STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

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Denominazione:
Breve Abstract:
V. De Vit, Il Lago Maggiore..., Vol. 01 p. 1 - Cap. 12 - Delle vie Romane attraverso le Alpi Atrezziane
Abstract:

Una delle prime cure di Augusto per rassodare la conquista fatta dei popoli Alpini, fu quella di condurre attraverso di esse per ogni lato delle vie pubbliche militari. Memorie però di ciascuna di esse in particolare non ci rimase, e convien dedurne l`esistenza indirettamente dai cenni che ne fanno gli scrittori di età posteriore, o dalle circostanze dei fatti, che ne sono in relazione, come di eserciti trasportati dall`Italia nelle Gallie, o dalle posizioni prese e via discorrendo.

È noto che Polibio presso Strabone (IV, 6, 12), numerava al suo tempo quattro sole vie tra le Alpi, il che deve intendersi delle principali e battute dagli eserciti, cioè pei Liguri lungo il mare, pei Taurini, della quale usò Annibale, ei dice, pei Salassi, e pei Reti. Una quinta aperta poi dai Romani intorno all`anno 631, dopo ch’ebbero vinti i Salluvii ed i Liguri, ricorda Strabone stesso (IV, 6, 3), che dovette essere per l’Alpi Marittime in Riviera di Ponente, scrive il Promis (l. c. p. 48). Una sesta ne aprì Pompeo allorchè si portò attraversando le Alpi nella Spagna a guerreggiare Sertorio l`anno di Roma 680 (av. Cr. 74), la quale, scrive egli stesso nella sua epistola al Senato conservataci da Sallustio nel libro III delle sue storie, era diversa dalla tenuta da Annibale per calare in Italia. Il Promis poi (l. c. p. 46 e 48), una settima ne argomenta per le Alpi Graie che dovette essere aperta secondo lui tra gl’anni 611 e 634, per portarsi nel paese degli Allobrogi [i]. E finalmente altra ne dovette aprire Giulio Cesare per mezzo di Donno re delle Alpi Cozzie, attraverso le medesime, come opina il detto Promis (l. c. p. 56, e seqq.). Nè sarà fuor di proposito il richiamare alla mente il detto di Appiano rispetto al modo di contenersi dei Romani coi popoli Alpini nel loro passaggio attraverso le gole del loro monti.

Però quanto a Cesare dobbiamo anche aggiungere, che questi non si accontentava delle vie già descritte, e praticate ancora in parte da lui medesimo; giacchè sappiamo ch’egli aveva in animo di aprirne altre, come ci lasciò scritto al principio del libro III, de’ suoi Commentarii della Guerra Gallica. Ecco le sue parole:

Cum in Italiam proficisceretur Caesar, era l`anno 697 di Roma, Servium Galbam cum legione XII et parte equitatus in Nantuates, Veragros Sedunosque misit, qui ab finibus Allobrogum et lacu Lemanno et flumine Rhodano ad summas Alpes pertinent. Causa mittendi fuit, quod iter per Alpes, quo magno cum periculo magnisque cum portoriis mercatores ire consuerant, patefieri volebat. E qui soggiunge che, essendosi colà recato Galba colla legione, collocò due coorti di essa nei Nantuati, e colle altre stabilì di svernare egli stesso nel Vico dei Veragri, chiamato Octodurus, posto nella Valle Pennina cinto ai lati da monti altissimi, e diviso in due parti dal Rodano, una delle quali concesse agli abitanti, ritenendo l`altra per se e pel suo esercito. Se non che gli Alpigiani venuti in sospetto, che la visita di Galba in que’ luoghi non era già per aprire soltanto delle vie, ma sì per farsene padrone in perpetuo (Romanos non solum ITINERUM causa, sed etiam perpetuae possessionis CULMINA Alpium occupare conari et ea loca finitimae provinciae adiungere), notte tempo di là sloggiando si schierarono minacciosi in gran moltitudine sui monti sovrastanti.

L`esito di questa spedizioni fallì, e la storia non dice se in altro tempo abbia Cesare potuto mandare ad effetto il proposto divisamento. Qui intanto notiamo che le vie, che egli aveva in pensiero di aprire in codesti luoghi per scendere di là in Italia, non potevano essere, calcolata ogni cosa, che le due principali, l’una a traverso il sommo Penino o Gran S. Bernardo, che dai Veragri o da Octoduro conduceva ai Salassi, certo nota e praticata ab antico, e l`altra che dai Seduni pel Sempione metteva nella Valle dell`Ossola, già praticata dai Cimbri.

In tale stato erano sotto questo rispetto le cose, allorchè Augusto erede dello spirito del padre suo adottivo, debellati tutti i popoli Alpini si determinò ad eseguire il gran concetto di Cesare: di questo ne assicura Strabone, le cui parole, perchè di sommo interesse per noi, riferirò qui voltandole in Italiano e riassumendo per maggior chiarezza anche quel brano di esse che già conosciamo.

«Nell`altra parte, egli scrive (IV, 6, 6), de’ montani, ch’è volta all’Italia, abitano i Taurini, gente Ligustica, ed altri Liguri. Di questi è altresì la regione che si chiama d’Ideonne (Donno) e terra di Cozzio. Dopo questi oltre il Po i Salassi: sopra questi nelle sommità de’ monti i Centroni, i Caturigi, i Veragri e i Nantuati e il Lago Lemanno, pel quale trascorre il Rodano. Non molto di qua sono le fonti del Reno e il monte Adula, da cui viene il Reno diretto a settentrione, e in parte contraria l`Adda che si getta nel lago Lario, che spetta a Como. Sopra Como, ch’è sito alle radici delle Alpi, abitano d`una parte i Reti e i Vennoni volti alla plaga orientale e dall`altra i Leponzii, i Tridentini, gli Stoni, e diverse altre piccole genti, che nei tempi andati tenner l`Italia, dedite ai ladronecci e povere. Ora queste in parte sono distrutte e in parte al tutto domate per forma, che le vie sopra quei monti di mezzo a loro, le quali un tempo erano poche di numero e difficili a superarsi, di presente sono aperte in molti luoghi e sicure dalle ingiurie degli uomini e spedite per quanto fu possibile ad opera di mano d’uomo; perocchè Augusto Cesare all’eccidio dei ladroni aggiunse la costruzione delle vie, secondo che gli fu concesso di fare; giacchè in alcuni luoghi non fu possibile all`arte di superar la natura a cagione de’ scogli e de’ scoscesi dirupi o sovrastanti alle vie, od irruenti su di esse e minacciati di precipitare dall`alto.» E qui segue ancora a descrivere le difficoltà della costruzione di esse vie, e i pericoli sommi, a’ quali si farebbe incontro chi volesse per colà transitare.

Da questo luogo di Strabone è manifesto, che Augusto non solo ristaurò le vie antiche e già note, ma e ne aperse delle nuove a traverso le Alpi, anche in quel tratto, che era occupato dai Leponzii da lui soggiogati, e che è compreso nella descrizione surriferita. Ora paragonando tra loro le notizie già date delle vie conosciute e praticate prima di Augusto colle nuove, delle quali intende qui di parlare Strabone, si può a ragione delle domandare quali poi sieno state le vie da lui aperte o per lo meno ristorate pure tra noi per le Alpi Atrezziane. Certo se queste erano prima di Augusto nel tratto descritto poche di numero e di difficile transito (πρότερον ούσας όλίγας καί δυσπεράτους), e noi le abbiamo enumerate, ed ora per opera di lui in molti luoghi sono aperte e sicure dagli uomini (e intendeva dai ladri) e agevoli al transito (νυνί πολλαχόθεν εϊναι καί ασφαλείς από των ανθρώπων καί ευβάτους), convien dire che oltre alle esistenti altre ne dovette costruire nuove del tutto. Quali dunque sono quelle che ristorò od aprì nuovamente?

Lasciando le nuove, che non conosciamo, e attenendoci alle antiche, due principali tra queste dobbiamo ammettere a traverso le nostre Alpi già praticate ab immemorabili dagli abitanti, l’una ad occidente per la valle dell’Ossola attraverso il Sempione e l`altra ad oriente nella valle del Ticino attraverso il Gottardo, senza calcolare le intermedie tra le valli limitrofe che mettevano capo a queste. Ora per quanto si voglia scemare il numero delle vie, vecchie o nuove che fossero, aperte da Augusto, io credo che in forza del racconto fattone da Strabone, almeno queste dobbiamo ritenere che sieno state ristorate, lastricate ed ampliate da lui: altramente saremo costretti di dire, che Augusto in tutt’altri luoghi le aperse, fuori che in quella quelli da Strabone descritti; la qual cosa non credo si possa ammetter da alcuno.

Nè questa supposizione può dirsi gratuita, se si consideri che l’Alpi Atrezziane erano state da lui stesso, come abbiamo detto, ridotte a forma di provincia e governate da un apposito procuratore, il quale perciò doveva avere appresso di sè un presidio e tener sua sede in Oscela, città principale dei Leponzii, e che quindi al tutto indispensabile gli era una via che lo mettesse in comunicazione sia inferiormente con Novara e Milano, sia superiormente con Seduno e Ottoduro, capo luogo della Valle Pennina: e se di più si consideri che lo scopo di queste vie non era già solo per agevolare il commercio d`Italia colle province oltre l`Alpi, ma sì quello principalmente di assicurare a Roma il tranquillo possesso di quelle alpestri regioni.

Per tutto questo adunque io sono intimamente convinto dal luogo di Strabone, che la via del Sempione sia appunto una di quelle, che Augusto aperse e rese di facile accesso e sicura. Nè credo andar errato ammettendo per le stesse ragioni, che anche la seconda pel Gottardo sia di quel numero. Chè questa pure è antichissima, e per la sua posizione ai confini dei Leponzii, dei Reti e dei Vindelici importantissima. Di là erano scesi questi popoli, in tempi anteriori, ai danni di Como, o di là pure, in tempi posteriori, gli Alamanni ai saccheggi ed alle devastazioni del territorio Romano [ii].

Tali sono le conclusioni, alle quali mi condusse l`esame del luogo di Strabone, conclusioni che spero saranno riconosciute ragionevoli da chiunque, nè certo prive di fondamento. Vengo ora a parlare di una famosa iscrizione in parte ancora esistente, sebbene ormai deturpata. Si ricava da essa che mi epoca molto posteriore ad Augusto, una via fu fatta per la valle dell`Ossola. Molte cose e da molti furono dette intorno ad essa. Mi studierò di esporre con chiarezza ciò che può trarsene a dilucidazione de’ nostri luoghi.

 



[i] Vedi anche su questa via l`altra sua opera: Antichità di Aosta, Torino, 1862, p. 15 e 89. -- Questa via per l’Alpi Graie è ricordata anche da Strabone là dove narra che due erano le vie, che potevano tenere ai suoi giorni colori che dall`Italia pei Salassi passavano nelle Gallie, l`una inaccessibile ai giumenti ed era quella pel Gran S. Bernardo, e l`altra più occidentale pei Centroni tra le Alpi Graie: le quali due vie sono poi quelle, che ci descrivono gli antichi itinerarii, come vedremo.

 

[ii] Le magre storie che abbiamo di questi luoghi anche a tempi dell`impero non mi consentono di approfondire il discorso su questa seconda via. La più sicura memoria che abbia trovato di essa tra gli scrittori è dei tempi di Costanzo Imperatore, narrandoci Ammiano Marcellino (XV, 4,1), che questi mosse guerra agli Alamanni per cagione delle frequenti loro irruzioni nei luoghi limitrofi dei Romani, e che per questo dalle Rezie sen venne nei Campi Canini l`anno 354, dell`era volgare. Paulo post et Lentiensibus Alamannicis pagis indictum est bellum, collimitia sarpe Romana latius irrumpentibus, ad quem procinctum imperator egressus in Raetias camposque venit Caninos. Erano chiamati Campi Canini la pianura, della quale era collocato il castello di Bellinzona, come ne insegna Gregorio Turonense (Hist. Francor. X, 3. Olo dux ad Bilitionem . . . castrum in Campis situm Caninis . . . accedens). Se Costanza per far guerra agli Alamanni, che abitavano al di sopra delle nostre Alpi tra le sorgenti del Reno e il Lago di Costanza, venne a Bellinzona e nei Campi Canini, è chiaro che qui trovandosi non altra via per incontrare il nemico poteva percorrere che quella del Gottardo lungo la valle Leventina; e di più che se gli Alamanni erano soliti di fare delle scorrerie sul territorio Romano, non per altra via dovevano scendere che per questa. Simili incursioni poi degli stessi Alamanni per tale via sono ricordate anche da Sidonio Apollinare nel Panegirico di Maggiorano, il quale marciò contro di essi l`anno 457, e ne riportò una segnalata vittoria, per la quale meritò di essere, in quell`anno medesimo, eletto imperator d`Occidente. Sì rileva dalle parole di Sidonio che quei campi erano stati così chiamati dal suo possessore di nome Cano o Canio, del quale però null`altro sappiamo. Ecco il tratto di questo poeta dal v. 373, nel quale descrive la discesa degli Alamanni.

 

. . . . . . . . Conscenderat Alpes

Rhetorumque iugo per longa silentia ductus

Romano exierat populato dux Alamannus;

Serque Cani quondam dicots de nomine Campos

In praedam centum novies demiserat hostes, etc.

 

La memoria di questi Campi Canini dura tuttora nella bocca del popolo, che chiama con questo nome quel tratto che più comunemente è detto il piano di Magadino, che si estende sino a Bellinzona.

 

 

A Cura di:
   [Riccardo Papini]

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