STRUMENTI CULTURALI
del Magazzeno Storico Verbanese
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Questa iscrizione esiste assai malconcia e mutilata nella valle dell`Ossola presso Vogogna infissa in un muro non lungi dal ponte chiamato della Masone, vocabolo, che ci richiama alla mente, che presso a quel luogo appunto era una delle solite mansioni, che s’incontravano per via. Era rimasta intatta, a quanto pare, sino ai primordii del secolo XVII. Ecco in qual modo ne parla il dottor Capis: «Altre lettere antiche si veggono scolpite non molto alte da terra in un monte passato il porto di Vogogna (intendi da chi viene da Domo), detto la Maggione della religione dei Cavalieri di Malta: queste lettere non ha molti anni erano intelligibili e facevano menzione de’ Romani per quello che alcuni degni di fede mi hanno riferito, ma perchè molti curiosi andando a vedere dette lettere danneggiavano un Campetto, perciò il padrone di quello le fece scalpellare e rompere in modo, che ora non se ne può cavare alcuna intelligenza [1].» Alquanto diversamente nelle circostanze è raccontato il fatto dal Porri (l. c. p. 14): «Vertendo differenza, dice, un Gio. Maria Albertazzi e Giovanni Antonio dei Colorii per causa di certa strada, l’Albertazzi fece distruggere parte delle parole di quella lapide.»
Impariamo da questi che l`iscrizione in antico era stata scolpita nella rupe stessa, e che ivi stette sino a questi ultimi tempi, dove fu anche da me veduta; e che sono più tardi fu di là levata e collocata nel luogo sopra indicato, aggiuntavi superiormente una copia della medesima coi supplementi del Dott. Giovanni Labus, il quale ne fece l`illustrazione in una sua memoria intitolata: L`antica via del Sempione, letta da lui all`Istituto di Milano l`anno 1840, e pubblicata da poi negli Atti del medesimo nel Vol. I dell`anno 1843 in 4.° [2].
L`iscrizione consta di sei linee, delle quali la prima soltanto è intera, la seconda è guasta nel gentilizio del secondo console. Tra queste due e le seguenti linee vi ha a uno spazio notevole, forse perchè la pietra assai rozza non si prestava alla scoltura regolare delle lettere. Le quattro linee poi che seguono, furono dimezzate, rimanendo intero il principio di ciascuna a destra, mentre sono cancellati interamente al lato sinistro, ad eccezione di qualche lettera, che però appena può essere riconosciuta, come si vedrà dalla copia, che qui trascrivo dietro l’apografo del Labus da me collazionato sul luogo stesso:
VIA . FACTA . EX HS XXIIDC
C . DOMINIO . DEXTRO II . P . . . . . . FVSCO . COS
M . V A L E R I O . . . . . . . . . .
C V R A T O R I B . . . . . . . . I O
VENVSTI . CON . . . . . . . . . .
M A R M O R . . . . . . . . . .
Il Labus al principio della prima linea vi legge un Q, che interpretò quod, e di fatto si osserva anco presentemente uno scherzo della pietra, che sembra rappresentare una lettera di questa figura O, che però dal contesto della iscrizione non pare si deva ammettere, e perciò avverte il Mommsen nel primo de’ luoghi citati: Q litteram, quam ante VIA ridisse sibi visus est Labus, abiiciendam esse apparet.
Nella seconda linea, come si ha dal Borghesi nel luogo che or ora citerò, il Labus aveva osservato gli elementi CC o CO innanzi a FVSCO, mese si leggesse: P . . . . CC . . . FVSCO, ma poi non ne tenne conto ne’ supplementi e, a dire il vero, fu nè anco a me possibile di vederli metti sulla pietra, quale è di presente. Lo stesso Labus in fine della linea quinta diede le lettere . . . CT, che più non appaiono, almeno a’ miei occhi, e in fine della quarta le lettere IO con qualche traccia della lettera precedente. Tale è lo stato attuale della pietra e dell`iscrizione: veniamo ai supplementi. Io gli esibirò quali vennero offerti dal Labus stesso, e quali si leggono sul luogo nella copia annessa al monumento, omesse le due prime linee, che restano intatte:
M . VALERIO Optato C. Valerio Thalete
CVRATORIBus operi datis imperIO
VENVSTI CONdiani proc. alp. atreCT
M A R M O R e i s crepidinibus munita
Questi supplementi, come ognun vede, sono arbitrarii nei nomi e per semplice conghiettura si afferma in essi un ignoto procuratore delle Alpi Atrezziane: è facile però di accorgersi da quanto abbiamo sin qui discorso delle nostre Alpi, da quali ragioni il Labus sia stato indotto a così supplire. Secondo lui quella di essere stata pubblicata dal popolo Romano, e siccome la riporta all`anno 196 dell`era volgare pel secondo consolato di C. Domizio Destro, trovato che quell`uomo era già venuta in aperto l`inimicizia sin qui latente tra Settimio Severo e Clodio Balbino, e che quegli aveva ordinato che fossero uniti e presidiati i varchi delle Alpi, come attesta Erodiano [3], per impedire a questo l’ingresso in Italia, argomentò, che appunto in questa occasione fosse stata fatta cotesta via.
Però è da avvertire che il Labus prima di formolare in quel modo i suoi supplementi, altri ne aveva tentati e pei quali aveva anche chiesto il parere del Borghesi, maestro sommo in questi studii, il quale in lettera del 21 gennaio 1838, ora pubblicata nel Vol. VII, delle sue opere (p. 233-237) gli fece vedere le ragioni per le quali non li poteva ammettere, e rigettava in modo particolare la formola Imperio, che trovava troppo superba per un magistrato qualunque ai tempi imperiali (voleva il Labus attribuire allora la via al console Venusto del 240, e suppliva imperIO VENUSTI CONsulis!) e in fine conchiuse: «Se quella fu una strada costruita a spese dello stato, non potè essere ordinata se non che o dall`Imperatore o dal legato della provincia o al più dal procuratore augustale. Ma io ho gran dubbio che ivi si tratti piuttosto di una via municipale. Fondo il mio sospetto sulla modicità della spesa di 13600 sesterzi corrispondente presso a poco a 340 dei nostri scudi [4], e sulla presenza di quei due curatori, che non sembrano poter essere altri che i curatores operum publicorum di qualche colonia o municipio, dei quali non incontro mai farsi ricordanza nelle lapidi delle grandi vie. In tal caso potrebbe supplirsi VIA FACTA . . . ministerIO VENVSTI CONductoris, oppure VIA FACTA EX. HS XIIIIDC. . . . legatis testamenTO VENUSTI CONvicanis, ecc. Ma con sì pochi avanzi chi può azzardare cosa alcuna con qualche probabilità?»
Così prudentemente il Borghesi, donde si trae, perchè poscia il Labus, mutato avviso abbia supplito: CURATORIBus operi datis imperIO VENVSTI CONdiani proc. Alp. AtreCT; cioè procuratoris Alpium Atrectianarum, e non più l`abbia attribuita al console Venusto dell`anno 240; ma sì ai consoli del 196. Ma anche su questo consolato, che non è senza difficoltà, interrogato il Borghesi, gli rispose nella stessa lettera in questo modo:
«Io non so dipartirmi dal parer vostro, che il consolato, di cui rimangono vestigia nella nuova iscrizione del Sempione, sia il medesimo ricordato nella lapide della Biblioteca Ambrosiana [5] e convengo pure che ambedue spettino all`anno 196, checchè ne abbia diversamente opinando il Marini [6]. Certo è che i secondi fasci di C. Domizio Destro non si ponno rimovere da quell`anno, sì pel confronto di una Greturiana[7], sì perchè non si conosce altro Destro che gli abbia ottenuti due volte, sì in fine perchè s’indovina facilmente la ragione per cui li conseguì, dicendoci Spaziano [8], ch’egli sul principio dell`impero di Settimio fu fatto praefectus urbis, ed avendo io osservato, che la prefettura urbana, se, chi n’era preveduto, non aveva già vestito iteratamente la porpora consolare, gliela soleva in questi tempi procurare di nuovo, come apparisce dagli esempi di Erucio Cloro, ecc.»
A tutte queste ragioni, che mi paiono convincentissime, per fissare la nostra lapide all`anno 196, aggiungerò, che non si può rimover di là anche per questo, che essendo Domizio console per la seconda volta non può non essere stato tale che in qualità di ordinario; niun esempio avendosì, ch’io sappia, di un consolato geminato e suffetto, salvo il caso rarissimo di un suffetto dello stesso Imperatore [9]. Per la qual cosa dovendosi ritenere console ordinario ed insieme identico al Domizio Destro di Sparziano, si deve anche ritenere che sia stato console ordinario sotto il medesimo Settimio o certo in quel torno: ora i collegi consolari ordinarii sotto questo imperatore o quelli che immediatamente gli precedettero sono tutti riempiuti, e benchè di taluno non si conosca l`intera nomenclatura, quella che abbiamo però è tale che esclude ogni altra identificazione col nostro. È dunque gioco forza ammettere col Borghesi che C. Domizio Destro sia realmente il console ordinario dell`anno 196, nè so comprendere, come possa esservi alcuno, che gli voglia negar questa sede.
È tuttavia vero che collega nel consolato ordinario gli fu L. Valerio Messala Trasea Prisco, che si ha dall’Orelliana n. 4135 [10], e che il trovarlo poscia associato con un suffetto, quale fu P. Fusco, presenta qualche difficoltà; tanto più che di tutti i Fuschi, che il Borghesi si conosceva, niuno n’ebbe a trovare che gli potesse convenire. Questa difficoltà però non è insuperabile, ed a scioglierla può bastare la supposizione, alla quale il ricorse lo stesso Borghesi, che cioè «a motivo della confidenza che aveva in Destro l`imperatore gli fosse concesso un consolato più lungo che al suo collega, onde così avvenga, che nello stesso anno si trovi accoppiato con due» (Lett. cit. p. 235). A questa supposizione si acquietò anche il Labus, non essendo d`altronde raro il caso nei Fasti Romani, che ad uno dei consoli forse dato il successore, mentre il collega restava tutto l`anno in officio [11]. Conviene puoi dire che il Borghesi più tardi abbia trovato intero il nome anche di questo suffetto; giacchè nei suoi Fasti trovo appunto registrato all`anno 196 suffetto P. Manilio Fosco. Ma i commentarii del Borghesi sui medesimi non sono per anco pubblicati e non ho mezzo di dirne più innanzi [12].
Stabilito così l`anno al quale spetta indubbiamente la nostra iscrizione, è in pari tempo accertata anche la coincidenza in quell`anno della nostra via coll`ordine dato da Settimio di occupare gli sbocchi delle Alpi, e quindi chiarito altresì l`argomento, che il Labus desunse da Erodiano per giudicare pubblica la detta via ed attribuirla ad un procuratore delle Alpi Atrezziane, non ostante la difficoltà che gli oppose il Borghesi due anni innanzi circa la tenuità della spesa.
Contento di aver confermata questa coincidenza, senza entrare menomamente nel merito dei supplementi del Labus, che non intendo nè di approvare nè di biasimare, dirò, che a me sembra che alla difficoltà del Borghesi si possa occorrere anche in altra maniera, sia limitando la via fatta ad una parte di essa soltanto, sia interpretando quel fatta per ristorata, a quella guisa medesima che si trovano spessi spesso chiamati fondatori, a cagion d`esempio di una città, quelli che non ne furono che i semplici ristoratori. E che questo forse a preferenza del primo sia il senso di quelle parole, quando non si vogliano pigliare insieme amendue, mi persuade il sapere, che una via per quella valle già ci era e ci doveva anche essere, e pubblica per le ragioni che ho esposte innanzi.
Il voler credere che sono alla fine del secondo secolo dell`era nostra si sia pensato di fare una via per transitare dall`Italia nella Valle Pennina, ossia nel Vallese, per mettere in comunicazione tra loro queste due religioni, che noi sappiamo già amministrate prima da sole e poi insieme unite sotto di un solo procuratore, senza una via pubblica al tutto richiesta ai soldati destinati a loro presidio, e il volerla per giunta anche fatta allora soltanto a spese di un municipio o di privati speculatori, e in luogo, si noti bene, nel quale non ce ne può essere che una, perchè in mezzo a un una valle in qualche parte anche angusta, mi pare cosa sì strana, che io sarei lontano le mille miglia pur di sognare. Per la qual cosa io confesso di essere al tutto inclinato a ritenere che la via Romana per l`Ossola, della quale parla la nostra lapide, sia stata pubblica e ristorata nel detto anno e fors’anco per la detta occasione, concorrendo amendue le circostanze a renderne probabile la conghiettura, non esclusa anche l`altra accennata di sopra della congiunzione delle nostre Alpi colle Pennine intorno a questi medesimi tempi.
A compimento delle notizie su questa via rimane ora a vedere quale linea essa percorresse sopra e sotto Vogogna. Quanto alla parte inferiore io credo che non si possa dubitare ch’essa mettesse capo a Novara, ovvero anche direttamente a Milano passando il Ticino non lungi da Castelletto. Dagli antichi itinerarii che abbiamo, appare che una via era condotta da Milano a Novara, la quale progrediva sino ad Aosta, e quà giunta si divideva in due rami, l`uno de’ quali si dirigeva alle Alpi Pennine pel gran S. Bernardo e l`altra alle Alpi Graie per il piccolo [13]. A questa via doveva congiungersi dunque la nostra presso Novara procedendo da Vogogna a Feriolo per la Valle dell`Ossola Inferiore, e poscia lungo il Lago Maggiore sino ad Arona e di qua per Borgo Ticino ed Oleggio a Novara. Ovvero giunta ad Arona poteva anche dividersi da questa e, costeggiando il lago sino a Castelletto, passare quì presso il Ticino e per Gallarate, Busto Arsizio e Rho arrivare a Milano. In conferma di questo secondo tronco noterò come in occasione della piena dell`anno 1868 si venissero, decrescendo le acque, a scoprire gli avanzi di un ponte romano presso il Castello di Castelletto sopra Ticino, sulla cui esistenza v’era questione tra gli eruditi [14], e come questi siano stati con ciò posti in grado di dare una spiegazione al nome volgare tuttora in uso di via Curora o Curola data appunto ad una strada, che dirigevasi verso il luogo, dove esisteva questo punto, e che doveva essere l`antica via currulis, quale era chiamata dagli abitanti in quell`epoca.
Similmente noterà quanto al tratto a questa superiore da Feriolo ad Arona, che si conservarono e si conservano tuttora le tracce di questa antica via non lontano da Stresa verso Belgirate, conosciuta dal popolo sotto il nome di Strada romana, come ho udito più fiate io medesimo da parecchi di Stresa, e veduto anche in parte le vestigia della medesima ora quasi perdute. Era alquanto elevata sul dosso de’ colli che circondano il Lago.
Quanto poi alla linea superiore oltre Vogogna, essa giunta a Domo presso Crevola si dirigeva al Sempione per la Valle di Vedro o Diveria, entro la quale furono in più luoghi scoperte prove non dubbie ti sua esistenza [15]. La moderna, che pel Sempione mette nel Vallese a Sion e di là a Ginevra, si può dir che percorra quasi la stessa linea: ne v’ha bisogno d’insistere su questo corso che a tutti è noto.
[NOTA DELL’AUTORE A QUESTO CAPO: Parlando della celebre iscrizione di Vogogna scrissi, ch’essa era scolpita nella rupe stessa, e che fu più recentemente di là levata e trasportata, dove è di presente. Deve dirsi, che l’iscrizione scolpita nella rupe stessa rimane ancora al suo posto primitivo, e che solo variò la direzione della strada: la qual cosa fu causa del mio errore. Essa strada prima del 1851 passava più verso il fiume e perciò alquanto discosto dall’iscrizione, che rimaneva così fuori di via. Ma avendo una piena del Toce distrutto quel tratto di strada, questa fu in quell’anno rifatta e così vennea passare rasente l’iscrizione. Aggiungo poi che le lesene che ora la incorniciano, come anco la interpretazione del Labus in tavola di marmo furono collocate nel 1853 a spese del nob. u. d. Pietro Rossetti-Mandelli]
[1] Memorie della corte di Maltarella, raccolte dal Dott. Giovanni Capis e nuovamente dal Dott. Giovanni Matteo Capis suo figliuolo dedicate all`Illustrissimo Co. Vitaliano Borromeo. Milano, 1673, 8.° -- Nel luogo citato interpreta la parola Masone per maggione o casa dei Cavalieri di Malta; la qual cosa può conciliarsi poi colla nostra, nulla ostando, che ivi ancor fosse una casa dei detti Cavalieri, ricordati anche dal Borri (l. c. p. 17), il quale narra, che la Chiesa dei Cavalieri Gerosolimitani (così li chiama), ch’era presso il ponte che si appella della Massone, fu distrutto dalla Toce. Riporta poi questo una carta del 1276, nella quale era memoria di un certo Cavaliere di Malta Fr. Francesco, allora rettore della Chiesa di S. Maria della Massone, commenda, dice, di questa religione. -- Sì noti però che la Chiesa attuale, e quasi in rovina, detta della Madonna di Loreto, poco distante dal luogo dove trovasi l`iscrizione, non ha nulla a che fare colla Chiesa dei detti Cavalieri. Anche l’Amoretti (l. c. p. 82) scrive, la Masone essere stata altre volte Chiesa e Spedale dei Templari. Ma questi furono aboliti nel 1312, da papa Clemente V. Mi limito a questi semplici cenni, ma la storia di questo luogo meriterebbe di essere meglio dilucidata.
[2] Prima del Labus era stata pubblicata da quasi tutti gli scrittori delle cose nostre, oltre ai nominati, e da tutti, qual più qual meno, con errori, senza tener conto poi di quelli commessi nell`interpretarla. Basterà qui accennare il Cotta nel Museo Novarese, p. 242, il Ferrari, Lettere Lombarde, p. 168, l’Amoretti, l. c. p. 82, e il Bianchini, l. c. p. 11, che trascrisse l`errore comune dicendo «Cesare passò per l`Ossola, Oscella, sede dei Leponzii: sussiste ancora in parte la strada, che tenne quel prode, e s’indica il monte nel quale era scolpita l`iscrizione: Via facta a Iulio Cesare.» -- Dopo il Labus fu similmente pubblicata da molti altri, come dal Mommsen nelle sue Inscriptiones confoederationis Helveticae, Turici, 1854 in 4.° p. 64, ed una seconda volta nel Corpus Inscriptionum Latinarum, Vol. V, sotto il n. 6649.
[3] Nel libro III, c. 6. ‘Έπεμψε δέ καί στατόν δυνάμεως, τόν τά στενά των ‘Δλπέων καταληψόμενον καί φρουρήσοντα τής Ιταλίας τάς εισβολάς.
[4] Il Borghesi o il Labus allora leggeva HS.XIIIDC. in luogo di XXIIDC, il che importa un aumento di altri 9000 sesterzi; sicchè la spesa totale sarebbe stata di scudi 565 il luogo di 340; somma però ancora assai tenue. Però secondo i calcoli del Labus nella citata Memoria, supponendo, egli scrive, che si tratti di sesterzi maggiori, la spesa sarà stata di lire ital. 2,350,050, somma ingente, che ben poteva bastare all`intera via; se minori, di lire 2,350.
[5] È la celebre iscrizione di Fontaneto colà trasferita e pubblicata anche da me nelle Memorie di Borgomanero al n. 8, in fine della quale si legge: Dedicata III. K. Iunias Dextro II. et Fusco Cos.
[6] Il Marini negli Atti e Monumenti dei fratelli Arvali, Roma, 1795, p. 692, non conoscendo che la lapide di Fontaneto, aveva opinato che in questa Destro siasi preso il luogo di Fusco, prendo a lui assai più probabile un tale scambio, anzichè supporre che si fosse scritto Fusco il luogo di Prisco; mentre poteva essere che questi avessi anche il cognome Fusco. Di che si vede che il Marini voleva riferire tale iscrizione all`anno 225, nel quale si hanno realmente Fusco II. et Dextro Cos. (V. presso l’Henzen il n. 6159). -- Però è da dire che nella lapide nostra il C. Domizio Destro non può per alcun modo confondersi col Destro di quest`ultima, il quale è chiamato con tutti i suoi nomi in altra lapide presso il medesimo Henzen n. 6503. SFr. CALpuRnio Ser. f. . . . DEXTRO C. M. v. (cioè Calrissimae Memoriae viro) cos. ORD. I cognomi corrispondono, ma non i gentilizi. Dopo la scoperta poi della nostra lapide l`opinione del Marini non può più sostenersi, sì per l`ordine e sì pel gentilizio che sono diversi.
[7] Pag. 444, 2. È la stessa che l’Orelliana n. 4135, che ricorderò più sotto.
[8] In Sever. cap. 8. Domitium Dextrum in locum Bassi praefectum Urbi reliquit.
[9] Tale sarebbe quello di Q. Gli zio Attilio Agricola, che fu console per la seconda volta l`anno 104 dell`era nostra in luogo dell` Imperatore Traiano. Questi ritenne il suo quinto consolato solo per pochi giorni, e poscia lo abdicò a favore di Glizio, come ne attesta un diploma militare dello stesso Traiano pubblicato da molti e in parte anche dal Promis l. c. p. 323, il quale parla a lungo dei meriti di questo insigne personaggio Torinese. Da esso diploma risulta che questi era già in carica il 19 gennaro del detto anno (a. d. XIIII. K. Febr. M’. Laberio Maximo II. Q. Gliltio Attilio Agricola II. cos.).
[10] C. Dominio Dextro II. L. Valerio Messala Thrasia (sic) Prisco cos. VI. Id. ianuar. etc.
[11] Si vegga a questo proposito il T. 3 delle Opere del Borghesi al p. 355, dove parecchi esempi sono stati da lui raccolti.
[12] È probabile che questo P. Manilio Fosco, sia quel medesimo che alcuni anni prima era stato legato di Augusto nella Dacia, cioè l`anno 191, come da lapide pubblicata nel Corpus Inscr. Lat. Vol. 3, n. 1172, e della stessa famiglia di Ti. Manilio Fosco console per la seconda volta l`anno 225, al quale spetta la lapide citata alla p. 99, nota seconda.
[13] Vedi Itinerarium Antonini Augusti et Hierosolymitarum, edd. G. Parthey et M. Pinder, Barolini, 1848, p. 164 et 167. -- Oltre queste due vie una terza sembra che ci descriva l`Anonimo Ravennate (IV, 30, p. 252, ed. Pinder) nel tratto: Vercellis, Novanja (così qui è chiamata Novara il luogo di Novaria), Sibrium (oggi Castel Seprio), Comum, Mediolanum, etc.
[14] Ne parlò tra gli altri dello scorso secolo Francesco Campana nei suoi Monumenta Somae locorumque circumiacientium, Mediolani, 1784, alla p. 51, dove dice che ai suoi giorni si vedevano ancora le vestigia degli archi, che sostenevano questo ponte. Siccome però se ne attribuiva la costruzione niente meno che a Belloveso, così dai recenti era stata posta in dubbio e da molti anche negata.
[15] Sulle antiche vestigia di questa nella parte superiore vedasi il Morigia, l. c. p. 31, il Bescapè, l. c. p. 214 e lo Scaciga, Storia dell`Ossola, p. 31, il quale inoltre riporta un frammento d’Iscrizione assai mal concia dal tempo, scoperta nella detta Valle di Vedro; ma soprattutto il Labus, il quale nella citata Memoria ne da la più ampia descrizione.
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