è credibile che tra i nomi attuali de’ luoghi presentemente abitati su queste sponde, ve ne sieno ancora non pochi di vecchia data, e di alcuni farò cenno ad occasione opportuna; ma la loro nomenclatura non vedendoci per l’interrotta tradizione assicurata da verun documento, e conoscendo noi d`altra parte, quanto frequente sia stata l`alterazione de’ nomi locali del medio evo, anzichè arrischiare pericolose conghietture, giudico cosa più prudente astenermene.
Quello però che possiamo in generale asserire e con fondamento, è che le sponde del nostro lago furono pure in antico popolate, specialmente nella parte più piana, come ci attesta Polibio nel luogo che già abbiamo veduto, e ce lo confermano in particolare le non poche lapidi che ci rimasero dal comune naufragio di ogni più vetusta memoria, e le frequenti apparizioni di oggetti antichi, che a quando a quando vennero in luce da questo suolo, anche senza averne fatta un’apposita ricerca. Noi percorreremo passo passo codeste sponde per riconoscere dietro una guida così sicura, quali sieno stati almeno i luoghi che furono centro all`epoca romana di una qualche popolazione.
Non sia però chi creda che, mettendomi in questa escursione alle antiche lapidi, voglia anche tutte qui rendere di pubblica ragione e illustrarle, come anco molte di esse pure meriterebbero. Questo lavoro che in parte fu già fatto da altri, in parte aspetta ancora una mano maestra che vi ponga studio, ci dilungherebbe di molto dal proposto cammino: perciò n’è mestieri lasciare altrui questo compito.
Incominciando dalla sponda occidentale dirò come tracce di luoghi abitati all`epoca romana si sieno scoperte in quasi tutto quel tratto, che estendesi dall`ingresso del Ticino nel Lago sino alla sua uscita. Più lapidi anche ai nostri giorni vennero in luce in Mercurago, alcune delle quali essendo sacre a Mercurio, ci danno sicuro indizio per credere così chiamato questo luogo dal culto che ivi era prestato a codesta divinità. Vico di non lieve importanza in quest`epoca si manifesta Arona dalle diverse iscrizioni nel suo suolo scoperte, una delle quali appunto ricorda i vicini o abitatori del vico [i], e cinta, come appare forse pure in antico, da molti altri luoghi alle falde del Margozzolo, quali sono Paruzzaro, Talono, Borgo Agnello, Oleggio Castello e Gattico, l`ultimo de’ quali fu certamente vico al pari di Arona [ii].
Sopra questa in Massino vi ha memoria di un ara ivi scoperta sacra a Giove e di un marmoreo sarcofago di certa Valeria moglie di un Caio Cassio [iii]. In Villa Lesa, a Lesa stessa e in Belgirate e nei suoi dintorni si rinvennero sepolcri antichi e monete romane imperiali al principio di questo secolo, con altri resti di antichità, come fui assicurato dal Cav. Carlo Conelli, sindaco di questo luogo, e come rispetto alle altre risulta dalle memorie manoscritte, lasciate dall’Avv. Carlo Antonio Rabaioli Apostoli, che mi furono gentilmente comunicate dai suoi figli Enrico e Giandomenico. Francesco Falciola l`anno 1818 scoperse presso Stropino in un fondo dell’Avv. De Bernardis monete romane in buon numero con vasi di vetro ed urne cinerarie. Altri oggetti antichi si trassero dal villaggio ora distrutto di S. Cristina tra Stropino e Calogna: la qual cosa ci mostra che pure la parte montana del Vergante era allora abitata. Nulla, ch’io sappia, di antico si scoperse Stresa e nei luoghi ad essa vicini sul colle e in piano. Più lapidi all`incontro si hanno di Baveno, una delle quali abbiamo già veduta. L`ingegnere Adami scoperse quivi l`anno 1844 tra Armanico (nome che pare corretto in luogo di Romanico, secondo la comune credenza) e la via del Sempione un sepolcreto romano con urne di argilla entro avelli di pietra, monete romane ed ornamenti militari e donneschi [iv]. Non trovo che alcuna cosa di simile siasi rinvenuto nella vicina Feriolo [v] ed in Mergozzo o nel suo territorio, sebbene questa sia pieve antichissima. Ma una lapide fu scoperta in Bieno sovrastante quel seno [vi] e procedendo innanzi più altre in Pallanza e presso l`antica chiesa di S. Remigio. Celebri tra queste sono quella ch’è sacra alle Matrone, della quale parlerò più sotto, e l`altra che rappresenta tra le iniziali V. F. (Vivus fecit) un capro, emblema del nome celtico di un certo Becco o Vecco, che pose a se quella memoria [vii], oltre a qualche frammento, assai danneggiato dal tempo [viii]. Di una lapide scoperta nella propinqua isola di S. Giovanni ho parlato di sopra.
Sopra Intra nella chiesa di S. Pietro di Trobaso fu trascritta dall’Alciati, onde trassela il Grutero (830, 3), un`altra iscrizione notevole pe’ nomi in parte celtici, in parte latini [ix]. È poi una solenne impostura quella che si riporta dal Merigia (Lago Maggiore, p. 116) e quindi dal Cotta (Museo Novarese, n. 474), come esistente un tempo di Intra [x], che nulla poteva dire dare di simile, perchè rispetto agli altri sunnominati è luogo di data molto recente. Da Intra sino a Cannobio nulla di antico, che sia venuto a mia cognizione, fu scoperto. Quivi però due iscrizione romane erano, non ha molto, nell`antico convento dei Cappuccini, oggi ad uso di scuola. Una di queste vi esiste ancora [xi], l`altra fu trasportata da Arona ed è nel giardino del Sig. Giangiacomo Mantelli [xii]. Ma non mancano in Cannobio altre tracce di remota antichità [xiii]. *
È mestieri poi di andare sino a Locarno per leggerne una infissa nella parete australe della Chiesa di S. Vittore, mancante però a principio. Dalla tribù Oufentina, alla quale sappiamo essere stata ascritta Como, si potrebbe argomentare, che pure aperti alla pertica Comense spettasse in antico la città di Locarno, tuttochè al di quà del Lago [xiv]. Ma scoperte di maggiore importanza vennero fatte non ha guari in questo luogo, le quali meriterebbero di essere prese in considerazione dall`archeologo non meno che dal topografo pei lumi speciali, che ne potrebbero venire alla storia dell`antica Locarno [xv].
Di qua procedendo sino alla punta estrema del Lago, ed indi piegando alla sponda orientale, nulla troviamo di antico, almeno per quanto è a me noto, sino alla nostra Laveno. Quivi pochi anni or sono, furono scoperti avanzi di un vetusto sepolcro e venne tratto alla luce un busto in marmo delle cave di Creola di un personaggio romano, al quale su posto il nome di T. Labieno, uno dei legati di Cesare per la ragione, che ognuno di già conosce. Il benemerito sindaco di Laveno, D. Carlo Tinelli, ch’ebbe il merito di estrarlo dai ruderi di un antica casa, dove stava sepolto, ne fece dono al Museo Archeologico di Milano. Ma nel tratto che da Laveno lungo il Lago s’inoltra sino a Sesto Calende il suolo si può dire feracissimo di antiche memorie. Oltre alle lapidi di Legiuno, delle quali parlerò nella storia della sua pieve, e di quelle di Angera, di cui qui appresso, ricorderò, come altre si sieno trovate in Besozzo ed in Brebbia [xvi], è più assai in Sesto Calende e nei luoghi circonvicini. «Molte antiche iscrizioni, scrive l’Amoretti (l. c. p. 14), erano a Sesto Calende, che raccolte da un Archinto nel secolo XVI, furono insieme a quelle di Varese, di Castel Seprio e di altri paesi portate a Milano nella casa che fu già dell’Archinti ed ora appartiene al Sig. Giuseppe Rossi a S. Bartolommeo.» La stessa cosa conferma il Labus ivi in nota [xvii].
Riepilogando ora in breve la nostra corsa sulle due sponde del Lago possiamo dire, che vici tra noi esistenti all`epoca romana furono Gattico, Arona, Angera e Brebbia per la certa testimonianza delle Lapidi, e che vici probabili furono Baveno, Pallanza, Cannobio, Locarno, Laveno, Legiuno e Sesto Calende: ma della probabilità di questi e di altri sarà tenuto conto più avanti: ora dobbiamo dire qualche cosa in particolare di Angera.
* A maggiore dilucidazione della storia delle due lapidi, delle quali parlo in questa pagina, esistenti in Cannobio, aggiungo, che la seconda fu da me veduta nell’agosto del 1875 in un piccolo cortile della casa un tempo del Sig. Giangiacomo Mantelli, dove era stata collocata anche dal Cotta, e che solo per errore ho detto esservi stata trasportata ad Arona, sulla fede del Frasconi, che appresso al Mommsen l. c. n. 6646 la disse: Ora in Arona nel giardino del sig. Giangiacomo Mantelli. Come poi il Frasconi (se questo non è un abbaglio dello stesso Mommsen) abbia potuto scrivere che questa lapide esisteva ai suoi dì in Arona, nol saprei dire.
[i] Si trova nella Canonica di Novara trasportatavi sino dal 1813 dall`orto del Collegio di Arona ove giaceva, e comincia D. M. Prisci Atusi Adiutoris etc. -- L`antico nome di Arona si pretende che fosse Alona, che si vorrebbe dedurre dal verbo alo, mutato poscia in Arona. Sì vegga l’Alciati presso il Medoni, Memorie storiche di Arona, Novara, 1844, p. 2 e segg. Altri poi vorrebbero Arona nome celtico composto dalle voci Ar-an, che significano sopra o presso l`acqua, onde Aran, poi Aron, indi Arona sarebbe stata così chiamata, perchè sita sulla sponda del Lago. Veggasi il Cantù, Storie minori, Vol. II, Torino, 1864, p. 11. Di altra etimologia parlerò nel seguente capo.
[ii] [nota mancante]
[iv] Anche il Bescapè l. c. p. 151, scrive che presso la riva del vicino torrente sono state scoperte negli anni andati (superioribus annis) in un vaso monete d`oro di Arcadio Imperatore.
[v] Non si confonda questo luogo con un altro di egual nome in Valle Antigorio sopra Crodo al di là del torrente Alfenza (comune di Cravegna), dove nell`anno 1818, la parte allora Angelo Mai, che fu poi Cardinale di preclara memoria, trascrisse l`epigrafe, pubblicata in appresso dal Labus delle sue note all’Amoretti p. 110, e che comincia Secundae Germani f., ecc. -- Del nostro Feriolo così parla il Bescapè l. c. p. 153. Feriolum seu Ferreolum, ubi olim domus quampluret et castrum videtur fuisse, nunc autem pene est solitudo. Del castello ora non sussiste che una torre sul colle prossimo, che prospetta dall`una parte la Valle dell`Ossola, e dall`altra il Lago Maggiore, e che molto probabilmente dovette servire di Specola nelle militari fazioni del medio evo.
[vi] Fu pubblicata dal Mommsen, ivi n. 6640, Octavius Cimonis f. sibi et Sumelae Senonis f. uxori et Primae f. et Namuni Novell. f. uxori. Vedi le note seguenti.
[vii] Un`iscrizione identica a questa di Pallanza fu trovata pure a Crevola o Creola vicino al ponte Orco (V. il Labus, Via del Sempione, p. 20, e l’Henzen l. c. n. 6195) colla sola differenza del primo nome ch’è Vecco in quello di Crevola, e Becco in quella di Pallanza. Di una iscrizione medesima ripetuta in due luoghi diversi non mancano esempi anche altrove. Ecco la nostra: V. F. Vecco (o Becco) Mocconis f. sibi et Utile Vecati f. uxori et Sexto f. -- È probabile che questa Prima figlia di Ottavio sia la stessa, ch’è ricordata nella lapide di Bieno or or riferita della nostra. Vedi il Mommsen l. c. n. 6644, e il Promis l. c. p. 144.
[viii] Vedilo presso il Mommsen l.c. n. 6642.
[ix] È la seguente: Statius Mocci f. sibi etIUnnae Bitti f. uxsori, Maciaco, Novellio, Baroni, Albano, Aceptae (sic), Privatae, Sabinno (sic) F. C. -- Anche la Namuni Novell. f. della lapide di Bieno potrebbe essere figlia del Novellio, ch’è qui ricordato. -- Trobaso in una carta dell`anno 916, che accennerò altrove, è chiamato Turbaxis.
[x] Eccola: Caius Marius consul Romanus umili loco natus septies consul factus est. In Campo Savidico vincit Cimbros apud Aquas Sestias. -- L`ignoranza del falsario non può essere più manifesta.
[xi] È questa: D. M. Have Primitiva Benigna incomparabilis femina. Viva mihi posui. -- È probabile che questa Primitiva essendosi apparecchiato il luogo della sepoltura abbia fatto essa stessa incidere nel titolo le parole: Viva mihi posui, e che le altre sieno state aggiunte posteriormente, come appare da quel saluto messo in bocca del passeggero; chè mal suonerebbe ch’Ella stessa avesse fatto incidere vivente l`elogio di se medesima. Certo è notevole questa pietra per tale particolarità.
[xii] È la seguente: D. M. Cominiae Q. f. Atilianae matr. dulcissime (sic).
[xiii] Anche il nome Canobio si volle da taluno di origine celtica, tratto dalla voce cen che significa punta o estremità; lande sarebbe stato così chiamato perchè collocato sur una punta di terra ad una estremità del lago. Si vegga il Cantù l. c. -- Più volgare è l`origine che assegna a questo nome il Del Sasso Carmino, il quale traendolo dalle canne, fu per questo obbligato di supporre che in antico ivi in copia fiorissero, mentre di presente non ve n’ha traccia; onde anche con doppia n affermò doversi scrivere. Egli poi addusse in prova di questo lo stemma antico del borgo, ch’era di una canna verde col suo fiore in campo bianco, senza considerare che questo potrebbe anche essere stato foggiato sulla supposta etimologia di esso nome. Ma si deve riflettere, che negli antichi documenti, quanti ne ho potuto vedere, dal secolo IX in appresso, è sempre o quasi sempre scritto con semplice n, e che nel tetrastico latino fatto l`anno 1605 in occasione dei decreti promulgati dal Card. Federigo Borromeo pel buon governo della sua Chiesa così egualmente è scritto colla prima sillaba breve:
En tibi promulgat praesul pia iussa, Canobi, etc.
Se a me fosse lecito di fare su questo luogo una conghiettura, ne dedurrei il nome dalla canabe, volgarmente detta anche canobe (d’onde la nostra cànova), cioè baracche militari, supponendo che nel basso impero, come in Angera vi stanziava una piccola flotta, così anche in Canobio vi fosse un presidio militare per la difesa di quelle contrade dalle incursioni de’ barbari: la qual cosa da tutto quello che abbiamo narrato, e da quanto sarò per dire in appresso di Angera, non credo punto improbabile. Che poi da esse canabe o canobe, che si costumavano erigere presso la castra stativa dei presidii militari, abbiamo avuto origine più luoghi ed anche città, secondo che i bisogni crescenti le moltiplicavano, è cosa sì nota, che non ha mestieri di essere discussa. Si vegga tra gli altri l`articolo di Leon Renier nella Revue Archeologique del dicembre dell`anno 1865, p. 413-416. Del resto questa non è, come diceva, che una semplice conghiettura: chi si occuperà della storia particolare di Cannobio potrà esaminar meglio la cosa.
[xiv] Fu pubblicata dal Nessi l. c. p. 15, dal Monti, Storia antica di Como, Milano 1860, 8.°, è da altri. È la seguente:
. . . . . . . . . . .
OVF · ALBANuS
SIBI · ET
A M M V N E I
PHILARGYRI · F
[xv] Chi volesse avere un breve sunto di queste scoperte potrà leggere la Nota e descrizione degli oggetti di antichità che si sono trovati nell`inverno del 1872-73, in occasione degli scavi del grande albergo LOCARNO in corso di costruzione presso il torrente Ramogna, pubblicata nella Gazzetta Ticinese del 9 aprile 1873, n. 83. -- Noterò inoltre che anche il nome di Locarno si vuole di origine celtica, formato cioè dalle rive Loc-ar-on, cioè luogo sull`acqua. Vedi il Nessi, l. c. p. 3. -- Il medesimo inoltre alla pag. 16 e seg. fa cenno di altre antichità scoperte in Locarno spettanti all`epoca romana.
[xvi] In una delle quali, presso il Mommsen, ivi, n. 5504, si ha memoria dei vicani, segno non dubbio della sua condizione in quell`epoca.
[xvii] Non parlo della necropoli scoperta a Golasecca nella campagna di Somma, perchè strettamente parlando, benchè vicina, non appartiene al nostro Lago. Veggasi su di essa il Giani, Battaglia del Ticino tra Annibale e Scipione, Milano, 1824.
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