STRUMENTI CULTURALI
del Magazzeno Storico Verbanese
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Elenchi di funzionari e cariche pubbliche in «ISOLA BELLA»
Come Arona, capitale borromea del Verbano, fu «porta da entrare in Lombardia» e imprescindibile presidio dell`intero ducato tanto per i Visconti che per gli Sforza nel Quattrocento,[1] tutto il Lago Maggiore fu per secoli «il centro di smistamento naturale, per quanti, uomini e merci, qui transitavano, per tutti coloro che andavano e venivano dall`area alpina».[2] Ma non solo. da un certo momento in poi, che piace indicare proprio nella borromaica cinque-seicentesca "scoperta" della villeggiatura isolana, il Lago Maggiore diventa un punto di riferimento certo non solo per la classe dirigente milanese, ma anche per tutti coloro che dalle più diverse parti d`Europa giungono in visita alla metropoli lombarda, e intendono poi visitare i contorni di essa, attratti da motivi di curiosità, di ricerca di piaceri culturali, o ancora dalla devozione (pellegrinaggi ai sacri monti di Varallo, Varese, o ai santuari minori di cui non solo il lago ma anche le valli circonvicine sono ricche) e perfino da interesse militare.
La memoria corre subito al pieno Quattrocento e ai piaceri della caccia ducale nelle brughiere intorno a Somma Lombarda; ancora, non possiamo dimenticare l`andirivieni di funzionari e di dignitari per le terre dell`Ossola, del Bellinzonese, e dell`Alto Novarese in genere; son tutti motivi di scoperta dei luoghi nostri e delle loro rustiche piacevolezze nei secoli del Rinascimento lombardo.[3] A partire dal Cinquecento la visita assume in primo luogo e soprattutto una connotazione di omaggio al nobile nel suo palazzo di campagna, sia che si tratti dei Marliani (poi dei Crivelli) luinesi, o dei Morigia a Frino, dei Rusca a Locarno / Luino, dei Litta nell`entroterra di Monvalle-Taino o della nobiltà "secondaria" e dell`alta borghesia (dei Besozzi a Besozzo e Monvalle, Viani, Bianchini a Pallanza, Tinelli e Guilizzoni-Perabò a Laveno, Vagliani e Porta a Porto Valtravaglia, Mandelli e Della Bella a Maccagno, Della Porta a Casal Zuigno, senza dimenticare i Menafoglio a Varese nell`entourage della corte estense, e la nobiltà maggiore e minore ortense, cusiana e ossolana - tra questa i Della Silva e i Lossetti Mandelli...); ma è soprattutto ai Borromeo all`Isola Madre che la classe dirigente presta visita per obbligo d`etichetta o di parentela.[4]
Bisogna attendere il pieno Settecento per incontrare il vero grand tour, o vedere addirittura una iniziazione spirituale, e perfino il rischio di perdizione derivanti dalle lusinghe con cui la plaga verbanese ammalia il turista d`Oltralpe.[5] Certo, nel Seicento il viaggio assume gradatamente un connotato di insegnamento morale, di risveglio mondano,[6] oltre che di presentazione di sé alla società civile; la grande stagione dei viaggi verbanesi, però, è indubbiamente quella che si inaugura con il 1629-1630, aprendosi da parte dei Borromeo il luogo di delizie dell`Isola Bella; il motivo primario per cui la stagione fiorisce, è che l`Isola Bella (anzi, l`Isabella, almeno nei primi decenni), è tavolo diplomatico, luogo di incontri della classe nobile, che nei giardini e nel palazzo celebra i propri riti e conferma le proprie strutture dirigenziali e referenziali, a livello milanese ed europeo. Di conserva, gli itinerari praticati negli ultimi tre secoli per raggiungere l’Isola Bella sono itinerari che – come avviene specialmente nel secolo spagnolo, il Seicento – hanno un punto di partenza indiscusso in Milano, capitale del ducato e pertanto inizio di qualsiasi viaggio di rappresentanza di delegazioni ufficiali. Nel caso delle visite di duchi (Del Sesto, Sermoneta) e governatori (Caracena, Guzman Ponçe de Leon, Spinola Doria, Orozco), l’arrivo al Verbano avviene di preferenza da Sud, sul percorso di Sesto e Arona, o al massimo con un veloce detour dalla via di Novara.[7] Sul limite meridionale del Verbano una flottiglia di barche attende il personaggio in visita; la qual visita è di maggior “gestibilità”, considerato che si prevede un iter stabilito, parte per lago, parte per terra: Arona, la sua rocca e il Sacro Monte di San Carlo, talora una puntata sul Cusio,[8] al più una deviazione per Angera o Belgirate, l’arrivo all’Isola Bella, un eventuale omaggio all’altro ramo dei Borromeo, quello dei collaterali stretti del cardinale Federico,[9] che villeggia in Isola Madre. Variante di un certo interesse comporta il viaggio di ecclesiastici, in special modo i cardinali arcivescovi di Milano in visita pastorale (mete finali Cannobio e Brissago); in tal caso una o più peotte borromee son messe a disposizione del prelato; ma è comune che il barcheggio sia rinforzato da altre barche di maggiorenti verbanesi. I Borromeo, infatti, pur distinguendosi per il numero di imbarcazioni possedute, non sono i soli a mantenerne; quasi tutte le famiglie nobili e i grandi proprietari armano almeno una peotta con relativa voga,[10] ed è evidente che nessuno di loro rinuncia all’occasione di far bella figura e di rivaleggiare in cortesie con i maggiori feudatari del lago, offrendo il proprio mezzo e addobbandolo al meglio.[11]
Cavalli e carrozze sono il mezzo di trasporto terrestre più diffuso; ma rivaleggia con essi la barca (sia che si tratti di risalire il Naviglio e il Ticino, o che la si usi per il lago stesso).[12] Pronti a soddisfare le esigenze degli ospiti, i Borromeo non lasciano nulla all’imprevisto. La loro flotta di peotte (le barche di gala) e di natanti minori (burchielli e navirole) è mantenuta in costante efficienza e flessibile a ogni scopo (il traghetto di nobili,[13] o... il trasporto di legna e carbone); piacevole descrizione delle peotte di gala ci lascia di suo pugno Vitaliano VI Borromeo in una serie di disposizioni impartite ad Aronne Cuchino per la visita Sermoneta (settembre 1661).[14]
Tra Sei e Settecento, il forastiere che venga di Francia e desideri varcar l’Alpi entrando nel Milanese ha più strade possibili. Itinerari diversi scelgono invece coloro che provengono dai baliaggi elvetici, o dai Grigioni. Quando ancora le fabbriche borromee dell’Isola Bella non esistono, mancando il richiamo turistico, si preferiscono tracciati stradali che puntano dall’Oltralpe direttamente a Milano, lungo strade di sperimentata e antica affidabilità (la via Mala, il Gottardo, o – tramite il Piemonte e Torino – la via del Cenisio, del Monginevro, i passaggi delle Alpi nizzarde e provenzali al colle di Tenda, dell’Argentiera che metteva al marchesato di Saluzzo, dal Col de Vars entrando dal Delfinato, dal passo del Monviso e dal colle della Croce;[15] non viene trascurato il Sempione,[16] ma nei primi tre decenni di esistenza del palazzo isolano (circa 1630-1660) i resoconti di viaggiatori che incamminatisi sulla pendici tra Vallese e Ossola passavano dal Vergante mostrano come l’Isola ed il suo palazzo fossero più o meno noti, certo non famosi. Non sempre essi sono menzionati;[17] quando così avviene, è con pari dignità rispetto ad Arona e Sesto Calende;[18] sovente, addirittura, il Verbano è trascurato, preferendosi il percorso comprendente la rotta di mare tra Marsiglia e Genova: scelta che però portava a decidere di inoltrarsi senza indugi a Sud, verso Livorno, ignorando almeno nel viaggio d’andata la pianura padana.[19] Ma già in pieno ’700 v’è chi, pur essendosi messo sulla via Torino-Milano, inserisce apposta nel ruolino di marcia un detour per far visita alle Isole;[20] o ancora chi, come David Pennant, affacciandosi dal passo del Gottardo ad abbracciare con lo sguardo la penisola italiana che gli si distende davanti, ripostosi in cammino discende a Locarno e costeggia il Verbano («nobile specchio d’acqua»), giunge a Magadino, devia per visitare Lugano e spingersi in barca a Porto Ceresio; non trascurando di menzionare la valle della Tresa (ma evitandone le strette gole che menano a Luino),[21] il Pennant come altri suoi contemporanei preferisce la via di Varese «città interamente costituita di dimore appartenenti alla nobiltà milanese»,[22] con visita alla «residenza della duchessa vedova di Modena». Da lì la strada è pressocché obbligata, tuttoché «assai variata»: la meta era Laveno[23] e l’imbarco per le isole, in un crescente viavai “turistico” specialmente anglosassone che di lì a qualche anno (1816) fa esclamare al Byron «The North of Italy is tolerably free from the English. But the south swarms with them, I am told».[24]
Dopo l’apertura della nuova via napoleonica del Sempione,[25] quello stesso forastiere che sopra abbiamo incontrato sulla via da Francia si trova a disporre di tre possibili strade,[26] oltre a tracciati di secondaria importanza per l’ex-ducato Lombardo (quali la Nizza-Ventimiglia-Savona-Genova) che però più invogliano a proseguire alla volta di Bologna, Lucca, Siena, Firenze, Roma e l’ambìto Meridione d’Italia.
Allo schiudersi del secolo decimonono le vie del turismo verbanese diventano logica conseguenza degli itinerari regolati dallo stradario dell’editore Langlois, «guide indispensable aux voyageurs, étrangers, curieux et négocians»[27] a sua volta ricalcata sulle decisioni degl’imperiali ministeri di Napoleone, o più localmente (ma con ancor maggior tempismo, visto che le prime mosse del libro sono del 1794...), sugli esiti delle manovre editoriali di un personaggio d`intraprendenza e di cultura, intimo di casa Borromeo: Carlo Amoretti, che mette mano alla propria fortunata odeporia trovando seguito di pubblico e incontrando numerose edizioni.[28]
Il viaggiatore si trova dunque per così dire “costretto” a confrontarsi con il panorama del golfo Borromeo specialmente quando prenda l’itinerario del Sempione; al contrario, la puntata verso il lago Maggiore è per lo più ignorata se l’accesso all’Italia avviene dal Sud o dall’Ovest del Piemonte (la Nizza-Genova, strada peraltro da poco aperta per la difficoltà del tracciato,[29] l’altra della valle di Susa). Ma oramai l’Isola Bella ha conquistato solida fama in ogni dove;[30] può ben sopportare quel rischio di venir sottovalutata, o addirittura dimenticata come sosta d’obbligo del forestiere che preferisca il San Gottardo, il Bernina, il Passo dello Spluga. Eclatante il caso di Charles Dickens, che non si sofferma a raccontare la "propria" Isola Bella (non aveva avuto il tempo di porgervi visita, giungendo solo a sera da Milano e ripartendo subito alla volta della Svizzera Vallese), ma si concentra sul tragitto Milano-Domodossola-Sempione; egli liquida il palazzo e giardino con una frase ad effetto (che sa quasi di scusa per il mancato ingresso) e da buon inglese amante della natura si dilunga poi sulle giogaie del Sempione.[31]
Dickens, almeno, passa lungo riva: si danno invece casi di viaggiatori famosi che una volta giunti a farsi lambire i piedi dall’acque verbanesi nella piana di Magadino[32] vengono attirati sul Ceneri verso il Ceresio e scordano quindi il Verbano; perfino qualche letterato francese (quale il ben noto Jules Michelet,[33] e Jean-Jacques Ampère) – complice forse il fatto d’esser giunti sul lago dal Gottardo e da Lugano, e non dal Sempione – non menzionano minimamente le Isole nei propri resoconti di viaggio, commentando piuttosto le emozioni scatenate dalla vista dei torrenti montani rumoreggianti nelle forre del Gottardo, della bruma che ne avvolge i ghiacciai, del Verbano intravisto tra i castagneti alle pendici del Ceneri,[34] dei colli di Lugano dalla virgiliana bellezza, delle dolci distese d’orangers et oliviers: «… situation dite romantique et pittoresque par les manuels de voyage»;[35] vi è chi addirittura parla di “Lago Locarno”,[36] infischiandosene delle più tradizionale doppio nome del bacino lacustre; taciamo poi dei turisti teutonici, di quelli slavi (russi, polacchi, ungheresi e di altre esotiche etnie) che preferiscono altre strade, geograficamente lontane dal Verbano, ma per tradizione a loro ben familiari.[37]
Sulla scia di tedeschi e slavi si muovono non pochi inglesi e viaggiatori del Nord Europa (tra cui svedesi e danesi); i luoghi geografici che favoriscono la decisione per l’ingresso in Italia dalle Venezie o dagli Stati Sardi stanno al di là delle Alpi e fanno intuire, oltre ad una certa forma mentis del viaggiatore (l’adattamento alla matrice culturale tedesca o per quella francese, che li porta a far visita alle maggiori città di Francia, piuttosto che ai centri di cultura tedeschi e alla capitale austriaca), anche la volontà di seguire il percorso più comodo. Il che vale a dire come la scelta tra Verbano e Garda, tra Milano e Venezia viene presa a seconda che il viaggiatore si trovi a Parigi o a Vienna.[38]
Devono passare decenni e veder l’Italia unita sotto re Vittorio Emanuele II,[39] perché dal fiorire delle linee ferroviarie arrivi impulso per il viaggio,[40] e contemporaneamente si trovi naturalmente propagandata – come nella «Guida» Ronchi – la visita al Verbano come piacevole e comoda escursione da Milano (per vero quella «guida» pare scritta soprattutto per il turista nostrano,[41] più che per quello straniero). La rotta prevede varianti sostanziali a quella del Sei e Settecento già viste: il viandante si deve avvalere della «strada ferrata sino a Rho, indi colla medesima» tocca Gallarate, per goder la visita del Castello Visconteo e la vista del «cipresso gigantesco» di Somma,[42] del battistero di Arsago Seprio, del borgo commerciante di Sesto Calende con la sua «prepositurale del XIII secolo».[43] Sceso dal chemin de fer ad Arona, «stazione dei battelli a vapore e della strada ferrata per Torino e Genova»,[44] si ha di che perdersi – pur di disporre d’una barca e di un robusto vogatore, che acconsenta a saltabeccare continuamente d’una all’altra sponda – tra le visite a Mercurago, Oleggio Castello, ai filatoi di Meina, all’«antico borgo già città» di Angera, Ranco, Ispra, Lesa, Belgirate.[45] Nel dipartimento di Chignolo Verbano si giunge al pezzo forte, le isole;[46] è suggerita – se la fretta lo consente – la visita a Baveno, Pallanza, Ceresolo e Cerro, Ferriolo, Suna, Laveno e Intra,[47] prima di infilarsi su per l’Ossola; ripreso il cammino, il viaggiatore dà l’addio all’Italia da Iselle, inerpicandosi con «buon cavallo di rinforzo dal primo novembre a tutto aprile senza reciprocità»[48] per il Sempione verso Bérisal e Briga.
Vi è quindi da capire come l`oltremontano che ritorna da una visita alle Isole rimpatri frastornato da tanta mediterraneità - pur mediata dalle visioni "turneriane"[49] velate di malinconici "cenerognoli" azzurri delle lontane rupi svizzere (del Ceneri e della Cardada) - improvvisamente paratasi di fronte a lui già all`andata, dopo qualche chilometro di discesa dalle aspre giogaie del Sempione.
Il viaggiatore alle isole Borromee non dimentica, nel rientro oltremonti o addirittura al Nord Europa le difficoltà frammiste alle bellezze, gli splendori delle case nobili che convivono con i miseri tuguri di pescatori, le bellezze del percorso inscindibilmente unite alle sue scomodità; ma una visita al Verbano - porta d`Italia e della cultura mediterranea[50] - val bene qualche dolore di schiena, qualche peregrina infreddatura e qualche cena scadente servita da uno scorbutico oste in una verbanese Osteria delle Quattro Effe: Fàmm, Frécc, Fùmm e Fastìdi.
[1] Aa.Vv., «Arona, porta da entrare in Lombardia» tra Medioevo ed Età Moderna. Atti del IX Convito dei Verbanisti, Verbania 1998, e in particolare P. Frigerio - C.A. Pisoni, Le fortificazioni borromee tra XV e XVI sec.
[2] A. Bruno, Tra vie d`acqua e percorsi di montagna. Intra, Pallanza e le degagne dei Morigia, in Lungo Le Antiche Strade. Vie d`acqua e di terra tra stati, giurisdizioni e confini della cartografia dell`età moderna, a c. di Marina Cavallera, Busto Arsizio 2007, pp. 247-268.
[3] «un prodotto di Oceano ammirevole straordinario rispetto agli altri: il Verbano, lago cisalpino distinto tra i laghi italiani, con i borghi che gli si affacciano e che gli sono vicini, coi fiumi e con le qualità eccelse di una natura propizia» (D. Della Bella il Macaneo, Verbani Lacus. Il Lago Verbano, Milano 1490, rist. anast. con trad. di P.G. Pisoni e P. Frigerio, Verbania 1975, p. 15).
[4] Tra le altre precoci visite al villeggio borromaico-verbanese, piace citare quelle del cognato di Giberto I Borromeo, Claudio di Savoia (?-circa 1521; maresciallo generale del ducato di Savoia e marito di Ippolita Borromeo) all`isola Madre: ABIB; Stabili, Isola Madre, Visite.
[5] «Un giovine Conte d`oltremonti, educato nel santo pudore in un collegio della Svizzera, si rammaricava e piangea meco un giorno inconsolabilmente d`aver troppo veduto. Narrava egli il suo caso cogli animati colori dello sdegno, e narrando, bollente d`ira, imprecò all`Italia. Maladetta terra d`inciampo, disse, tu se` una dolce Sirena che sin dal primo vederti innamori col guardo, alletti col canto, e sì le tue bellezze ammaliano i cuori, che, se non tardi, non s`avvedono d`aver già nelle vene e nell`ossa il veleno, che tu loro con tanta grazia porgesti. Indi ricompostosi alquanto: vedi, ripigliò, mio caro amico, se dico la verità» (Antonio Bresciani, Ammonimenti di Tionide al giovine conte di Leone, Genova 1839(7), p. 96).
[6] «L`utilità, che reca il viaggio, è sì grande, che se il Mondo è un libro, come viene chiamato da sant`Agostino, non v`è alcuno, che lo studii meglio di quello, che in quello viaggia. Chi sta sempre appo del fuoco in casa propria, non ne legge che una pagina,e rimane sempre sulla stessa lezione, e rassomiglia a colui, che aveva sempre un libro aperto sulla tavola, ma non lo leggeva mai, e com`era sempre aperto in uno stesso luogo, non poteva tenerli aperto in altro luogo che in quello. Se si vuol saper molto di quello libro del Mondo, è d`uopo leggerne molte pagine» (Guido Antonio Sabelli, La guida sicura del Viaggio in Italia, Genevra MDCLXXX, appresso Gio. Herman Widerhold, introduzione al lettore).
[7] Le visite dei governatori di Milano al Verbano erano dettate dalla necessità di compiere sopralluoghi alle fortezze e apprestamenti militari del Piemonte e Lombardia; tappe d`obbligo erano il Finale Ligure, Tortona, Mortara, Novara; gli ingegneri militari (Prestino, Beretta, Cagnola) non trascuravano visite alle fortificazioni dei passi valsesiani d`Otro e di Olen; Arona (e in subordine Domodossola -Vogogna e Angera essendo decadute di qualsiasi interesse), come fortezza più a Nord, era al termine dell`itinerario e forniva ottimo pretesto per una «scorsa» alle Isole.
[8] Avveniva talvolta che l`itinerario venisse percorso in un senso o in quello inverso, a seconda della comodità. Nell`ottobre 1663 il gran cancelliere Zapata giunse all`Isola partendo da Milano, ma diretto in prima battuta a Varallo; da lettere di vari corrispondenti dei Borromeo risulta che lo Zapata fu a Novara in casa dell`«abbate Gibelino» (Gibellini), poi a Romagnano, dove pernottò in una «hosteria», in «Borgo Sessia in casa del sig. Gibellino padre del detto sig.r abbatte», in Varallo sostò da don Francesco D`Adda; ad Orta (nell`Isola di San Giulio) lo attendeva il vescovo di Novara («mons.r vescovo in isola sta pronto») ma poi le notizie si confondevano, anche a causa della volubilità delle parole dello Zapata, che pur dichiarando di volere dirigersi ad Omegna o forse a Borgomanero, aveva espresso stando a tavola a Novara l`intenzione di far visita al conte Vitaliano all`Isola Bella («disse “trovaremo ben colà il sig.r conte Vitaliano Borromeo, che è tutta gentilezza”»). Al conte Vitaliano, in effetti, non sorrideva granché dell`idea di ospitare all`improvviso lo Zapata nel palazzo di Arona (come poi invece avvenne), ma stimò meglio far predisporre comunque ogni cosa secondo i dettami di cortesia. Dopo una trasferta ad Angera, il gran cancelliere giunse all`Isola Bella il lunedì 15 ottobre, dopo che le condizioni avverse di lago e di tempo lo avevano costretto a rifugiarsi all`Isola Madre, ospite del conte Antonio Renato duca di Ceri. Interessa notare qui che il viaggio di rientro a Milano si svolse sull`itinerario varesino, con la variante di una sosta in casa Besozzi a Bardello, dove il gran cancelliere fu ospite a pranzo del conte Teodoro Besozzi; non mancò infine la tappa alla Madonna del Monte di Varese.
Il 21 maggio 1669 il governatore Spinola Doria decise improvvisamente di rendere visita all`Isola Bella mentre si trovava al Sacro Monte di Varese; i Borromeo disposero come al solito perché egli trovasse le peotte ad attenderlo a Laveno; il 24 maggio lo Spinola Doria era già a Milano (nonè chiaro per quale via egli abbia fatto rientro).
[9] Sul ramo dei marchesi di Angera cfr A.E. Galli - S. Monferrini, I Borromeo di Angera, Collezionisti e mecenati nella Milano del Seicento, Milano 2012.
[10] Bolongaro, Guilizzoni, Marliani, Marinoni, Morigia, Viani (famiglie rispettivamente di Stresa, Cerro, Luino, Frino-Ghiffa, Pallanza) tenevano con tutta certezza di documenti che lo provano peotte e barche di servizio (C.A. Pisoni, Note per la storia della navigazione verbanese, in «Loci Travaliae», VIII-1999, p. 67-123.
[11] Per una abbondantissima iconografia delle barche di lago in genere, rimando al recente lavoro di F. Rusconi Clerici, Barche del Lago Maggiore, Verbania 2014; sulle barche di gala delle famiglie nobili, si veda in particolare alle pp. 69 e 140-143.
[12] Il governatore di Milano Luis Guzman Ponçe de Leon stabilì (1665) di far visita al Verbano dopo essersi recato a Lodi e Cremona; l`itinerario, da quanto ci rimane in una lettera di Bartolomeo Arese (1665 set 11) a Vitaliano Borromeo, fu Milano – Robecco – Arona – Isola Bella. Il Naviglio era considerato comodo e veloce: quando il Borromeo dovette tornare a Milano per rendere omaggio al conte di Paredes, scelse proprio la via d`acqua, come «la più comoda» e la meno soggetta al maltempo che in quel torno di tempo aveva colpito il ducato e il Verbano (Visite 1665; Vitaliano VI Borromeo al fratello Renato II, 1665 set 23).
[13] Il mezzo era il più efficiente e rapido per raggiungere qualsiasi punto delle due rive verbanesi, e trasportare gli ospiti. Nell`agosto 1694 una comitiva di nobili piemontesi preferì risalire la sponda lombarda del lago, piuttosto che fermarsi ad Arona; l`agente borromeo di Sesto Calende, Pier Paolo Badini, li raggiunse con la peotta a Lisanza e li traghettò a Belgirate, e dopo il pranzo (comprensivo di «un piatto di fichi, che tanto bramavano le dame») il gruppo arrivò all`Isola Bella («alle 21 ora», cioè alle cinque pomeridiane); dopo una scampagnata all`Isola Madre, la comitiva rientrò all`Isola Bella per la cena «alla piemontese» e il pernotto (Visite 1694. Pier Paolo Badini a Carlo IV Borromeo Arese. Sesto Calende, 1694 ago 19). Sulla relazione di visita del card. Pozzobonelli, con grande ricchezza di particolari sulla complessa articolazione del tragitto verbanese e le cerimonie connesse, cfr C.A. Pisoni, «Fu onorato l’emin.mo di dodeci tiri di cannone». La «Relazione della venuta al Lago Maggiore» del card. Pozzobonelli (1749) dalle carte dell’Archivio Borromeo Isola Bella, in «Miscellanea di Studi in onore di mons. Bruno Maria Bosatra», Milano 2011.
[14] «1. La peota grande. Porle i cossini suoi di seta, e dietro due de`più belli cossini cremesi. Il coperto coprirlo nella parte in giù verso la peota con i due tapeti di tavola di damasco giallo e cremesi, che ha il Maggio [= un servitore di casa]. ^Si averta pure a far apparire la parte più bella di tapeti perché uno di essi ha una magagna.^ E perché un tapeto solo non basta si doverà avertire a parrare uno per parte in modo che il legno di mezzo del coperto copra la loro connessione. Sopra si dovrà porre, conforme il solito, il panno nuovo. Avertire che tutti i barcaroli ponghino le vesti rosse. Sopra la tavola di mezzo porre pure il tapeto di damasco cremesi e giallo che si manda, dandoli buona piegatura perché è grande. 2. La peota piccola. Far accomodar i cossini di corame [= cuscini in cuoio] in modo che stiano ben applicati alle sponde sue. Far dar la vernice color di noce al coperto e piantoni e, quando vi sia tempo, di far dorare i fili come si discorse col Tiberino [= Jacopo Filippo Tiberino, architetto e ingegnere al servizio di casa borromea]; avertire pure che tutti i barcaroli ponghino le vesti rosse. 3. Far subito le banderole col cendale cremisi che si manda. E servirsi per medio della bandiera della peota che già vi è. E procurare pure di tirar fuori nel cendalo [= ricavare tagliando dalla tela] stesso le bandiere picciole. Farli fare nel mezzo una arma, ^f(att)a^ con corona e nel mezzo l`arma Colonna, che non è altro che una colonna con sopra una corona come mostra questo disegno [in centro alle cinque righe che seguono trova posto uno schizzo di una colonna coronata]. Il campo della colonna potrà essere il medesimo cendal rosso, per farli poi fissata […] l`arma di casa» (Visite 1661, Vitaliano VI a Aronne Cuchino, 1661 set ante 8).
[15] Oltre ai valichi valdostani, una serie di cammini più o meno agevoli si apriva nelle Alpi alle spalle del Piemonte: «après avoir passé la riviere du Var proche de Nice on trouve deux chemins, l`un a main droite le long de la marine, et l`autre à gauche: celuy-cy conduit au col de Tende, par Sospel et par Saorgio dans une route bien penible. […] Le passage pour le col de l`Argentiere, donne l`entrée dans le marquisat de Salusse: on s`y rend de la Provence et du Dauphiné; de la Provence par le Lauset, le Val de Mont, Miolans, Barcelonette, Meirone et l`Arche, eloigné seulement d`une lieuë de ce passage qui meine dans le Val de Sture, on s`y rend au Dauphiné par Guillestre, par le col de Vars, par S. Paul et par Meirone: comme aussi par un autre chemin qui tire sur la gauche par le Val de Queyras le long de la Combe du Vayer, mais ce dernier chemin il faut passer quinze ponts en moins de cinq lieués.
Le passage du Col de Lagnes aboutit au Dauphiné, un quart de lieuë apres Queyras on prend la droite, et on trouve S. Varan, la montagne de Lagnel, Chateau-Dauphin et Vilars, premier lieu des Etats du duc de Savoye, on rencontre en suitte les vallées de Vraite et de Maire dans le marquisat de Salusses.
Le Mont Viso a un merveilleux passage qui mene de Quieras par Ristolas en la vallée du Pô: cette montagne a esté ouverte à force de fer et de feu l`espace d`un demy-mille.
Le Col de la Croix se presente pareillement à ceux qui viennent par Quieras [= Queyras], et qui prennent la gauche a la sortie de Quieras; apres le Col de la Croix on trouve la Tour de Mirebouc, au duc de Savoye, assez mauvais passage qui mene dans le Piemont par les valles d`Angrogne et de Luserne.
Le Mont Genevre aboutit à deux grands chemins qui viennent de Grenoble, l`un par le col de Lauret et Briançon, l`autre par Embrun et Briançon. Le premier est tres difficile et n`est gueres practiqué, si ce n`est par ceux du pays. Le chemin d`Embrun est le plus long, mais aussi le plus commode, tant pour le canon que pour les armées. D`Embrun on vient à S. Clement, a S. Crespin, à Pertuis-Rostang, à Briançon, à 1 lieuë duquel est le mont Genevre, d`où on descend à Sezane, où le chemin se fourche en deux principaux, l`une a droite assez aisé, pour la vallée de Pragela [= Pragelato] qui apartient au Roy, et qui mene à Pignerol par Perouse [= Villarperosa], capitale d`une vallée du mesme nom. L`autre chemin qui est celuy de la gauche conduit a Suze [= Sauze, Salice] par Oulx, Salbertrand, Exilles, Chaumont, le Ruisseau de la Graviere, qui fait la separation des estats de France et Savoye, Iallon et Gelasse. Ce passage a beaucoup esté suivy par les anciens […] Par le mont Cenis on vient à Suze apres avoir passé la Maurienne. Ceux qui viennent de Lyon tiennent ordinairement cette route; il passent premierement par la montagne d`Aiguebellette, fort fascheuse» (P. Du Val, Le voyage et la description d`Italie montrant exactement les raretez et choses remarquables qui se trouvent en provinces…, Parigi, Clouzier 1656, p. 8-11).
[16] Horace Benedict de Saussure fu tra quelli che ebbe a percorrere in lungo ed in largo le vallate dell`Ossola, oltre che la Formazza e la Maggia; nel proprio viaggio nelle Alpi (1777) egli si diffuse in minuziose descrizioni geologiche delle terre visitate. La sua discesa da Domodossola verso le isole Borromee prese circa cinque ore, comprendendo la navigazione di «quasi due leghe» da Mergozzo all`arcipelago. L`impatto delle tre isole sul de Saussure fu grande; lo scienziato restò impressionato dal contrasto della povertà riscontrata negli abituri dell`isola Superiore, in confronto alla «magnificenza dell`Isola Bella»; il raffronto tra miseria della vita quotidiana e splendori della magione nobile aveva un equivalente: al complesso di giardini e edifici il de Saussure poneva come contraltare le «tristi solitudini del Grimsel e del Gries». A malincuore (almeno così pare) il de Saussure riconosceva che il gusto che aveva originato le scelte edilizie isolane non era più di moda; la sua naturale predisposizione per le bellezze naturali («io stesso amerei di più trascorrere i miei giorni in un vallone sperduto tra le rocce, i boschi e le cascate, che non percorrere sempre queste terrazze rettilinee») non gli fece però disconoscere «l`iniziativa bella e nobile, una specie di creazione, quella di aver trasformato in superbi giardini una roccia assolutamente nuda e sterile; di ricavarne i più bei fiori e la miglior frutta d`Europa, invece dei muschi e dei licheni che la popolavano un tempo». Tralasciando il fattore artistico («non parlo del palazzo, degli appartamenti, dei quadri: questi oggetti non rientrano nel piano della mia opera»), lo scienziato si diffuse invece sulle caratteristiche botaniche e geologiche dell`isola e di alcuni ambienti suoi (le stanze a grottesca, «in rocaille, d`una grandezza e freschezza preziose nella stagione nella quale si visitano questi giardini»). Neppure il de Saussure andò indenne da errori, discorrendo delle isole (e con lui i suoi commentatori): prova ne sia il fatto che della marchesa Pozzo, dichiarata dall`insigne naturalista sorella del padrone dell`Isola, non v`è traccia nella genealogia borromea. Credo di poter qui correggere l`errata resa del cognome: esistè una marchesa Porro Carcano, Maria Margherita, sorella del conte Giberto V Borromeo Arese; questi – e non il conte Federico VI Borromeo– negli anni in cui lo scienziato fu in visita sul Verbano era il proprietario dell`isola Bella (H.B. de Saussure, Viaggi nelle Alpi. Passo del Gries e Monte Rosa, Fondazione Monti, Anzola d`Ossola 2000, pp. 89-106; si rettifichi, in nota 69, la dichiarazione di proprietà dell`Isola Bella e il numerale dinastico del conte Federico VI “il matto”).
[17] «Ugogne est la place principale su la riviere de Tosa que 6 ou 7 mille plus haut passe à Domo d`Oscela, il reçoit le Tesin qu`il rend au dessus d`Arone, dont le chasteau en ces dernieres guerres a repoussé les efforts des François; vis a vis d`Arone est Anghiera, le titre d`une ancienne seigneurie»: ecco tutto quello che narra del Verbano Pierre De Val (Le voyage…, cit., p. 88).
[18] Le varianti geografiche per l`ingresso in Italia sono riportate da Richard Lassels, Description of Italy (1654), in E. Chaney, The great tour and the great rebellion. Richard Lassels and “The voyage of Italy in the Seventeenth Century” (Biblioteca del Viaggio in Italia, n. 19, CIRVI, Moncalieri, 1985), p. 162: «from Domo you go that night to Margutzi, a little village and then embarkeing upon the Lake Maior in a boate taken to yourselves, and making your bargain to keep aloof from the commande of the castles on the shoare sire, you arrive that night at Sesto, having passed by a little towne on the right hand where S. Charles was borne; and by the house in the island belonging to the count of Boromaeo. From Sesto you go in coache to Milan in one day, dining at the Castellanza, a pritty towne in the halfway». Altrettanto spazio descrittivo del tragitto (e sue particolarità), ma con giudizi alternanti sulle isole e sui villaggi rivieraschi concede il famoso scrittore inglese, coevo al Lassels, John Evelyn: egli arriva da Milano alla Castellanza, dove si imbatte in un gruppetto di gesuiti alla cui conversazione inquisitoria (incerti degli incontri di viaggio) si sottrae, preferendo continuare il viaggio pur con tempo inclemente («The first day we got as far as Castellanza, by which runs a considerable river into Lago Maggiore; here, at dinner, were two or three Jesuits, who were very pragmatical and inquisitive, whom we declined conversation with as decently as we could: so we pursued our journey through a most fruitful plain, but the weather was wet and uncomfortable. At night, we lay at Sesto». Qui gli si para dinnanzi un panorama meraviglioso, che ha negli occhi intanto che si imbarca alla volta di Arona, per poi lanciarsi in considerazioni più che sulle bellezze isolane, sulle difficoltà del viaggio al Sempione, e sulle caratteristiche storico-naturali dei luoghi: «The next morning, leaving our coach, we embarked in a boat to carry us over the lake (being one of the largest in Europe), and whence we could see the towering Alps, and amongst them the great San Bernardo, esteemed the highest mountain in Europe, appearing to be some miles above the clouds. Through this vast water, passes the river Ticinus, which discharges itself into the Po, by which means Helvetia transports her merchandizes into Italy, which we now begin to leave behind us. Having now sailed about two leagues, we were hauled ashore at Arona, a strong town belonging to the Duchy of Milan, where, being examined by the Governor, and paying a small duty, we were dismissed. Opposite to this fort, is Angiera, another small town, the passage very pleasant with the prospect of the Alps covered with pine and fir-trees, and above them snow. We passed the pretty Island Isabella, about the middle of the lake, on which is a fair house built on a mount; indeed, the whole island is a mount ascended by several terraces and walks all set above with orange and citron trees. The next we saw was Isola [= Madre] and we left on our right hand the Isle of St. Jovanni; and so sailing by another small town built also on an island, we arrived at night at Margazzo [= Mergozzo], an obscure village at the end of the lake, and at the very foot of the Alps, which now rise as it were suddenly after some hundreds of miles of the most even country in the world, and where there is hardly a stone to be found, as if Nature had here swept up the rubbish of the earth in the Alps, to form and clear the plains of Lombardy, which we had hitherto passed since our coming from Venice. In this wretched place, I lay on a bed stuffed with leaves, which made such a crackling, and did so prick my skin through the tick, that I could not sleep. The next morning, I was furnished with an ass, for we could not get horses; instead of stirrups, we had ropes tied with a loop to put our feet in, which suppliedthe place of other trappings. Thus,with my gallant steed, bridled withmy Turkish present, we passed through a reasonably pleasant but very narrow valley, till we came to Duomo, where we rested, and, having showed the Spanish pass, the Governor would press another on us, that his Secretary might get a crown. Here we exchanged our asses for mules, sure-footed on the hills and precipices, being accustomed to pass them. Hiring a guide, we were brought that night through very steep, craggy, and dangerous passages to a village called Vedra, being the last of the King of Spain`s dominions in the Duchy of Milan. We had a very infamous wretched lodging.«un`isola graziosa, Isabella, [...] si trova nel mezzo del lago con una splendida dimora su di un`altura: infatti l`isola intera è costituita da un`altura che si ascende mediante varie terrazze adornate da piante di limone e di arancio, dato che il riverbero dell`acqua conferisce al luogo tepore» (J. Evelyn, Diary and Correspondence, London 1870, vol I, pp. 238-9). L`icnografo Gilbert Burnet, pressocché coevo all`Evelyn descrive specialmente i giardini isolani; la sua relazione è qui ripresa dallo studio di A. Brilli, Il viaggiatore raffinato. Itinerari romantici per viaggi d`oggi in Italia, Silvana Editoriale, Milano 1991, pp. 36-37: «Ben più articolate e diffuse [rispetto all`Evelyn] una quarantina di anni dopo, appaiono le note di Gilbert Bumet ‑ uno dei più acuti osservatori fra gli aurorali viaggiatori britannici ‑ il quale, dopo aver fatto cenno alle misure del lago, alla sua configurazione generale e alle Isole Borromee, “i più bei tratti di terra di questo mondo”, descrive l`Isola Bella con straordinario rigore topografico: “L`isola intera è un giardino... ce n`è un primo ad oriente che sorge dal lago su cinque piani di terrazze; sui tre lati del giardino bagnati dalle acque del lago; le scale sono imponenti, le mura coperte di piante d`arancio e di limone, e non è possibile concepire sito più bello. Agli angoli di questo giardino ci sono due edifici: uno è un mulino per raccogliere l`acqua, mentre l`altro è una nobile dimora estiva interamente rivestita, se così posso esprimermi, di alabastro e di marmo di un bel colore tendente al rosso. Da questo giardino si sale al livello del resto dei viali, degli orti e dei giardini fioriti in ciascuno dei quali ci sono varietìa di fontane e di alberi. Il giardino più grande è sorprendente per il gran numero di statue e di fontane ed è di così ampia estensione che al limite estremo culmina in un monte. Intorno a questo monte, in corrispondenza dei cinque ordini, si sviluppano altrettante terrazze o nobili passeggiate... Sulla sommità del monte c`è una grande cisterna nella quale il mulino convoglia l`acqua che deve servire a ogni fontana”. Poi Burnet esprime un giudizio complessivo sul luogo che resterà un parametro di riferimento per i viaggiatori dei secoli successivi: “La frescura dell`acqua, trovandoci in un lago e in prossimità dei monti, la fragranza, dei profumi, il panorama stupendo e la deliziosa varietà, fanno di questa dimora una residenza estiva di cui il mondo probabilmente non conosce l`uguale”».
[19] Varî inglesi e americani preferiscono il viaggio via mare da Lione via Marsiglia; si danno qui un paio di casi, o poco più. Il percorso di Thomas Abdy toccò Angers, Nantes, La Rochelle, Bordeaux, Agen, Toulouse, Carcassonne, Nimes, Arles, Aix-en-provence, Avignon, Grenoble, Chambéry, Geneva, Lione, Marsiglia, Genova, Livorno, Roma (L. Monga, Thomas Abdy`s unpublished Travel Journal through France and Italy (1633-1635), in «Bollettino del CIRVI», n. 13, anno VII-1986, p. 63. Jacob Spon e George Wheler nel loro Voyage d`Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant, Lyon, Cellier 1678, vol. I, p. 33-35, condotto tra 1675 e 1676 al fine di raccogliere notizie d`arte ed epigrafia classica, descrivono il viaggio da Marsiglia via nave sino a Genova, e quindi da Genova a Livorno con «une felouque», navigando lungo «la côte, que les anciens appelloient mer ligustique et que l`on nomme aujourd`huy “riviere de Genes”» (p. 35). Un secolo dopo, altra strada compì (ahinoi “snobbando” in pieno le isole Borromee e il Verbano) il famoso trattatista Charles Burney (1726 – 1814), che percorse l`Europa allo scopo di redigere una «General History of Music» compilata con notizie di prima mano e verificate di persona sul posto (di seguito si usa l`edizione italiana del «Viaggio Musicale in Italia», EDT, Torino 1987(2), traduzione di E. Fubini sulle numerose varianti succedutesi tra 1771 e 1974 di «The present state of Music in France and Italy»). Il rimpianto per il silenzio del Burney a riguardo del lago Maggiore viene ripagato dalla messe di informazioni circa le rappresentazioni teatrali, le accademie, i concerti e i musicisti a Torino e Milano; il tragitto dall`Inghilterra seguì le seguenti tappe: Dover – Calais – Bethune – Lille – Parigi – Lione – Ginevra – Chambery – Saint Jean de Maurienne – Moncenisio – Torino – Civasco (Chivasso) – Vercelli – Boffalora – Milano. Dopo un itinerario cautamente definito (con tappe salienti a Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli) il Burney rientrò in patria seguendo il percorso da Pisa, Genova, Finale – Antibes (via mare), Lione, Parigi. Qualche decennio più oltre (1804-1806) lo scrittore americano Washington Irving (1783-1859) si recò in Europa salpando da New York; il suo viaggio nel vecchio continente iniziò a Bordeaux, e segnò le tappe di Nizza, Genova, Messina, Palermo, Napoli, Roma, risalendo l`Italia alla volta della Svizzera e da là verso le Fiandre, l`Olanda e l`Inghilterra. Altrettanto fedele ai cliché di viaggio S.L. Clemens, alias Mark Twain: «From Marseilles to Genoa is a run of one night. The excursionists will have an opportunity to look over this, the “magnificent city of palaces”, and visit the birth-place of Columbus, twelve miles off, over a beautiful road built by Napoleon I. From this point, excursions may be made to Milan, Lakes Como and Maggiore, or to Milan, Verona, (famous for its extraordinary fortifications), Padua, and Venice. Or, if passengers desire to visit Parma (famous for Correggio`s frescoes), and Bologna, they can by rail go on to Florence, and rejoin the steamer at Leghorn, thus spending about three weeks amid the cities most famous for art in Italy» (M. Twain, Innocents abroad, ripresa digitale dell`edizione New York 1869). Analoghi viaggi in Europa aveva compiuto prima di Twain Thomas Jefferson (poi presidente statunitense) allorché perlustrò (per ben cinque anni) Francia e sconfinò in Italia per l`irrinunciabile lezione d`arte e cultura che i rampolli delle famiglie “bene” transoceaniche erano usi raccogliere nel vecchio continente. Jefferson entrò in contatto con una numerosa schiera di artisti francesi (tra cui Elisabetta Vigée Le Brun, a Parigi nel 1786); passò per la Borgogna, per la Linguadoca, Bordeaux e Marsiglia; il 13 aprile 1787 valicava le Alpi sopra Nizza, per quello che definì «a peep to Elysium» (“una sbirciata all`Eliso”): si trattò di una breve visita limitata alle maggiori città del Nord (Torino, Genova e Milano), con scopi sia “culturali” che ... “colturali” («the primary objective was to study the methods of rice production for possible use in South Carolina»). Non sono riuscito al momento a ricostruire un eventuale passaggio del Jefferson sul Verbano (Aa.Vv., The eye of Thomas Jefferson, University Press of Virginia, 1981, p. 195).
[20] Partito da Lione il 23 maggio 1733, il viaggiatore Pierre de Ville passa a Torino, Milano, visita i dintorni della città, vi fa ritorno; si dirige quindi verso le Isole Borromee; rientrato ancora una volta a Milano si incammina infine verso Pavia, Modena e il centro-Italia (L. Monga, Manoscritti di viaggiatori francesi in Italia (XVI e XVII sec.) nella biblioteca Méjanes di Aix-en-Provence, in «Bollettino del CIRVI», n. 2, anno 1-1980, p. 70).
[21] Sintomatiche della difficoltà della strada malagevole, poco più d`un tratturo, che univa Luino a Lugano, è la descrizione che del Pozzo Nero, orrido in cui si inforra la Tresa dietro Luino, riportata talora dai non rari viaggiatori del Settecento che provenendo da Lugano giungevano alla sponda verbanese per poi dirigersi alle delizie borromee (sempre che trovassero barca e trasporto); le cose dovettero migliorare dopo la costruzione della carrozzabile (cfr il raro opuscolo D. Marchelli, La strada Luino Confine svizzero dal 1700 al 1904, Luino 1904, cit. in S. Baroli, Tipografi ed editori del Luinese. 1870-1950, «Il Rondò», 11-1999, p. 163), ma non prima che (a seguire quanto diceva Piero Chiara, suo biografo) Giacomo Casanova di Seingalt (1725-1798) preferendo la strada che con maggior dolcezza e facilità di tracciato unisce il borgo verbanese a Lugano tramite le Fornasette, fosse vittima di un incidente: «Al ritorno dalle isole, scrive ancora il Casanova, “volendo lasciar posto a una carrozza su una strada in rialzo, il mio cavallo scivolò sul ciglio e cadde da un`altezza di 10 passi. Battei la testa e pensai di essermela spaccata […]”. Su quale strada a Casanova toccò l`incidente? Dai miei calcoli deduco e amo credere, sulla carrozzabile tra il mio paese di Luino e il valico delle Fornasette, pressocché l`unica che poteva correre in rialzo lungo il percorso che fu certamente effettuato dalla allegra compagnia, essendo il più breve: da Lugano a Luino per strada, da Luino alle isole Borromee in barca e viceversa» (P. Chiara, Il vero Casanova, Mursia, Milano 1977, p. 73). La congettura di Chiara, (e non solo sua: piacerebbe a molti immaginare il conte misurare il terreno per una caduta da cavallo proprio sulla Marsaglia di Luino…), si fonda probabilmente sulla lettura dell`Amoretti: «Chi dalle Isole Borromee vuol andare a Lugano per vedere i tre laghi ha più strade. Se non gli è incomodo ire a cavallo, si fa trasportare colla barca a Luino, e dopo carreggiabil salita, costeggiando la Tresa, va a piè o a cavallo a Ponte di Tresa, ove d`imbarca o monta in vettura, se ivi la trova» (C. Amoretti, Viaggio ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne`monti che li circondano, Scorza e C., Milano 1806(3), p. 118); minor anzianità (rispetto al percorso della Marsaglia – Sessa e Marsaglia – Fornasette, sfruttato dai carriaggi già in pieno `500) possiede l`altra via luinese verso Lugano (quella che lungo la Tresa a ridosso di Luino e del suo rione di Creva si inforra nelle gole scavate dal fiume e ora occupate dal laghetto artificiale della diga degli opifici Hussy): strada odierna, questa, che ha in parte preso il posto del sedime ferroviario della dismessa Luino-Ponte Tresa (altre pallide tracce del vecchio percorso emergono talvolta in epoca di svuotamento dell`invaso). La “variante luinese” ai viaggi casanoviani, pur nell`assoluta mancanza di prove, sembra la più plausibile, anche se potrebbe non esser la sola in gioco: «Chi da Luino andar vuole a Lugano pel cammino più breve sale in vetta al monte per non ardua strada. Ha alla destra la Tresa a molta profondità (che perciò dicesi “il Pozzo Nero”) finché sta sull`alta e per la maggior parte incolta pianura, in fine alla quale trapassa il villaggio di Cremenago, discende, entra nello stato svizzero, e segue il suo cammino sulla sponda settentrionale della Tresa, percorre il villaggio di S. Maria del Piano [intendasi: Madonna del Piano], risale alquanto e ridiscende a ponte di Tresa» (C. Amoretti, Viaggio …, p. 139). Dall`esame delle mappe del catasto teresiano (1722) si ricostruisce con precisione il tracciato, che correva in cresta tra l`odierno Moncucco e sopra la “Mina” di Creva (che a sua volta incombe sulla forra della Tresa, detta “il Pozzo Nero”), nella zona della “Brughiera” (di là si arriva agevolmente alle Fornasette in una sorta di altopiano che alla propria destra, «a molta profondità» è in vista del fiume); vi era forse anche un sentiero minore (non segnato nelle mappe teresiane, e certamente non carreggiabile) che dalle ultime case del sobborgo luinese (di fronte agli ex-opifici Hussy) si raccordava all`altra strada, sempre in una sorta di altipiano boscoso e all`epoca scarsamente edificato («alta … incolta pianura»). Il “Pozzo Nero” citato dall`Amoretti risulta essere un punto cruciale di una possibile via d`acqua che doveva collegare il Ceresio al Verbano: «La lunghezza di questo fiume non oltrepassa le 7 miglia, e se per due terzi del suo stadio non servisse di limite ai due stati milanese e svizzero, già da lungo tempo sarebbe reso navigabile, purché vi si stabilissero tre o quattro sostegni [= chiuse] al Pozzonero, mentre le acque hanno una caduta di 124 braccia (metri 72 ½) come venne calcolato dal Frisi (Dizionario Corografico della Lombardia, a c. di F. Griffini, Civelli, Milano 1854, s.v. “Tresa”).
Per terminare coi percorsi casanoviani, il conte dimostra nelle proprie memorie di conoscere assai bene la zona del Varesotto («Non lontano da Milano, vicinissimo a Varese, dove il duca di Modena andava a passare la stagione, nei pressi di Coira, di Como, di Chiavenna e del lago Maggiore, dove ci sono le famose isole Borromee, mi vedevo in un luogo dove mi sarebbe stato assai facile svagarmi»; G. Casanova, Storia della mia vita, a c. di P. Chiara, Mondadori, Milano 1965, vol. VI, p. 247): ciò lascerebbe aperta l`ipotesi d`una scelta della via Laveno – Varese – Lugano (via Ponte Tresa o Porto Ceresio) o della strada della Valcuvia (forse sulla direttrice Grantola – Cunardo - Ghirla – Mercuriolo [Marchirolo]: Amoretti, Viaggio …, p. 128, o su quella Germignaga – Cassano Valcuvia: questa, per inciso, ottima già per l`Amoretti «per chi valer si vuole del comodo della vettura»: Amoretti, Viaggio …, p. 134).
Maggiori e legittimi dubbi sussistono per la sosta casanoviana all`Isola Bella; le Memorie assicurano solamente la diretta conoscenza che il Casanova ebbe di Federico VI Borromeo Arese (1703-1779) a Torino, nel giugno-luglio 1769, e quindi all`Isola Madre dopo qualche mese: (Casanova, Storia…, cit., vol. IV, p. 569); al proposito si veda pure E. Mola, Giacomo Casanova all`Isola Madre, in «Verbania», a. IV, n.7 (luglio 1912). Per le novità contenute nel recente studio di R. Cerri, Il conte Federico VI Borromeo. La spedizione in valle Anzasca e altre “stravaganze” (1768), in «Verbanus» 22-2001, pp. 331-362 v`è da credere che il Casanova visitasse solo l`isola Madre, ivi ospitato dal Borromeo, che «sebbene rovinato, viveva là come un principe»; immemore degli enormi guai finanziari che da molti anni lo avevano posto in rotta con la famiglia (che gli aveva risolutamente vietato di mettere piede all`Isola Bella), il conte ospitò la comitiva anche nottetempo; offrì «cibi delicati e divertì le signore con la pesca»; sa di escamotage (per eludere la curiosità del lettore e soprattutto per non dover dichiarare di avere mancato la visita) la concisa descrizione del nobile veneziano sulle isole Borromee: «È impossibile tentare una descrizione di queste isole, sufficiente a far capire al lettore quanto siano deliziose. Vi si gode di un`eterna primavera; non fa mai né caldo né freddo» (Casanova, Storia…, cit., p. 259).
Certe sono invece le altre grandi tappe di quel viaggio di Casanova, durato in totale ben 6 anni, pur inframmezzati da pause di soggiorno talora di mesi: l`itinerario fu Madrid – Saragozza – Valencia – Barcellona – Aix-en-Provence – Nizza – Lugano – Torino – Napoli – Roma – Firenze – Bologna – Ancona – Trieste. Dalle Memorie… risulta che il Casanova nei suoi trasferimenti transalpini non percorse mai il Sempione, preferendo il Cenisio (valicato ben sei volte) e il Gran San Bernardo (una volta); nel catalogo non si considerano il Brennero e il Semmering.
[22] D. Pennant, Lettera sui baliaggi italiani, in W. Coxe, Travels in Switzerland, in a series of letters to William Melmoth, Londra 1789, p. 310-329; i passi riguardanti il Verbano sono tratti in citazione indiretta dalla traduzione ospitata in R. Martinoni, Viaggiatori del Settecento nella Svizzera Italiana, Locarno, Dadò 1989, pp. 186-190. Abbondante la bibliografia relativa ai soggiorni degli Este a Varese, così come le notizie circa la famiglia del marchese Paolo Antonio Menafoglio, che a partire dal 1748 fa edificare a Biumo di Varese la propria dimora monumentale, meta sin da subito di visite e luogo di ritrovo e cenacolo culturale (come è oggi museo per volontà del conte Giuseppe Panza di Biumo).
[23] Così Francesco Bombognini nel suo Antiquario della Diocesi di Milano, Milano 1828(2), p. 90: « Laveno [è] porto […] dei più ragguardevoli del lago Maggiore, ed i forestieri vi sono frequentissimi e pel mercato che vi si tiene ogni settimana, e per la regia strada che mette alla capitale, ed anche pel concorso de`viaggiatori desiosi di ammirare la grandiosità Borromea nelle vicine isole che sorgono in mezzo al lago […]».
[24] G.Gordon, lord Byron, The letters, London, J.M. Dent & Sons, 1962, p. 136 (lettera a Thomas Moore, da Verona, 1816 nov 6): «il Nord Italia è tollerabilmente sgombro dagli inglesi; ma il Sud mi vien detto ne brulichi».
[25] «The Simplon is the most superb of all possible routes. It is magnificent in its nature and in its art both God and man have done wonders, to say nothing of the devil, who must certainly have had a hand (or a hoof) in some of the rock and ravines through and over which the works are carried» (Thomas Moore, Letters and Journals of Lord Byron, with notices of his life, Frankfurt a.M., 1830, p. 305, lettera CCXLIX, Milano, 1816 ott 15). Il Sempione napoleonico diventa subito popolare, non solo per la comodità, ma pure per il fascino della selvaggia natura esercitato sui touristi in transito per le gole alpestri: «m`avviai per Briga al Sempione. E quegli altissimi gioghi sormontando, e maravigliando nello scendere, al veder per tutto l`arte vincere la natura; e gli abissi legati insieme da` ponti, e i dossi delle montagne appianati, e le roccie traforate, scesi nella valle dell`Ossola, e di là, lungo il Toce, fino al lago Maggiore» (Antonio Bresciani, Ammonimenti di Tionide al giovine conte di Leone, Genova 1839(7), pp. 96-97).
[26] Si confronti ad esempio l`Itinéraire complet de l`Empire Français (Paris, Langlois 1811, to. II, p. 398-428) che, redatto quando il Sempione aveva dimostrato la propria importanza per le comunicazioni transalpine, cita le tre strade per raggiungere Milano. Il più breve è proprio l`«Itineraire no 137. Première route de Paris à Milan, par Genéve et le Simplon», per un totale di 213 ½ leghe e 106 poste di viaggio, comprendenti le tappe di «Simplon, Domo d`Ossola, Vogogna, Bavino, Belgirate, Cesto Calende, Cascina [probabilmente la Cascina Buon Gesù, ancora presente nella guida Ronchi 1860 con questa dicitura: “Casale con buon albergo. A un miglia di distanza si vede il ricco borgo di Busto Arsizio”], Rho, Milan»; vi è poi l`«Itineraire no 138. Deuxième route de Paris à Milan, par Lyon et Turin», per un totale di 246 leghe e 133 poste di viaggio, comprendenti le tappe di «Settimo, Chivas, Rondizonne, Cilian, Saint-Germain, Verceil, Orfingo, Novare, Bufflora, Sondriano [= Sedriano], Milan»; infine l`«Itineraire no 139. Troisième route de Paris à Milan, par Voghère», per un totale di 265 leghe e 132 poste di viaggio, si differenziava dal precedente solo nella parte di pianura italiana, svolgendosi anch`esso lungo la dorsale del Cenisio, sulle tappe savoiarde di «Mont-Cenis, Saint-Martin, Suze, Saint-Georges, Saint-Antonin, Avillian, Rivoli, Turin, Trufarel, Poirino, Dusin, La Gambetta, Asti, Annone, Felizzano, Alexandrie, Voghère, Casteggio»; il secondo ed il terzo itinerario si staccavano poi dalla direttrice primaria (la Parigi-Bologna via Alessandria e Parma) l`uno a Torino, per piegare verso Ovest in direzione di Novara, l`altro a Casteggio, risalendo verso Nord e giungendo a Milano via Pavia e Binasco.
[27] Itinéraire complet de l`Empire Français (Paris, Langlois 1811, to. II, frontespizio).
[28] «Il libro è concepito e realizzato in vista del successo: nella prefazione alla quarta edizione l`autore afferma di aver optato per tirature non elevate proprio al fine di "supplire ai difetti delle edizioni precedenti, emendarne gli errori, aggiungervi le acquistate notizie, far noti i sopravvenuti cangiamenti, e all`uopo anche omettere le cose divenute meno importanti", mantenendo così sempre aggiornato il testo. Questa sensibilità per il pubblico si riflette nel taglio divulgativo e nell`eclettismo disciplinare del Viaggio, che peraltro esprime una predilezione per la storia naturale, disciplina "più di moda (...) e più comune". Il viaggiatore si definisce "curioso" (da intendersi anche nell`accezione di "dilettante"), e infatti si rivolge all`"Antiquario", all`"Amatore delle belle arti", al "Coltivatore", al "Naturalista" ma si occupa anche di storia e di etimologia. Il progetto del libro è messo a fuoco sin dal 1794: «il fare il viaggio ai tre laghi del Milanese è una partita di piacere, che si propongono molti de`forastieri qui dalla curiosità condotti, e molti pure de`nostri. Ma i primi sovente ad un servitor di piazza, ad un postiglione, e quindi a`barcajuoli chieggono indirizzo, consiglio, e notizie: e poco diversamente avviene de`secondi, poiché non abbiamo un libro che serva di guida a chi, o in tutto o in parte, vuol visitare il paese compreso fra le prime nostre colline, e le alpi elevate». La scelta di un linguaggio accessibile e di un piglio divulgativo dipende proprio dall`idea di sostituirsi a barcaioli, postiglioni e servitosi di piazza, cioè a "esperti" non specializzati né colti, con un prodotto identificato in base a quella che oggi si direbbe un`analisi di mercato: i librai non dispongono ancora di una guida affabile ai laghi lombardi. Ecco allora la risposta, una serie di itinerari disseminati di consigli pratici: «se qui non ha alloggio il forastiere andrà a cercarlo all`Isola de`pescatori, ove non mancheragli cibo; ma guai se in quella osteria è costretto di cercare un letto!» (p. 20). Il punto è che il Viaggio di Amoretti non è una semplice guida: si può infatti consultare ma anche leggere distesamente, con profitto e piacere. Certo, contiene moltissime notizie altrui e osservazioni proprie — rigorosamente non specialistiche — disposte «con ordine topografico», ma parecchie pagine sono dedicate ad analisi e interpretazioni interessanti, non solo di fenomeni naturali. Con atteggiamento critico l`autore spiega le condizioni di prosperità o di degrado di certe località mettendo in relazione le attività commerciali e la legislazione, insistendo sul rapporto fra andamento economico e politica fiscale; giudica il benessere degli abitanti non dalle apparenze ma da redditi e proprietà. Osserva i flussi delle merci, distingue con precisione le figure professionali, si sofferma sugli strumenti e sulle tecniche di lavoro, censisce le attività produttive, è attento alla realtà sociale della Lombardia ma rende conto anche delle culture locali, per esempio riportando dicerie e leggende. Su queste basi avanza proposte e suggerimenti, sempre con un atteggiamento positivo e con semplicità» (Il Viaggiatore meravigliato. Italiani in Italia 1714-1996, Il Saggiatore 2008, a c. di Luca Clerici, p. 48-49).
[29] «On a travaillé depuis quelques années a faire une nouvelle route qui est terminée, et qui communique facilement de Gênes à Savone par une route presque sans pentes, menagée avec un art: on a triomphé d`obstacles réputés insurmontables» (Itinéraire…, cit., p. 549).
[30] Strabilia, nelle altrimenti terribili (a scorrersi) pagine dei registri delle firme dei visitatori conservati in Archivio Borromeo Isola Bella, Fondo Stabili, Isola Bella, Registri Visite, la numerosità di turisti (specie negli anni dopo il 1861...) provenienti dal Nord America: tra cui troviamo almeno due presidenti (Ulysses Grant e Theodore Roosevelt); vigoroso l`afflusso di inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli; sensibile la presenza di russi, polacchi, e di altre nazionalità est-europee; radi (ma non assenti) i sud-americani, e in qualche rarissimo caso, è capitato di rintracciare il passaggio di touristi giapponesi.
[31] «Milan soon lay behind us, at five o`clock in the morning; and before the golden statue on the summit of the cathedral spire was lost in the blue sky, the Alps, stupendously confused in lofty peaks and ridges, clouds and snow, were towering in our path. Still, we continued to advance towards them until nightfall; and, all day long, the mountain tops presented strangely shifting shapes, as the road displayed them in different points of view. The beautiful day was just declining, when we came upon the Lago Maggiore, with its lovely islands. For however fanciful and fantastic the Isola Bella may be, and is, it still is beautiful. Anything springing out of that blue water, with that scenery around it, must be. It was ten o`clock at night when we got to Domo d`Ossola, at the foot of the Pass of the Simplon. But as the moon was shining brightly, and there was not a cloud in the starlit sky, it was no time for going to bed, or going anywhere but on. So, we got a little carriage, after some delay, and began the ascent» (Charles Dickens, Works, vol XVII - Pictures from Italy, pp. 91-92). Notevole la descrizione delle atmosfere di viaggio novembrine lungo le gole del Sempione: «It was late in November; and the snow lying four or five feet thick in the beaten road on the summit (in other parts the new drift was already deep), the air was piercing cold. But, the serenity of the night, and the grandeur of the road, with its impenetrable shadows, and deep glooms, and its sudden turns into the shining of the moon, and its incessant roar of falling water, rendered the journey more and more sublime at every step. Soon leaving the calm Italian villages below us, sleeping in the moonlight, the road began to wind among dark trees, and after a time emerged upon a barer region, very steep and toilsome, where the moon shone bright and high. By degrees, the roar of water grew louder; and the stupendous track, after crossing the torrent by a bridge, struck in between two massive perpendicular walls of rock that quite shut out the moonlight, and only left a few stars shining in the narrow strip of sky above. Then, even this was lost, in the thick darkness of a cavern in the rock, through which the way was pierced; the terrible cataract thundering and roaring close below it, and its foam and spray hanging, in a mist, about the entrance. Emerging from this cave, and coming again into the moonlight, and across a dizzy bridge, it crept and twisted upward, through the Gorge of Gondo, savage and grand beyond description, with smooth-fronted precipices, rising up on either hand, and almost meeting overhead. Thus we went, climbing on our rugged way, higher and higher all night, without a moment`s weariness: lost in the contemplation of the black rocks, the tremendous heights and depths, the fields of smooth snow lying in the clefts and hollows, and the fierce torrents thundering headlong down the deep abyss. Towards daybreak, we came among the snow, where a keen wind was blowing fiercely» (p. 92).
[32] L`approccio alle isole borromee (o il lasciarle) avveniva pure, ma più raramente, seguendo almeno altre due strade, che erano quella del Gottardo (via Bellinzona e Magadino), e quella di Laveno-Varese: lo testimoniano varie visite di cui si discorse nelle passate pagine; non stupisce che il duca di Modena, rappresentanti degli Este, o ancora i Litta, i Resta, i Kevenhüller, tanto per far alcuni esempi di nobili che all`isola Bella giungevano preferibilmente da Varese (si noti poi che proprio le ultime quattro famiglie citate in ultimo possedevano ville e palazzi in Varese: Ronchi, Guida…, cit., p. 249).
Anche in seguito, nell`Ottocento, Laveno era considerato un comodo punto ove prender la barca: dice d`essersene servito ad esempio Giuseppe Jappelli (Reminiscenze…, cit., p. 11), facendo tappa all`Isola Madre e dirigendosi poi alla Bella); a meno non si tratti d`artificio letterario, visto che lo Jappelli sostiene di aver visto nel tragitto a remi oltre ai «ricchi borghi d`Intra e Pallanza sul margine del lago», anche «la Madonna del Sasso, […] ed il colosso di Arona, e finalmente più lungi le colline d`Angera sacre un giorno alla dea del Silenzio» (Jappelli, Reminiscenze…, cit., p. 11): affermazione che pare, per la lontananza delle plaghe e del gran monumento aronesi, un poco ardita da sostenere. Quanto poi alla Madonna del Sasso, è forse una corruzione per “Santa Caterina del Sasso”, o ancora un nome qualsiasi escogitato da uno dei barcaioli assunti dallo Jappelli. Essi non si distinsero per voglia di vogare, tanto che l`ingegnere, «impaziente per la brama di approdare alle Isole decantate, sollecitava oltre l`uso i pigri remiganti, i quali, forse per liberarsi da simil noja» gli «segnavano a dito» paesi ed edifici.
Per ovvi “agganci” coi Borromeo, feudatari del luogo e padroni di case, rocche, palazzi ed osterie, un altro punto di tappa abbastanza frequentato era Angera (ma certamente meno di Arona, sulla riva opposta); per i viaggiatori che provenivano dal Nord tedesco la via migliore era quella del Gottardo, con passaggio da Bellinzona, Magadino, Intra. Più raramente i tramontani arrivavano a Lugano, scendevano lungo la Tresa ed entravano in Luino per imbarcarsi di fronte a palazzo Marliani – Crivelli.
[33] Il Michelet (1798-1874), già a 29 anni professore di Storia e Filosofia presso l`Ecole Normale Superieure, fu convinto seguace del Vico e della teoria dei ricorsi storici; autore di testi tuttora letti sulla storia antica, medievale e moderna e sulla stregoneria, diede mano alle monumentali opere della “Storia di Francia”, della “Storia delle rivoluzioni di Francia”, della “Storia Romana”, peraltro sovente viziate da feroci preconcetti anticlericali e antimonarchici. Il francese non disdegnò di accompagnare loro alcuni testi più “sereni” e di minor impegno, relativi alla natura (“l`Oiseau”, 1856, “L`insecte”, 1858, “La Mer”, 1861, “La Montagne”, 1868) in cui si trovano sovente pagine di un lirismo e di una poesia sino ad allora repressi, e liberati a seguito del matrimonio con Anhénaïs Mialaret, che ne fu musa ispiratrice. I diari del Michelet, pubblicati solo tra 1959 e 1962 e relativi ai viaggi in varie parti d`Europa, sono una chiave importante per comprendere il legame tra i pensieri profondi dell`uomo e la sua opera di scrittore.
[34] Anche il Bonstetten restò impressionato dalla bellezza dei castagneti alle pendici del Ceneri: «Dopo Bironico la strada si sdoppia: quella per Bellinzona sopra il cocuzzolo del Ceneri, quella per Locarno scende attraverso un bel bosco di castagni frammisti ad agrifogli, entro cui si intravvede, qua e là attraverso gli alberi, l`inizio del lago Maggiore e le terre di Magadino» (K.-V. Bonstetten, Lettere sopra I baliaggi Italiani, trad. e note di R. Martinoni, Dadò, Locarno 1984, p. 160). E come non ripensare a questo punto a certe incisioni di Corot, quali ad esempio "Souvenir d`un lac", in cui tra le fronde di Meina o Solcio spunta, in lontananza, la rocca d`Angera?
[35] Lettera inviata da Laveno nell`ottobre 1820 da Jean-Jacques Ampère a Jules Bastide, in J.J. et Andre-Marie Ampère, Correspondance, Paris, Hetzel, 1875, pp. 181-183.
[36] In perfetta analogia, vi era chi parlava di Lago d`Angera, quasi a indicare che lo specchio d`acqua antistante il porto fosse in diritto di denominare, per comodità, l`intero bacino.
[37] Il viaggiatore tedesco valicava «le Alpi giungendo dal Brennero, o se si proveniva da Vienna, da Villach […] L`itinerario più consueto iniziava […] al Brennero, da dove si raggiungevano Bolzano e Trento. Prima di incamminarsi per la Valsugana, arrivando a Venezia via Bassano-Treviso, o come era più abituale, attraverso Verona, non si mancava di visitare la sede del Concilio. […] Se si proveniva dal Tarvisio, al contrario, dopo aver brevemente sostato a Trieste […] ci si imbarcava direttamente per la Laguna; raramente si effettuava il percorso via terra fino a Mestre» (E.G. Fazio, Viaggiatori tedeschi…, cit., anno V, fasc. 1 (1984), p. 151.
Gli Slavi entravano in Italia dalla parte di Trieste, o dal Tirolo, quando passavano per l`impero austriaco (poi, non a caso, “austro-ungarico”); allora rare, e accuratamente pianificate, erano le puntate esplorative verso Milano e l`alta Lombardia: la visita alla bella Venezia era seguita dal viaggio verso Bologna (al massimo con “detour” verso Mantova e Ferrara), la Toscana, Roma e Napoli. Al viaggio si accompagnavano spesso lunghe (e talora definitive) soste: trascurando di dar mano ad un catalogo degli esuli stabilitisi in Italia, si adducono come minima prova gli acquisti di immobili della principessa di Galles (1815) e dei principi Poniatowski, di origine polacca, naturalizzatisi italiani e padroni di ville in mezza Toscana e non solo: il Ronchi, nella sua Guida…, p. 259 cita la villa Poniatowski di Intra, dalla lunga storia (fu Caccia-Piatti, Prina, Balabio, Casanova di Vercelli, Frova; indi ricostruita dal principe Poniatowski, pervenne ai Franzosini, ai Barbò, quindi al senatore Alessandro Poss: cfr scheda in www.verbanensia.org, sez. Monumenta) – e dalle tristi ultime sorti– tracciata da A. Vincenti, G. Pacciarotti, P. Spinelli, Ville della provincia di Novara, Rusconi, Milano 1988, p. 540-543, e poi ottimamente approfondita da S. Gasparotti, Pietro Bottini (1809-1872) architetto del lago, in «Verbanus» 22-2001, pp. 202-205.
[38] William Beckford (Voyage d`un rêveur éveillé, trad. sull`esemplare unico a stampa dall`ingl. di R. Kann, vol. I-II, Corti, Mayenne 1990) non passa nel suo viaggio (1780) dal Sempione, ma dal Tirolo; lo stesso tracciato percorre secondo Emilio Motta il famoso romanziere Walter Scott («dall`Italia dove si era recato per la via di mare ritornò in Inghilterra dal Tirolo»; «Egual via tenne il tragico Vittorio Alfieri nel 1769 ed in altre occasioni posteriori»: (E. Motta, Dei Personaggi celebri che varcarono il Gottardo nei tempi antichi e moderni. Tentativo storico. Carlo Colombi, Bellinzona 1884, p. 124).
[39] «Maestà. Quando brandiste la spada e cercaste i campi di battaglia, innalzando il vessillo dell`indipendenza per la Penisola, grande fu la gioia in tutti i cuori, e un nuovo raggio di luce brillò sui nostri volti, vedendola libera dal dominio straniero» (Guida Storico-Statistica-Monumentale del viaggiatore in Italia. Luigi Ronchi Editore, Milano 1860(6), dedicatoria): ma andò poi veramente così?
[40] Il vivace dibattito sulla realizzazione delle varianti ferroviarie che dovevano unire, nella seconda metà dell`Ottocento, Genova alla Svizzera, è fondamentale per le scelte delle vie di comunicazione verbanesi (scelte che in parte paghiamo ancora oggi): con le aperture delle linee ferroviarie Genova-Arona (poi Sempione) e Torino - Milano si assiste oltre che all`affermazione industriale di particolari luoghi verbanesi (Intra e Luino-Germignaga quali esempi di particolare concentrazione manifatturiera) alla "scoperta" del villeggio non più dalle sole classi nobili e benestanti lombarde, ma anche da quelle piemontesi, che eleggono Cannero Riviera (D`Azeglio), Baveno (Provana di Collegno, Durazzo), Stresa (Savoia Genova, Pallavicino...) e altri luoghi minori (Premeno, il Vergante) come residenza estiva o di piacere. Le problematiche delle scelte ferroviarie dell`Italia di Vittorio Emanuele II sono ben illustrato da Luciano Re, Lo sviluppo delle ferrovie in Piemonte, in Polo Friz Luigi (a c. di), «1859: il Novarese. Dal trattato di Worms alle annessioni dell`Italia Centrale», Atti del Convegno, Verbania - 17 ottobre 2009; dallo stesso volume, mi permetto di segnalare il mio contributo L’Alto Novarese dal Trattato di Worms al 1805, che analizza i presupposti dello sviluppo industriale ottocentesco alla luce delle delicate scelte politico-amministrative condotte tra 1743 e primo Regno d`Italia.
[41] Si vedano al proposito le simpatiche annotazioni circa i modi di dire popolari circa la meteorologia, le locande e i trasporti citati in vari luoghi della «guida».
[42] Il cipresso monumentale di Somma è un caso di attrazione naturalistica ben conosciuta già dal pieno Ottocento, e curato con attenzione dal tempo: M.M. Grisoni, Il cipresso di Somma Lombardo: un precoce caso di tutela, in «Rivista della Società Storica Varesina», XXXI (2014), p. 145 e sg.
[43] Ronchi, Guida…, cit., p. 198-201.
[44] Ronchi, Guida…, cit., p. 98.
[45] Curiosa (e sballata) etimologia (mutuata da altri corografi ottocenteschi, quali Luigi Boniforti) si dà di Belgirate «le di cui genti, nel girar l`occhio in un mar d`acqua su le terre altrui, tra l`amenità dei contrapposti colli, dicendo “Che bel girare”, lo chiamarono “Belgirate”» (Ronchi, Guida…, cit., p. 254).
[46] A «Chignolo, bella terricciuola di contro le Isole Borromee, […] si trovano a tutt`ore barche per le isole Borromee; si pagano 4 fr. per una barca a due remi, e pel tempo di due ore, coll`aumento di 50 centesimi per ogni ora di più e per cadaun remigante» (Ronchi, Guida…, cit., p. 255).
[47] In effetti la Guida elenca poi tutti i principali luoghi verbanesi, e della val Onsernone, quasi a lasciar intendere – né potrebbe dirsi il contrario – che l`intero Verbano e le sue valli valgono lo scompaginamento della tabella di marcia verso il Sempione (Ronchi, Guida…, cit., p. 259-261).
[48] Ronchi, Guida…, cit., p. 200.
[49] F. Crimi, J.M.W. Turner e il Verbano. Repertorio, in «Verbanus» 30-2009, pp. 35-99.
[50] «Tenni la via di Pallanza, terra gentile, che si specchia nel lago; ed ivi veggendo dal lito sorgere in mezzo alle azzurre acque tre vaghe Isolette, voltomi ad uno de` barcaioli, dissigli, che tosto un navicello apprestasse. Detto fatto; vi salgo; e sferrato, eccoti a quattro remi volando giugnere in poco d`ora all`Isola Madre, ché così l`appellano i Pallanzesi, perch`egl`è maggiore dell`altre.
Egli mi parve che fosse l`albergo delle Fate, poiché lungo il dosso di una collinetta salendo, e dentro una folta foresta avviandomi, né uomo, né fera mi si parava dinanzi. II luogo solitario e silvestre, le rupicelle che scoscese dirupavan la costa fino al lago, alcuni pratelletti di morbidissime erbe appannati, e per tutto in mezzo alle piante del bosco, rovi, e ginepri, e leccetti, e cornioli, aveano un aspetto di sì dolce malinconia, eh`io non sapeva indurmi ad uscirne. Ma essendo passo passo al sommo di quella selva arrivato, ecco uno spettacolo tutto nuovo e improviso. Da quella vetta partono, e si difilano, e si diramano, e s`intrecciano dirittissimi viali, che metton la vista, come per altrettante gallerie, a`più vaghi prospetti della natura. Da una banda l`occhio ti scende sul lago, da cento barchette peschereccie solcato; dall`altra ti trascorre sulla riviera sinistra, e giù giù, fino alle rupi cenerognole della Svizzera, ti conduce. Di costi a man diritta vagheggi le petrose montagne di Baveno, e, raccogliendo la pupilla più basso tra le collinette ed il lago, ne scorgi le prode vestite d`annosi castagni, d`olmi, d`aceri, e d`elei, che il verde cupo fan risaltare siill`aperto verdicino de`mandorli e delle viti; indi tutta la bella riviera da Stresa a Belgirate, che si mira di faccia le ubertose campagne del Varese.
Toltomi a stento di là, e volto pel bosco de`pini, ebbi a riuscire in un largo prato, nel fondo del quale sorge un gran palagio, e dietro a quello, ove piglia il sole del mezzo giorno, lunghissime spalliere d`aranci e di limoni. Ma dalla parte che circonda la pineta vedresti passeggiare pavoni, polli egiziani, galli d`India, e più basso appiattarsi i fagiani e le gallinelle, mentre il francolino e la starna s`avvolgono squittendo tra la mortella, e il ginepro. Felice Isoletta, amabile albergo di mille innocenti piaceri, perché l`Isoletta sorella, che li vagheggia di fronte, non è selvaggia anche essa, come tu sei, se nella sua bellezza è di te men pudica?
Salpando adunque dall`Isola Madre, e vogando all`Isola Bella, al solo accostarmivi, sentia corrermi per tutta l`anima un diletto ineffabile. Essa gira graziosamente circondata da grotticelle, da punte che sporgono, da seni che s`incurvano, e forman bagni, conserve, peschiere, e pelaghetti di chiarissimo cristallo. Da un altro lato s`erge un reale palagio, con archi, e ringhiere, e poggioli sporgenti sul lago, e torricciuole, che Io rinfiancano, e fregi che l`abbelliscono. Ma ad uno svolto dalla banda di Belgirate ti si porge una scena più maravigliosa che l`altre; poiché li s`apre a bella mostra un giardino pensile, anzi da dieci e più giardinetti l`uno sull`altro, da vaghissimi inarcamenti sorretti, che nelle placide acque si specchiano. Ivi ogni terrazza s`inghirlanda lungo le sponde coi più odorosi e leggiadri fiori d`Europa e dell`Asia: ivi sorgono in ampli vasi gli agrumi più dilicali, altri dei quali a guisa di muro verdissimo copron le basi delle superiori terrazze. L`arancio, il limone, la melangola, e il cedro, si confondono e intessono col pomo di paradiso, colf appiolino, e col calcedonio. I fiori loro melteano un olezzo sì soave, che l`aere d`intorno sel rapia seco, e per bene un miglio spandealo su per lo lago. Le statue di finissimi marmi, e di maraviglioso artifizio, parte s`annicchiavano fra le ombrelle dei cedri, e parte, in fra`vasi, e lungo le ringhiere delle terrazze a belli divisamenti compartite, ivan salendo per su tutti i giardini fino alla cima, ove un gran cavallo Pegaso spande le ali, e impennato e superbo, sembra spiccare il volo di sopra le acque.
Ma affinché tu non creda ch`io ti voglia intrattenere con descrizioni, dirotti, che toltomi a quella dolce vista, e via via battendo a piè del giardino, entro il porto, sotto il palagio, pervenni. Al sol vedertelo innanzi, diresti: qual nobile e magnifico Re quivi alberga? E chi è il beato signore di tante delizie? Imperocché, nel primo atrio passando, miri pendenti dagli archi e dalle pareti antichi elmi, e corazze, e giachi, e lancie, e scudi, e brocchieri. Un`ampia scala li conduce in lunghissime fughe d`ornate stanze, in ampie sale, in belli anditi, e vestibuletti, ed alcove. E ad ogni finestra affacciandoti, e sopra ogni poggiolo salendo, la vista del lago, de` boschetti, o del giardino ti ricrea. Sede veramente felice d`ogni grazia e riposo, se fra tanti diletti io non avessi sventuratamente perduta la mia innocenza. Assorto com`era tra il piacere e la maraviglia, bevea cogli occhi avidamente quanto di bello e di vago mi cadea sotto il guardo. Ed oh, amico, fra tanti quadri d`eccellenti maestri, quanti ne scorsi, che lusingando la vista mi sedussero il cuore! Né, mentr`io palpitante mi dilettava di quelle tele impudiche, m`accorsi del veleno che tracannava per gli occhi, né delle acute spine, che mi lasciavano infitte nell`animo. Era ignaro, era semplice, senza sospetto, senza guardia, non m`attendea quell`incontro, non conosceva per anco le dolci malìe, con che Italia affascina e vince i cuori degli inesperti. Pensa dunque quale funesta impressione mi stamparono nell`accesa fantasia quelle seducenti dipinture. Uscii da quel luogo d`incanti come un attonito: di nulla presi più diletto; niun ricreamento mi davano né il giardino, né le fontane, né il bosco, né i fiori, né il limpido lago, né l`aere che mi oliva d`intorno. Quanto mutato da quel di prima uscii dall`Isola Bella! oh quanto!
Eccoti, amico, onde preser le mosse i miei traviamenti. Chi perde una volta il pudor santo, ch`è scudo dell`anima, malagevolmente si rattiene dal vizio. Corsi gran parte d`Italia; bevvi fino all`ebbrezza le sue voluttà; e tornato alla patria, e per divina misericordia ravveduto de`miei errori, piango la mia disgrazia, e ne domando perdono a Dio» (Bresciani, Ammonimenti..., cit., p. 96).
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