STRUMENTI CULTURALI
del Magazzeno Storico Verbanese
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Stettero gli abitanti delle sponde a destra e a sinistra del nostro Lago e a mezzogiorno dello stesso tranquilli e pacifici possessori del proprio territorio, per quanto possiamo conghietturare dal silenzio degli Scrittori, sino ai primordii del secolo VI di Roma, allorquando il rumore dell’armi venne poco a poco a risuonare anche nelle loro contrade. Uusciti appena vittoriosi i Romani dalla prima guerra punica (a. 513 di Roma, 241 av. Cr.), tosto rivolsero l`animo a dilatare le loro conquiste pure nella parte superiore d`Italia. Primi a sperimentarne le offese furono i Liguri, battuti negli anni di Roma 518 e 521 dai consoli P. Cornelio Lentulo e Q. Fabio Massimo, che ne menarono trionfo: secondi gl’Insubri loro limitrofi nella guerra chiamata Gallica Cisalpina.
A maggior chiarezza delle notizie, che sono per dare, premetto che i Romani solevano chiamare quella parte d`Italia, ch’era stata invasa dai Galli, col nome di Gallia Cisalpina, perchè situata al di quà delle Alpi, con ciò distinguendola dalla Gallia propriamente detta, e ch’essi allora chiamavano Gallia Transalpina, perchè sita al di là delle stesse. Più tardi quando giunsero a impadronirsi anche delle regioni poste alla sinistra del Po, distinsero la Gallia Cisalpina in Cispadana o Transpadana, cioè in Gallia posta al di qua e al di là del Po, sempre rispetto a Roma.
Occasione della guerra Gallica Cisalpina, fu una nuova irruzione di Galli cognominati Gesati. Due sono le opinioni degli antichi medesimi su questo loro cognome, altri volendoli così detti da un arme speciale usata in guerra da essi [1], altri dal genere della milizia esercitata da loro quai mercenarii[2]. Abitavano la regione opposta al nostro versante tra il Rodano e l`Alpi ai confini dei nostri Leponzii; onde anche Galli Transalpini sono chiamati con vocabolo comune a que’ popoli nell’Epitone di Livio[3]. Qual via tra le Alpi abbiano preso per calare in Italia, non è detto dagli scrittori. Alcuni de’ recenti argomentarono che pel sommo Pennino o Gran S. Bernardo: tuttavia al vedere, che in questa guerra non c`entrano punto i Salassi, tra i quali si sarebbero dovuto aprire la via per scendere a noi, ed al vedere al contrario combattenti co nessi anche i Taurisci di Polibio, che sono i nostri Leponzii, come abbiamo veduto, stimerei non lontano dal vero chi li dicesse scesi per la via del Sempione, che inoltre era la più diretta per portarsi sul teatro della guerra al di là del Ticino e sul Po.
Scesi dunque in Italia l`anno di Roma 529 (av. Cr. 225) si unirono tosto cogli Insubri e coi Boii, che ne avevano invocato l`aiuto, e difilati passato il Po si diressero alla volta di Roma, e diedero così principio ad una nuova guerra, che durò con varia fortuna d’ambo le parti pel corso intero di quattro anni, sino all`anno cioè 532 di Roma (222 av. Cr.), e fu quanto altre mai micidiale, poichè finì col quasi totale eccidio non solo dei nuovi venuti, ma colla conquista per parte dei Romani di Milano, capitale degli Insubri. Notano poi gli Scrittori, che fu in questa occasione, che i Romani passarono il Po per la prima volta[4]. Chi poi meglio si coperse di gloria in questa guerra, fu il console M. Claudio Marcello, il quale uccise di propria mano Virdumaro, condottiere de’ Galli presso Casteggio, e fu il terzo, che trionfatore, appese le spoglie opime nel tempio di Quirino, altramente Giove Feretrio[5].
Ho detto che accanto ai Galli pugnarono, secondo narra Polibio, anche i Taurisci, ossia i Leponzii, ed è naturale che gli Insubri e i Boii minacciati dai Romani ricorressero anche all`aiuto di questi, che erano loro limitrofi, tanto più che Roma ebbe sin da principio la precauzione di trarre a se con apposite legazioni i Cenomani e i Veneti, che stavano dall`altro lato. Impariamo inoltre dallo stesso, ch’essi e i Galli nella pugna combatterono assai strenuamente, ai Romani, come egli dice, solo in questo inferiori, che furono vinti per la qualità delle armi [6]. Questo fatto non avvertito da alcuno de’ nostri scrittori, ben meritava di essere qui ricordato.
Colla conquista di Milano, i Romani siano già di molto avvicinati al nostro Lago. Il loro confine da questo lato nel Traspado divenne il Ticino. Ma non vi si poterono sostenere a lungo per ora; perocchè un nuovo nemico, non meno formidabile dei Galli stava già per scendere dalle Alpi e per portare lo strumento e il terrore nel cuore stesso di Roma. Era questi Annibale, che giovane audace e spinto dall`odio ereditario contro i Romani, aveva concepito l`ardimentoso pensiero di attraversare la Spagna, e di valicare e i Pirenei e le Alpi per guerreggiarli sul loro suolo medesimo. Al pensiero corrispose il fatto e l`anno di Roma 536 (218 av. Cr.) egli era già al Ticino [7] alle prese con Scipione, e vinto l`obbligava a ritirarsi tantosto oltre al Po.
Noterò qui come in questa battaglia pugnassero a favore di Annibale alcuni de’ popoli, che abitarono al di quà dell’Alpi di razza Gallica, e, se non erra Silio Italico, anche un numero de’ nostri Leponzii, la morte di uno de’ quali di gigantesca figura, e ch’egli chiama Lepontico, ucciso dallo stesso Scipione, così ci descrive (IV, 235 e segg.):
Occidis et tristi, pugnax Lepontice, fato:
Nam dum frena ferox obiecto corpore prensat,
Atque aequat celsus residentis consulis ora
Ipse pedes, frontem in mediam gravis incidit ensis,
Et divisum humeris iacuit caput [8].
Io non seguirò Annibale nelle sue vittorie, come nè anco ne’ suoi disastri. Essi sono notissimi e d`altronde non ci appartengono, dirò solo come questa guerra sia stata cagione precipua di un`altra, la seconda Cisalpina.
Gl’Insubri precedentemente battuti dai Romani alla discesa di Annibale in Italia non tardarono di dichiararsi in suo favore con altri loro alleati. I Romani dissimulano allora, ma non appena la battaglia di Zama (a. 553 di Roma, 201 av. Cr.) pose fine alla seconda guerra Punica, che tosto si decise di continuarla coi Galli, i quali dal canto loro si trovavano già pronti a riceverla.
Magone, che era venuto in Italia col suo esercito in soccorso di Annibale, era stato qualche tempo innanzi richiamato a Cartagine. Questi in viaggio per l`Africa lasciò a capitanare le truppe degli alleati Amilcare, animato dallo stesso odio di Annibale contro i Romani. Fu spedito a principio contro degli Insubri il pretore Furio Purpurione; il quale impegnata battaglia con essi pienamente li ruppe, rimanendo dei loro ben trentacinque mila uccisi sul campo insieme col duce (a. 200 av. Cr.). Proseguì tuttavia la guerra con ardore d’ambo le parti per altri dodici anni, sorridendo la sorte dell`armi ora all`una ora all`altra. Ma la pertinacia Romana alla fine la vinse. Le città principali degli alleati l`una dopo l`altra, caddero in poter de’ Romani, quali Como, Milano, Piacenza, Parma e Bologna: la prima era stata già presa sin dall`anno 196 av. Cristo. Incapaci di più resistere gli Insubri, si sottomisero (a. 567, av. Cr. 187), e così tutta l`Insubria, compresa anche quella al di qua del Ticino rimase in potere dei Romani sino alla Sesia, suo limite naturale da questo lato [9].
Quale parte abbiano preso i nostri Leponzii in questa guerra, non possiamo dire: nè giova nel totale silenzio degli scrittori sul loro conto perdersi in conghietture. È dovuto probabilmente alle grandi guerre la Filippica, l’Antiochiena, la Persica e la terza Punica, che si ebbero a sostenere, se i Romani non proseguirono le loro conquiste oltre alla Sesia. Però non mancarono durante questo spazio di tempo di assicurare le già fatte con fortificare da questo lato le colonie di Piacenza e Cremona, ripopolandole di nuovi abitanti e mettendole in comunicazione con Roma per la via Flaminia, la quale fu prolungata l’anno 567 di Roma, sotto il nome di Emilia sino a Piacenza, e dall`altro verso il mediterraneo lastricando circa dieci anni dopo la via Aurelia, che pel littorale da Roma portava a Luni.
Liberi poi i Romani dalle guerre d`oriente e distrutta Cartagine, rivolsero di bel nuovo lo sguardo all’Italia superiore e alle Alpi dal nostro fianco. Le contese tra gli abitanti della pianura e quelli delle Alpi per cagione dell`acqua necessaria agli uni per le miniere della valle d`Aosta e quelle del Vercellese, ed agli altri per la coltivazione dei campi, provocarono l`intervento de’ Romani, e l`anno 611 di Roma (143 av. Cr.) scoppiò la guerra tra questi e i Salassi. Si estendeva il territorio di costoro dalla sommità delle Alpi Pennine insino al Po, e floridissima era la loro repubblica pel vasto commercio, che esercitavano al di quà e al di là delle Alpi [10]. Appio Claudio Puledro entrò il primo in campagna contro di essi; battuto a principio rimase vincitore da poi [11]. Questa vittoria però non sembra ch’abbia procurato ai Romani grandi vantaggi, poichè le Alpi da questo lato rimasero intatte.
Più fortunati furono essi nella Gallia Transalpina, alla quale, oltrechè per mare, si apersero un`altra via a traverso l`Alpi marittime nella Liguria. È già noto che la prima provincia Romana costituita da essi fu la Gallia Narbonense, che fu chiamata pure in appresso col nome di Provincia per eccellenza, nome che conserva tuttora. Era stata fondata l`anno di Roma 633 (121 av. Cr.) dopo le vittorie riportate colà da M. Fulvio Flacco e da C. Sestio Calvino sui Liguri, sui Viconzii e sui Salluvii negli anni 631 e 632. Più tardi Quinto Marcio Re debellò (a. 637) i Liguri Steni, che dovevano essere a cavaliere dell`Alpi, che separavano questa Provincia dalla Liguria superiormente [12].
Ora venendo a noi, da tutto il detto sin qui appar manifesto, che in questo ultimo periodo di tempo il territorio fra il Po e l`Alpi fu bensì invaso od occupato dall’armi Romane, ma che le Alpi stesse Pennine, nonchè le nostre abitate dai Leponzii rimasero ancora intatte [13], e che tutto il più che possa, tacendone gli scrittori, ammettersi compreso nelle conquiste fatte dai Romani è il territorio del Vercellese e del Novarese, ossia dell`intera Insubria, come sopra ho accennato, sono alle radici delle nostre Alpi. Non può tuttavia legarsi, che in questa epoca i Romani non avessero acquistata un`ampia cognizione pure delle prossime Alpi visitate e percorse, se non da agguerriti soldati, certo da mercadanti Galli e Italiani, che per ragion di commercio ne frequentavano i passi più noti e battuti. Questo si argomenta dal racconto di Strabone testè citato, e da ciò che scrisse lo stesso Cesare un circa sessanta anni dopo la detta guerra contro i Salassi [14].
[1] Quest`arma era detta con voce gallica gesum, donde Gesati. Gli autori che ne parlano, si possono vedere raccolti in buona parte della mia edizione del Lessico Forcelliniano alla voce GAESUM.
[2] Scrive Orosio (IV, 13) Gaesatorum nomen non gentis, sed mercenariorum Gallorum est; nel che si trova d`accordo con Polibio, il quale li dice appunto chiamati dal militar che facevano con pattuita mercede (διά τό μισθοΰ στρατεύειν Γαισάτους), essendo questo, soggiunge, il valore proprio di quel vocabolo (ή γάρ λέζις αΰτη τοΰτο σημαίνει κυρίως). Forse e l`una e l`altra denominazione si possono insieme accordare; onde a ragione si paragonano ora ai lanzichenechi de’ tempi moderni, cioè fanti di lancia (lanzchenech) al soldo di chicchessia.
[3] Vedi il libro XX, che trova riscontro in Polibio, il quale, come abbiamo veduto, aveva chiamato appunto quei popoli, che ora dice Galli Gesati, collo stesso nome di Galli transalpini.
[4] Exercitibus Romanis tunc primum trans Padum ductis, scrive tra gli altri Livio nell’Epitome citata.
[5] Perciò canta di lui Virgilio del sesto delle Eneidi v. 855, e seqq.
Aspice, ut insignis spoliis Marcellus opimis
Ingreditur, victorque viros supereminet omnes!
Hic rem Romanam, magno turbante tumultu,
Sistet, eques sternet Poenos, Gallumque rebellem,
Tertiaque arma patri suspendet capta Quirino.
Nei Fasti poi Trionfali, pubblicati ultimamente nel Corpus Inscriptionum Latinarumi, Berolini, 1863, Vol. I, p. 458, così è registrato il suo trionfo;
M. Claudius M. f. M. n. Marcellus an. DXXXI
Cos. de Galleis Insubribus et German
K. Mart. Isque Spolia opima rettulit
duce hostium Virdumaro ad Clastidium
interfecto.
È notevole qui, che i Galli Transalpini di Polibio o Gesati vengano in questo luogo chiamati Germani. Si vegga ciò, che a questo proposito scrive il ch. Mommsen sua storia Romana, libro III, cap. III. Io troverei un opportuno riscontro di questa denominazione nel passo di Livio già precedentemente riferito, dove egli chiama semigermani i popoli, che abitavano nel territorio sopra descritto, dal quale appunto Polibio pace vendere i Galli Gesati.
[6] Si veggano i Capi XXVIII e XXX, nei quali si fa espressa menzione dei Taurisci. Polibio poi è il solo che ci abbia descritta minutamente questa guerra Cisalpina nel libro II dal capo XXII al XXXV, che assai brevemente è trattata da Orosio nel luogo citato, e appena accennata da Floro II, 5, da Eutropio, III, 5 e 6, da Aurelio Vittore, Viri illustr. c. 45.
[7] Di questa prima battaglia di Annibale contro i Romani al Ticino parlarono molti de’ nostri recenti scrittori, tentando anche di determinarne il sito preciso, nel quale, secondo l`opinar di ciascuno, potrebbe credersi avvenuta. Io non li seguirò in questa ricerca, perchè non è dello scopo del mio lavoro. Si vegga tra i molti che si potrebbero allegare il Ferrari nelle citate dissertazioni, il Prof. G. B. Giani, Battaglia del Ticino tra Annibale e Scipione, Milano, 1824, la Biblioteca Italiana, T. 37, p. 308 e T. 39, p. 54, l’Amoretti, l. c. p. 12, l’ab. Michelangelo Bellotti dei suoi Slanci poetici al Dott. Pietro Paganini. Si noti a questo proposito anche il passo di Livio che citerò appresso.
[8] Se questo è vero, è anche notevole come i Leponzii, che sono di razza Taurisca si sieno collegati coi Peni, mentre i Taurini, che si reputano della medesima stirpe gli erano contrarii. Ma forse qualche altra ragione si potrebbe trovare alla spiegazione di questo fatto.
[9] Che l’Insubria si estendesse sino alla Sesia da questo lato mi pare evidente, oltre che dal passo di Tolomeo che numera tra le città di questa regione Novara, Milano, Como e Pavia (III, 1, 33), anche da Livio, il quale descrivendo la battaglia di Annibale contro Scipione al Ticino, racconta che questi col suo esercito da Pisa venne a Piacenza (cum Pisas navibus venisset, exercitu ... accepto ... Placentim venit (XXI,39), e passato il Po, si accostava al Ticino (occupavit Padum traiicere et ad Ticinum amnem motis castris, etc. ivi), e fatto un ponte sovra esso, tradusse il suo esercito nel territorio degli Insubri. (Romani ponte Ticinum iungunt ... ponte perfecto traductus Romanus exercitus in agrum Insubriium, XXI, 45.). La cosa, stando all`autorità di Livio, non può essere dubbiosa.
[10] Veggasi Strabone, IV, 6, §. 6, c. 7.
[11] Vedi Orosio, V, 4.
[12] Veggasi Orosio, V, 14, e i Fasti Trionfali.
[13] Ciò è detto espressamente da Strabone (IV, 6, 7), dove narra, che essendo cadute in potere dei Romani quelle miniere, le regioni Alpine erano tuttavia in mano dei Salassi, dai quali i pubblicani Romani erano obbligati di comperar l’acqua.
[14] Vedi Cesare, De Bello Gallico, III, 1 e 2, ne riferiremo le parole più avanti.
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