CAP. IV
Martirio di S. Arialdo.
Il colpo riuscì troppo bene alle mire dell`astuto Arcivescovo, poiché Arialdo vedendo ornai di non essere più sicuro in Milano, e d`altra parte resa anche inutile la sua presenza, cedette alla procella e ritirossi con Erlembaldo dalla città, deliberato di recarsi a Roma in aspettazione di occasion più propizia. Ma sorpreso per via da sicari, che anche lo tennero per qualche giorno prigione, fu costretto a ripararsi nel castello di Legnano posseduto dall`amico Erlembaldo. Se non che quivi pure temendo, che per sua cagione non fosse esposta quella popolazione alla vendetta dello scomunicato Arcivescovo, chiese di occultarsi presso di un certo prete, antico suo conoscente ed amico, come egli credeva, che abitava poco lungi da Legnano. Accondiscese Erlembaldo, e, raccomandato Arialdo alle cure di quell`amico, si partì per Milano. Il finto amico accolse Arialdo e lo nascose nella sua casa, ma solo per poterlo più fidatamente tradire; poiché, datone notte tempo avviso all`Arcivescovo, e questi, spedita tosto una banda de` suoi satelliti, quell`infame trasse Arialdo dal suo nascondiglio e sotto colore di ricondurlo novellamente in Legnano, come a luogo di maggior sicurezza lo diede in mano a que` sgherri. Così Iddio permetteva che fosse provata anche col tradimento di chi fingevasi amico, la fedeltà del suo servo.
Avutolo que` sgherri in loro potere, lo trassero alla sponda del Lago Maggiore, e di là, secondo alcuni per barca, il tradussero ad Angera, presso Oliva, nipote dell`Arcivescovo, donna scellerata ed iniqua, la quale godendo di poter colla morte di Arialdo por fine alle inquietudini dello zio, lo fece condurre di nascosto in un`isola allora deserta di quel Lago,
l`Isola Madre,
1 ingiungendo sotto gravi minacce a que` servi, che l`accompagnavano, di ammazzarlo appena che fossero giunti sul lido.
Per via si sforzarono questi, ma inutilmente, di persuadere Arialdo a riconoscere per suo legittimo superiore lo scomunicato Guidone. «Guardimi Iddio, rispose l`intrepido confessore «di Gesù Cristo, che io col mentire voglia ora perdere quella corona, che mi sono guadagnata vivendo col dire la verità». Ed alzatosi da sedere intuonò ad alla voce l`inno dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, de` quali correva in quel dì la vigilia. Ciò non ostante approdato al lido quei servi lo trassero in disparte, e consultarono poi seco stessi in qual modo gli potessero salvare la vita, poiché già sel tenevano per uomo santo.
Ma l`astuta Oliva temendo non il colpo andasse fallito, spedì dietro loro due chierici, cui conosceva come nemici del Santo, armati di coltello, sur una leggera barchetta. Questi in breve raggiunsero que` primi sul lido, e tosto domandando ove fosse Arialdo, e udito rispondersi ch`era morto, ne vollero nondimeno vedere il cadavere. Frattanto girando l` occhio si accorsero ch`era seduto sopra di un sasso, e presolo ad un punto, l`uno per un` orecchio, l`altro per l`altro, si fecero a interrogarlo, se il loro prelato Guidone fosse legittimo Arcivescovo. L`intrepido Arialdo rispose che no: ed essi gli troncarono amendue le orecchie. Il Santo allora sollevando al cielo i suoi sguardi esclamò: «Io ti ringrazio, Signor mio Gesù Cristo, che oggi ti degni annoverarmi fra i tuoi martiri». Quei manigoldi replicarono poi la stessa domanda, alla quale venendo loro data la stessa negativa, tosto gli tagliarono il naso ed il labbro superiore. Indi scambiate seco lui le stesse domande ed avuto sempre le stesse risposte, gli estrassero amendue gli occhi: poi gli troncarono la mano destra dicendo: «Questa è quella che scriveva a Roma le informazioni sul nostro conto» e similmente gli estrassero di sotto alla gola anche la lingua dicendo: «Così tacerà una volta quella lingua che mise lo scompiglio nelle famiglie de` chierici». ln questa guisa mutilarono que` disumani il corpo del glorioso atleta S. Arialdo, il quale tra questi ed altri indicibili patimenti, pieno di giubilo esalò l`estremo fiato nel bacio del suo Signore il dì 28 di giugno dell`anno 1066.
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1 Quest`isola non è indicata col suo nome da alcuno degli scrittori contemporanei, che parlano del nostro Santo, ma è però così descritta da potersi agevolmente riconoscere. Ecco come ne parla Landolfo: «In insula quadam iuxta Lacum Maiorem secretissime ductus est» (Hist. Mediol. III, 30), e più esplicitamente il B. Andrea «In tantam illico est ductus solitudinem, ut vix ibi sit aliquando accessus hominum et tantummodo naviganti, sed silvestrium solummodo habitatio bestiarum» (VII, 68). Queste circostanze sono tali che il Venerabile Bescapè non dubitò punto di attribuirle all`Isola Madre, la quale fu quasi sempre, dice, vuota di abitatori (Nov. Sacr. p. 151). Dello stesso sentimento è il Giulini nelle sue Memorie all`anno 1056, ed altri molti. Trovò tuttavia qualche difficoltà il Puricelli ad ammettere avvenuto il martirio del Santo in un Isola; ma, essa fu sciolta dal Giulini (l.c. p. 115 e seg.) ed ogni dubbio in fine è tolto dalle parole dello stesso B. Andrea, dove narra che Oliva fece trasferire il corpo di S. Arialdo «in aliam insulam», le quali mostrano perciò che anche la prima era un` isola. Coloro poi, che applicano quelle parole all`Isola Bella od alla piccola Isola presso Angera, devono contorcerne non poco il senso per sostenere la loro opinione. Erronea finalmente del tutto è quella del Pessidestro, che vorrebbe accaduto il martirio di S. Arialdo al lido della stessa Angera. V. Descriz. di Angera, Bergamo 1779, p. 55 e 56.
2 Il martirio di S. Arialdo nell`isola Madre secondo l`Autore anonimo della Vita dei Santi fratelli Giulio e Giuliano, della quale già abbiamo parlato nel primo Volume (p. 131 not. 3), sarebbe stato predetto un circa sei secoli innanzi da S. Giulio, quando ricusò di arrestarsi colà per fabbricarvi una Chiesa. Ecco intero il brano che lo riguarda, preso dall`edizione dei Bollandisti e che ognuno potrà conferire con quella del Membrizio presso il Giulini (l.c. p. 114) e col MS. del Codice Capitolare di Novara: «Exinde autem progressi veniunt ad insulam modicam, quac est in lacu, qui subiacet civitati, quae nuncupatur Stationa: dixitque sanctus vir lulianus ad beatissimum: Ecco adest insula parca, in qua, si vis, faciamus structuras et basilicam aedificemus, in qua nobis con-struamus sepulcra, in quibus dormitionis tempore iaceamus”. Cui S. Iulius, sine inquit, sine modo, ecce dies veniunt, cum sibi lupus et vulpes accipiunt suem gallumque in praedam: surgamus et hinc transeamus (iam enim vie Domini prophetiae spiritu, quid in eadem insulta debuerat evenire in futurum, in praesenti cognoverat et intuens spiritalibus oculis contemplabatur) eamque insulam statim reliquerunt». Il Ven. Bescapè (Novar. p. 158) fu di parere, che questa profezia si deva riferire alla strage di S. Arialdo, e che perciò l`Isola quivi additata sia l`Isola di S. Vittore, oggi Isola Madre. La qual cosa dove si ammetta, dovrà anche ammettersi di conseguenza, che la Vita di questi Santi fu scritta, come anche opina il Giulini (l.c. p. 1114), verso la fine dell XI secolo (ex qua apparet, scrive il Bescapè, auctorem illum, qualis qualis fuerit, vixisse circa tempus Arialdi mortui; h.e. circiter a.D. 1070), ovvero che le parole poste tra parentesi, come io penso, sono un`interpolazione fatta in questo secolo alla Vita di essi Santi scritta anteriormente. E questa a a me pare sia l`opinione più sostenibile anche nel caso, che si voglia ritenere verificata la profezia di S. Giulio, come opinarono altri, al momento della discesa de` Barbari, e allo sterminio delle nostre contrade per opera loro (il che però non adotterei così di leggieri); perocché questo non toglierebbe la detta interpolazione, ma la mostrerebbe solo più antica. E che di fatto si deva ammettere scritta una qualche vita dei SS. Fratelli in tempi non molto distanti dal loro transito, la, quale sia stata poi la base di quella scritta posteriormente, mi sembra così naturale che non oserei dubitarne. Ne insinuerebbe questo la stessa concordia delle tre diverse copie che ho accennate colle loro varianti. Ma vedranno meglio tutto ciò coloro, che piglieranno a dilucidare la storia ecclesiastica Novarese.
- A Cura di:
- [Luciano Besozzi]
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