Senza onore alcuno fu seppellito il suo corpo sotterra nel luogo stesso, in cui avea ricevuto la corona del martirio. Si avvisarono i carnefici di poter occultare così il loro delitto. Ma Iddio stesso prese le parti del fedele suo servo. Furono veduti di notte dai pescatori risplendenti faci sopra quel luogo, ove giaceva la beata salma di Arialdo, sicché ne corse ben presto la fama in tutti i vicini paesi del Lago Maggiore. Di ciò intimorita l’infame Oliva fece trasportare di notte quel corpo in un’altra isola, ma quivi pure si rinnovò lo stesso prodigio, per cui di là trasferito, fu posto il corpo di Arialdo in una sotterranea cantina del castello di Travallio, che apparteneva all’Arcivescovo.
1 Il b. Andrea, discepolo di S. Arialdo girando da un luogo all’altro sulle tracce del suo caro maestro venne, non senza sospetto che quivi potesse egli essere stato sepolto, ad arrestarsi alle porte di quel castello, ma riconosciuto da’ sgherri di Oliva fu gettato in un’altissima torre donde non potè uscire che dopo tollerati quell’orrida prígione di molti e gravissimi patimenti. Vedendo poi Oliva di non potere oggimai più occultare il corpo di Arialdo seguitato dovunque da quella chiarissima luce, lo fece gettare nel luogo più profondo del Lago attaccato a pesanti sassi, affinché sott’acqua rimanesse preda de’ pesci e se ne sperdesse in sin la memoria.
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Ma che è mai il consiglio dell uomo! infelice colui, che tenta cozzare col suo Creatore. Tutti gli sforzi di que’ sciagurati per tener celato quel sacro deposito, non riuscirono in fine, che a renderlo vieppiù glorioso, come Iddio appunto voleva.
Dopo dieci mesi dacché v’era stato sommerso, fu veduto il corpo di Arialdo galleggiare sull’acque ed essere poscia dall’impeto delle stesse gettato sulla sponda poco lungi da Angera, ancora intatto, eccetto le membra, ch’erano state già mutilate, e di mirabil candore. Primi a divolgarne l’avvenimento furono alcuni pastori di que’ dintorni, al rumore de’ quali tratti con altri dal vicino castello di Arona anche i servi di Oliva, questi fecero tosto allontanare i curiosi e si diedero a seppellire quel corpo in una fossa vicina
3 e poi di notte lo trasportarono nella rocca di Arona.
Recate a Milano queste notizie, vi destarono ne’ buoni il più vivo desiderio di avere tra le proprie mura quel sacro corpo, e fu spedita per ottenerle una solenne deputazione ad Oliva. Frattanto i servi di questa al vedere quella spoglia mortale di Arialdo ancora intatta e sì bella, temendo non i fedeli lo venerassero qual martire, gli tagliarono tutti e due i piedi, gli levarono tutta la pelle del capo in un coi capelli, gli stracciarono con unghie di ferro tutte le carni e finalmente lo posero ad arrostire in un’ardente fornace, affinché per tal modo si rendesse orribile alla vista di ognuno.
Respinta da Oliva quella deputazione, fu deciso allora in Milano di volere quel sacro corpo colla forza dell’armi e già un drappello di scelti amici di Arialdo con alla testa Erlembaldo erano in marcia sopra di Arona, quando Oliva, veduta la mala parata, si risolse di ceder loro così com’era malconcio, quell’informe cadavere.
A tale annunzio la gioia si diffuse nel cuore di quanti v’erano accorsi, i quali processionalmente seco lo trasportarono colla più viva esultanza in Milano, non mancando Iddio stesso di rendere coi prodigi vieppiù glorioso il trionfo del fedele suo servo. All’avvicinarsi della comitiva alle mura di Milano tutto il clero, sebbene fosse stato in gran parte avverso ad Arialdo mentre viveva, uscì ad incontrarlo con tutta solennità, e cantando l’officio dei martiri.
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Fu collocato il corpo di S. Arialdo nel mezzo della basilica di S. Ambrogio, dove, esente da ogni corruzione rimase esposto per dieci giorni continui alla pubblica venerazione, cioè dal giorno 17 al 27 di maggio dell’anno 1067, nell’ultimo de’ quali fu con solenne pompa riposto entro apposita urna nella Chiesa del monastero di S. Celso.
5 Alla venerazione, in cui cominciò tosto ad aversi il nostro Santo dai fedeli, si aggiunse poco dopo l’autorità della Chiesa. Papa Alessandro II desideroso di por fine alle turbolenze di Milano, e non contento di avere spedita una legazione a quel clero e popolo, prima di recarsi a Mantova pel Concilio che avea stabilito di tenere colà, si portò egli stesso in quel medesimo anno, come narra l’Anonimo (l.c. cap. 38) a Milano, e oltre a diversi ordinamenti da lui decretati per la pace tra loro, ascrisse il B. Arialdo al catalogo dei Santi col titolo di Martire. Ciò avvenne l’anno secondo dal suo martirio. Da quel punto come tale fu S. Arialdo registrato nel martirologio della Chiesa di Milano il 28 di giugno, giorno della sua gloriosa passione.
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Tracce del suo culto abbiamo anche sulle sponde del nostro Lago. Narra Lazzaro Agostino Cotta nelle sue annotazioni alla Corografia del Maccagno, che nell’Isola Bella esisteva un antica cappella dedicata a S. Arialdo, posta in prospetto di Pallanza, dove si venerava l’immagine di lui, la quale cappella, egli scrive, fu poi distrutta con dolore di quegli abitanti.
1 In arce Trevali, in Apotheca S. Ambrosii cautissime abscondentes humaverunt defunctum. Così Landolfo il Vecchio (Lib. III, c. 29).
2 I diversi luoghi, in cui fu portato il Corpo di S. Arialdo sono così indicati dal B. Andrea:
Coeperunt illic luminaria praeclara per noctes piscatoribus apparere: quod ut impia Iezabel (così è chiamata da lui la nipote dell’Arcivescovo per la sua crudeltà)
audivit, protinus in aliam insulam eum nocte transferri iussit. Sed cum eadem lux ibidem simi!iter crebro appareret,`in locum tertium eundem asportari fecit. Videns igitur quot non posset sanctum occultare corpus ... quia illud ubique lux eximia comitabatur, irata valde fecit saxa ingentia circa ipsum innecti et in profundo laci demergi (VIII, 72). Non si può precisare quale fosse l`altra isola in cui fu sepolto la seconda volta il corpo di S. Arialdo, e dubitano gli eruditi se fosse l`Isola Bella ovvero quella di s. Angelo (oggi S. Giovanni) presso Pallanza. Sapendosi nondimeno, che tanto l`Isola Inferiore, oggi chiamata Bella, quanto la Superiore erano da remotissimi tempi, come ho provato altrove, abitate da pescatori , propendo a credere che fosse l`altra di S. Angelo. Il luogo poi ove fu gettato quel corpo nel Lago pare che fosse, dalla descrizione che ne fa appresso il B. Andrea, presso lo scoglio di S. Caterina del Sasso, poiché quivi il Lago è a nostra cognizione nella sua massima profondità. Finalmente il castello di Val Travaglia, come ho già riferito, è indicato col suo norme dallo storico Landolfo il Vecchio; se ne vedono ancora i ruderi, essendo stato distrutto dagli Svizzeri l’anno 1513. secondo che narra il Vagliano (Rive del Verb., p. 352).
3 Il Pessidestro l.c. narra che dapprima il corpo di S. Arialdo martirizzato secondo lui al lido di Angera, fu dai pastori nascosto al piede del monte S. Quirico; ma che apparsi nella notte i lumi, de’ quali abbiamo parlato, calarono dalla rocca di Arona i birri di Oliva e lo seppellirono nella grossa ghiaia, donde fu poi la notte appresso levato e trasportato in Arona.
4 L’infelice Arcivescovo dopo questo fatto e molto più dopo la pubblica dichiarazione della Santità di Arialdo fatta da papa Alessandro, abbandonato nelle sacre funzioni dal clero e dal popolo e lasciato solo, per togliersi agl’insulti specialmente di questo, rinunciò la sua dignità in favore di Gotofredo suo segretario, e pochi anni appresso dopo varie disgustose vicende morì miseramente in esilio volontario l’anno 1071 in una terra del Tortonese. Vedi il Sassi,
Mediol. Antist. Histor. T. II, p. 428-429.
5 Col seguente epitaffio, edito anche di recente dal Mommsen nel Corp. Inscr. Lat. già citato.
ARIALDO DIACONO
Qui nemo ut melius divini mystica Verbi
Tradidit et populo solus in ore fuit:
Qui lapsos mores disciplinamque cadentem
Et thiasi errores corrigere ausus erat:
Hic Arialdus adest. Heu noxia vita nocentum,
Quae censorem ullum ferre scelesta nequit!
Clam raptum appensumque molae proiecit in undas
Verbani, ut rabidis piscibus esca foret:
Deinde sed iuventum atque illeso corpore templis
Est dignata novum martyra posteritas.
Passus iii. Kal. Iul. M.LXVI.
Nota il Mommsen che negli Atti de’ Santi del mese di Giugno (T. 5, p. 310) presso i Bollandisti si dubita della sincerità di questo epitaffio, e che il Dummlero avverte, Verbani vocabulum ita usurpatum non satis convenire saeculo XI. L’ Alciati però lo tenne per genuino e notò che la voce thiasus sembra qui sia stata adoperata in luogo della voce clerus od essa corrispondente. – Soggiungerò poi , che in tutte le carte e libri scritti da me veduti dal secolo VIII sino al XIV inclusivamente, non mi fu dato mai, se la memoria ben mi soccorre, di veder chiamato il nostro Lago col suo antico nome di Verbano, ma sempre con quello di Lago Maggiore, e che quanto all’epitaffio, il Giulini, che ricorda quelli posti a S. Arialdo e a S. Erlembaldo nella chiesa di S. Dionisio, come vedremo più innanzi, non fa alcun cenno di questo.
6 Il citato Puricelli nel primo libro della Vita di S. Arialdo raccolse le testimonianze principali della santità di lui dal secolo XI sino al XVII. Tra le più antiche ricorda quella che trovasi nel catalogo degli Arcive-scovi di Milano dell’anno 1310, e quella del Calendario Ambrosiano dell’ anno 1381. – Vedi anche il Martirologio Ambrosiano, ove leggesi il seguente elogio: Mediolani S. Arialdi Levitae et Martyris, qui strenue adversus haereticos pugnans apud Lacum Verbanum martyrio coronatur. Avverte poi il Bosca nelle note a questo luogo, che non si deve confondere, come fece il Merula nel suo Santuario Cremonese, il nostro Santo con un altro dello stesso nome e martire anch’esso, il cui corpo fu dalla città di Brescia trasferito nel Tempio maggiore di Cremona.
- A Cura di:
- [Luciano Besozzi]
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