Quali sieno stati i primissimi abitatori delle contrade intorno al Lago Maggiore, fu ricercato da molti e negli scorsi secoli e nel presente con vario esito. Obbligati come siamo per la mancanza di proprii di ricorrere alle testimonianze degli stranieri, la questione della origine loro in grandissima parte rimane oscura. Sembra che questo nostro angolo, che costituisce l’estremo lembo d’Italia da questo lato, sia stato quasi del tutto negletto dagli Scrittori, sì scarse e per giunta sì leggere sono le notizie che di esso ci tramandarono. A nostri giorni si tentò di supplire alla deficienza degli storici colle notizie preistoriche, che si vennero colle investigazioni fatte sul nostro suolo raggranellando: ma la luce che ne fu aggiunta è ancora sì tenue, che appena qualche cosa si può balbettare sui primordii di quella remotissima gente venuta, non si sa d’onde, a pigliar stanza tra noi. Per non defraudar tuttavia miei lettori anche di queste notizie, epilogherò qui in breve i risultamenti delle indagini fatte, premettendole a mo’ di preambolo a quelle lasciateci dagli scrittori o che si possono dedurre dai monumenti superstiti.
Raccontano parecchi geologi, che nel 1853 la straordinaria bassezza delle acque del Lago di Zurigo lasciò scoperte le vestigia di abitazioni sopra palafitte, le quali parevano rimontare ad un’epoca assai remota. Ferdinando Keller richiamò tosto l’attenzione dei dotti sopra questa scoperta. Si fecero incontanente investigazioni sopra altri laghi della Svizzera, per conoscere, se questi pure contenessero somiglianti avanzi. Le cure di Federico Troyon, che pel primo si mise all’opera furono coronate dal più felice successo, poiché non solo altri laghi della Svizzera, ma ben anco quelli della Savoia e dell’alta Italia, ai quali egualmente furono rivolte quelle investigazioni, nonché della Grecia, offrirono resti di abitazioni lacustri. E tanto anzi fu l’ardore con cui s’intrapresero codeste indagini, che in brevissimo spazio di tempo si diffusero persino oltre al nostro emisfero. Narra il Lenormant nel suo Manuale di storia antica nella sua più recente pubblicazione,
1 che alcuni viaggiatori de’nostri giorni scopersero interi villaggi costrutti allo stesso modo nella Nuova Guinea.
Erano questi generalmente collocati presso le sponde de’ laghi in una pianura più o meno estesa. Si componevano di parecchi letti di terra attraversati da tronchi d’albero e da pertiche rilegate per un intrecciamento di rami e cementati di argilla e sopra pali piantati in mezzo delle acque.
Questa scoperta eccitò gli studiosi a ricorrere alle antiche tradizioni serbateci dagli scrittori, per vedere se traccia alcuna si potesse trovare appo questi di cosi fatte abitazioni: e si ebbe appunto da Erodoto la descrizione di uno di questi villaggi, che esisteva fin dal suo tempo in un lago della Macedonia chiamato Prasiade. Quale saggio di tali abitazioni riferirò intero il brano, nel quale ce la descrive colle sue stesse parole recate in italiano.
Fiorì Erodoto un quattro secolo e mezzo circa innanzi l’era volgare, e narrando nel libro V la guerra che Megabazo, generale di Dario Istaspe re de’ Persiani (521-485 av. Cr.), faceva allora contro i Macedoni, riferisce, come egli non abbia potuto soggiogare una tribù de’ Peoni, popoli di quella regione, perché abitava in mezzo del detto lago. E qui tosto al capo XVI si fa a descrivere quella loro abitazione.
«Stanno, egli dice, in mezzo al lago dei tavolati sostenuti da alti pali, che sono messi in comunicazione colla terra ferma per mezzo di un solo ponte di angusto accesso. I pali sopra de’ quali sono distesi que’ tavolati, furono in antico piantati coll’intervento solenne di tutti i cittadini. Invalse poscia la consuetudine di piantarli in questo modo. Chiunque piglia moglie, e ne hanno parecchie ciascuno, pianta tre pali per ognuna di esse, tratti dal monte Orbélo. Le abitazioni poi sono così formate. Ciascheduno ha sopra quei tavolati un tugurio, nel quale vive, con porta, che si fa scendere al basso e dà accesso al lago. Legano poi i bambini loro con funicelle di giunco al piede, acciocché non abbiano imprudentemente a cadere nell’acqua».
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E di vero ogni ragione voleva, che le prime abitazioni degli uomini fossero da principio presso le acque e sulle sponde dei mari e dei laghi, dove la caccia e la pesca e i mezzi di comunicazione, per non dir nulla della difesa, dovevano essere più abbondanti e più facili; sicché venendo al particolare del nostro Lago, non è punto a maravigliare, che tracce di siffatte abitazioni si trovassero pure sulle sue sponde. Per lo più esse vennero scoperte nelle torbiere, che ho già sopra indicate, in ispezieltà in quelle di Mercurago, di Oleggio Castello e di Borgo Ticino dal lato sinistro e in quelle di Mombello e dei laghi del Varesotto dal lato destro.
Primi appo noi a scoprire, studiare e descrivere questi resti di abitazioni lacustri sono stati il Prof. Moro e Avv. Gastaldi sino dall’anno 1860, ai quali ben presto tennero dietro una schiera numerosa di dotti geologi nostrali e forestieri, che lunga cosa sarebbe volerli qui tutti annoverare. Ne accennerò i principali più sotto.
Furono in esse trovati vani oggetti lavorati in legno, vasi e frammenti di essi di terra e di pietra oliare, cuspidi silicee di freccia, ed altre armi in pietra, nonché spilloni di bronzo; armi pure in bronzo offrirono le torbiere di Oleggio Castello: e quelle sparse nel territorio di Borgo Ticino, riputate di primo ordine, a livello e in continuazione del Lago ci diedero una bella accetta in pietra verde. Altra simile ne fu poi scoperta alla sinistra dalle valle dell’Agogna nel territorio di Briga l’anno 1863.
Né meno feconde delle nostre furono, se fors’anco non le superarono, le torbiere all’opposta sponda del Lago. Quivi pure tracce manifestissime furono trovate delle varie età della pietra e del bronzo: cioè freccie, coltelli, azze, seghe di selve e di serpentino, anse, ami, pugnali di osso, avanzi di cignali e di altri animali scomparsi dalla nostra zona, e da tempo non memorabile, quali il
bos brachyceros e
hircus fossilis, e contemporaneamente spilli crinali, fibule, braccialetti di bronzo, arnesi di ferro, e monete romane di bronzo e di argento.
3 Oltre ad una cuspide di lancia in piromaca cinericia ed una sega di selce, tre canotti scavati in tronchi d albero furono scoperti dal Nob. Uomo D. Carlo Tinelli nella sua torbiera di Mombello, simili a quelli scoperti nella torbiera di Mercurago e descritti dal Gastaldi; e frammenti similmente di barche offerse la vasta torbiera tra Ispra ed Angera.
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La classificazione poi di questi diversi oggetti nelle dive, età preistoriche fissate dai geologi, cioè della
pietra (distinta in
archeolitica e
neolitica), del bronzo e del ferro, portarono di conseguenza a stabilire la presenza dell’uomo sulla faccia del nostro globo fino dall’epoca primitiva. Ma questa quando poi ebbe il suo primo incominciamento? I geologi in tale questione sono divisi. Alcuni di essi tentarono di dimostrare esistente l’uomo all’epoca terziaria.
5 Altri all’incontro sostennero, che niun fatto, dei presupposti finora, regge alla prova mentre generalmente parlando, scrive il Gastaldi, quelli sino ad ora osservati ci autorizzano soltanto a credere che l’uomo Europa sia vissuto contemporaneo ad animali che più non esistono
6 cioè nell’epoca quaternaria.
Applicando poi queste nozioni generali alle particolari degli oggetti scoperti nelle abitazioni lacustri del nostro Lago, in quali età potremmo noi dire che sia stato esso popolato? e da chi? e da qual luogo venuti? Anche qui in generale fu osservato, che l’uomo si potè servire di stromenti di pietra anche quando ne possedeva già di metallici. Ma questa risposta non basta; poiché si potrà di bel nuovo richiedere, quando abbiano avuto incominciamento tra noi queste età. Sono esse poi successive o contemporanee? ovvero successive in un luogo e contemporanee in un altro? Ovvero, anche supposte queste abitazioni lacustri in una data regione, non esistevano forse altre popolazioni in questa regione che le lacustri, o ve ne avevano altre stanziate sui colli e monti circonvicini? E non potrebbe anco essere che abitazioni lacustri e non lacustri, esistessero in quel medesimo suolo e in tempi rispettivamente anche tardi, e chiamati storici, ma de’ quali gli storici punto non si occuparono?
A tutte queste interrogazioni e ad altre che far si potrebbero, e certo maggior parte di esse, non si è potuto ancora seriamente rispondere,
7 e la ragione, oltre ad altre non poche, precipua è perché manca un punto cronologico certo dal quale prender le mosse. Laonde anche avviene che spesso si nega dalli uno ciò che si afferma dall’altro, e poi viene un terzo ed un quarto, che abbatte e distrugge l’edificio dei precedenti, senza poter poi questo stesso stabilire qualche cosa di meglio. Egli è perciò, che per avere frutti maturi da questi studi ci è d’uopo attendere ancora, e guardarsi tanto da quelli che li disprezzano, quanto da quelli, che ne precipitano le conclusioni; collo studio e colla costanza si potranno forse ottenere anche dalle abitazioni lacustri soccorsi inaspettati alla storia, ma frattanto n’è mestieri conchiudere per la nostra parte, che fuori dell’aver saputo popolato le sponde del nostro lago pure in remotissimi tempi, in tempi cioè che sogliono chiamarsi preistorici, null’altro possiamo dire, e che per avere qualche notizia più positiva e sicura è necessario consultare gli scrittori e interrogare i superstiti monumenti.
1 Manuel d’histoire ancienne de l’Orient, Paris, 1868, T. 1.
2 Sin qui Erodoto fu descritto, e tradotto, oltreché da altri molti, anche da Eugenio Desor nell’eccellente suo libro:
Les palafittes ou constructions lacustres du lac de Neufchatel, Paris, 1865, in 8.° alla pag. 8. Ma egli ed altri omisero di riferire ciò che segue immediatamente a quelle parole: « Ai cavalli e ai giumenti somministrano in cibo pesce [
segue citazione in greco che non viene qui trascritta - NdR] de’quali v’ha tanta copia, che calandosi per quella porta una corba vuota nell’acqua, si trae a breve intervallo piena di pesci, i quali sono di due specie, che chiamano papraci e tiloni [
segue citazione in greco che non viene qui trascritta - NdR]». Ho voluto recare intero questo luogo di Erodoto, perché dall’ultimo tratto di esso, testè riferito, si può argomentare facilmente, che egli anche qui, come altrove fu già notato da altri rispetto a ciò che narra dell’Egitto sulla fede di que’ sacerdoti, fu tratto in inganno, giacché non si può supporre, ch’esso abbia mai assistito a codesti pranzi di pesci, fatti in que’ tugurii da cavalli giumenti, i quali d’altronde non ben si capisce, che cosa si stessero a fare colà. Certamente egli, benché dal suo racconto possa apparire il contrario, descrisse quelle abitazioni sulla fede di alcuno che si compiacque di aggiungere al vero anche la favola: della qual favola per verità si hanno tracce anche in altri scrittori più recenti di Erodoto, come in Ennio appresso Festo compendiato da Paolo, là dove canta che lunghesso le paludi le pecore si nutrono di pesci (
propter stagna, ubi lanigerum pecus piscibus pasca). Si vegga Festo alla pag. 59 dell’edizione del Müller. – Ho poi sotto gli occhi la
Bibliografia pubblicata dal ch. Direttore del Museo di Parma, Luigi Pigorini, col titolo:
Materiaux pour l’histoire de la paléoethnologie ltalienne, Parma, 1874, e non trovo che alcuno abbia spinte sinora le sue investigazioni sul margine dell’Estuario Veneto e nelle Isole della Laguna e nel Ravennate, essendo io di avviso, che colà pure si dovrebbero trovare tracce non dubbie di abitazioni consimili. Mel persuadono le circostanze locali, e, rispetto a Ravenna, anche il breve cenno, che fa di esso Giornande scrittore del VI secolo.
Ravenna inter paludes et pelagus interque Padi fluenta uni tantum patet accessui… in modum insulae influentium aquarum redundatione concluditur (De rebus Gethicis c. XXIX).
3 Questi oggetti furono scoperti nel Lago di Varese, nel quale si poterono designare cinque diverse stazioni, la prima delle quali fu quella dell’Isolino, o Isola Camilla, come anco è chiamata dal nome della duchessa Litta Lomellini, che n’è la proprietaria. Le altre stazioni sono quelle di Bodio, di Castago, di Bardello e di Gavirate. L’ab. Ranchet ne scoperse l’anno 1872 una sesta, che si compiacque di denominare palafitta Stoppani. V. Brambilla, op. cit. p. 41.
4 Non è dello scopo del mio lavoro il ragionare troppo minutamente di tali scoperte, e perciò rimetto ben volentieri chi ne fosse vago alle opere, che io stesso in parte ho consultate, di Bartolommeo Gastaldi, di Antonio Stoppani, di Giovanni Ranchet, di Angelo Angelucci, di Leopoldo Maggi, di Cammillo Marinoni, di Emilio Cornalia, di Benesperando Quaglia, di Arturo Zanetti, e per le analoghe scoperte in Val Cuvia e in altri luoghi della provincia di Como, a quelle di Alfonso Garovaglio, di P.G. Perini e del citato Leopoldo Maggi. I lavori di questi e di altri molti furono tutti pubblicati in questi ultimi quindici anni, dal 1860 cioè al 1874, e si trovano tutti indicati nella Bibliografia sullodata del Pigorini. – Noterò inoltre che buona parte degli oggetti scoperti in queste abitazioni lacustri si conservano principalmente nei Musei di Varese, di Corno, di Milano e di Torino, e si possono visitar da chiunque. – Una informazione poi più minuta di esse scoperte, per ciò che riguarda il territorio di Varese, si potrà aver dal citato Brambilla alla pag. 11 e segg. e altrove. Nè lascierò inosservato ciò che alla pag. 29 riferisce intorno alla
trapa natans (castagna acquatica, volgarmente
laganna), la quale si trova indigena nel Lago di Varese e ne furono trovati petrificati i frutti nelle palafitte svizzere; donde trassero, che non potendo la detta pianta quivi allignare, dovette esservi stata di qua portata pel commercio, che si suppone dovessero aver tenuto tra loro antichissírnamente gli abitanti dei laghi Svizzeri e quelli dei nostri.
5 Vedi tra gli altri Leopoldo Maggi nel Resoconto del R. Istituto Lombardo, Ser. II, Vol. III, a. 1870.
6 Vedi la sua
Iconografia di alcuni oggetti di remota antichità, rinvenuti in Italia, nelle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino (Serie II, T. XXVI, a. 1871).
7 Ed è anche per questo che molti avversarono questa specie di archeologia preistorica e le negarono persino il nome di scienza. Veggasi tra gli altri i lavori
Delle armi di pietra e di alcune pretese antichità de’tempi preistorici, di Ferdinando Calori-Cesi, Bologna, 1871, in 16.° e l’
Uomo preistorico di Marcellino Venturoli, Bologna, 1872,in 8.°
- A Cura di:
- [Carlo Alessandro Pisoni]
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