CAPO II
Predicazione di Arialdo – Scomunicato dall’Arcivescovo
ripara in Roma – Ritorna in Milano e dà principio
alla riforma del Clero
Arialdo pieno di zelo per la causa di Gesù Cristo altamente deplorava nel proprio cuore i mali della sua Chiesa e meditava da gran tempo sui mezzi di porvi un riparo. Ben conosceva egli la gravità dell` assunto, nè punto ignorava, che i banditori dell`evangelio non potevano aspettarsi dal mondo, che persecuzioni e calunnie. Animato nondimeno da quello spirito di carità, che rende forti nella fede i più deboli ed eloquenti persino i più rozzi, non credette di dover più a lungo indugiare a dichiararsi a favore della Chiesa di Dio, così indegnamente lacerata da`suoi stessi figliuoli, e a difenderla pubblicamente contro di essi. Premesse pertanto calde e fervorose preghiere, senza le quali indarno ci lusinghiamo di eseguire alcuna cosa di bene, premessi lunghi digiuni e mortificazioni d`ogni maniera, mercè le quali più si distacca l’uomo da se stesso e più si unisce con Dio, diede principio, così sentendosi interiormente chiamato, alla sua santa missione.
Cominciò dunque a predicare in Varese, dove allora trovavasi l`anno 1056, contro la simonia e la vita scandalosa dì molti ecclesiastici; ma ben presto coadiuvato da altri si recò a predicare in Milano, dove più gravi essendo i disordini, più pronto ed efficace si richiedeva il rimedio. La franchezza e lo zelo dell`ardente sua carità dovea destar senza dubbio l`allarme tra quelli che dormivano nel lezzo delle loro colpe, nè voleano altramente rialzarsi da quel letargo. Tentarono questi a principio di dissuaderlo da tale predicazione, ma invano: vennero alle minacce, ma queste pure non valsero a scoraggiare l`intrepido zelatore della causa di Dío.
L`astuto Arcivescovo, veduto tornar vano ogni sforzo per far desistere Arialdo dalla sua impresa, ricorre allora ad un di quei mezzi, che insieme consigliato da Roma stessa, aveva anche seco tutta la legalità e l’apparenza della giustizia, cioè ad un concilio, ch`egli volle tenere coi suoi suffraganei in Fontaneto, borgo della diocesi di Novara invitandovi Arialdo stesso a render ragione di sè. Ma questi che ben sapeva essere anche gli altri Vescovi imbrattati della stessa pece, se ne tenno lontano. Più non vi volle, perch`egli venisse tosto colpito d`anatema. Non trovandosi allora più sicuro in Milano, risolve di recarsi fuori dalla propria in una vicina diocesi. Se non che insidiato per via nella vita da prezzolati sicari, ripara da ultimo a Roma, dove fu accolto, secondo che narrano alcuni, amorevolmente dal sommo pontefice(1) allora Stefano IX. Quivi, poi che fu esaminata ogni cosa, riceve l`ordine di tornare a Milano con due legati pontificii, Anselmo da Baggio vescovo di Lucca, ed il cardinale Ildebrando, che furono poi pontefici tutti e due. Ma infruttuose egualmente riuscirono tutte le sollecitudini anche di questi legati. Il male era troppo invecchiato, nè poteva si facilmente curarsi, sicchè paghi i legati di aver dichiarato simoniaco l`Arcivescovo di Milano, senz`altro se ne partirono. Arialdo nondimeno proseguì la sua missione in compagnia di Landolfo Cotta, nobile Milanese, già a lui da qualche tempo associato in quell`impresa. Frattanto Niccolò II, che succedette a papa Stefano IX, informato dell` esito infelice della prima legazione, inviò di nuovo a Milano l`anno 1059 Anselmo da Baggio con un altro legato, S. Pier Damiano. Questi giunse a capo di convocare in Milano un concilio, nel quale ottenne che fosse apertamente abiurato dal clero e dal popolo il Nicolaismo e la Simonia(2). Parve allora ritornata la pace. Era l’anno 1061.
Arialdo approfittò di questa pace per continuare con più calore la riforma del clero. Elesse fuori di Porta Nuova una Chiesa detta poi la Canonica, dove adunati alcuni dei più zelanti sacerdoti, introdusse tra essi una vita perfettamente comune. Sradicò molti abusi, tra i quali quello di celebrare le nozze nel tempo proibito del sacro Avvento, e fece rifiorire la pietà e la frequenza dei sacramenti pressochè abbandonati. Nel ristabilimento dell’ecclesiastica disciplina concorsero ad aiutarlo potentemente e il sommo pontefice, Alessandro II, che era quell`Anselmo da Baggio sunnominato, di fresco succeduto a Niccolò II, ed un nobile Milanese, Erlembaldo, fratello di Landolfo Cotta, l`altro compagno di Arialdo, ch’era morto poco innanzi. Reduce Erlembaldo da un viaggio in terra santa e pieno anch`esso di zelo per la causa dí Gesù Cristo, e della sua Chiesa, si condusse a Roma, dove accolto da quel pontefice e creato gonfaloniere della santa sede, fu da esso spedito a Milano in soccorso di Arialdo.
Frattanto, mentre che questi predicava in Milano contro il corrotto costume degli ecclesiastici, quel pontefice in Roma l`anno 1063, condannava di bel nuovo quell`eresia proibendo a tutti i fedeli di assistere agli offici divini celebrati da preti Nicolaiti. Con aiuti sì grandi progrediva a tal punto la riforma del clero in Milano che fu mestieri ad Arialdo di aprire ivi pure una casa, affine di potervi accogliere tutti quegli ecclesiastici, che ritraendosi dall`errore voleano segregati dal consorzio degli eretici e scomunicati imprendere un tenore nuovo di vita.
Così belli principi facevano sperare non lontani i giorni di pace e di tranquillità per la Chiesa di Milano. Non rimaneva ostinata nell`eresia che una sola persona, l`Arcivescovo. Vero è ch`esso pure aveva abiurata cogli altri quell`eresia, ma fintamente, come si vidde col fatto, proseguendo egli a fomentar di nascosto quegli stessi disordini, nè altro aspettando per levarsi apertamente la maschera, che un` occasione opportuna la quale non tardò guarì a venire.
1 Cosi scrivono alcuni, ma non sembra che a principio l’accoglienza fattagli in Roma fosse si favorevole, poichè anzi ne consta ch’egli ebbe a trovare gravi e serie difficoltà prima di essere assolto dalla scomunica infflittagli da quel conciliabolo. Perciò il Muratori avverte, che a torto scrive Arnolfo nella sua storia (III, c. XI) che Arialdo giunto in Roma Romanorum CELERITER adeptus est gratiam. notando: Lungo abest, a vero, quod Arialdus cito Romanae sedis gratiam sibi conciliaverit: quin immo talia perpessus est Romae, ut vix post multos exantlatos labores tandem ab excommunicatione contra ipsum a Synodo Fontanetana prolata dissolveretur. V. Puricelli. Vita S. Herlembaldi, P. 187 et seqq. e il Pagi, Brev. Crit. Rom. Pontif. T. 2, p. 366.
E la cosa è anche molto probabile per la ragione che l’ Arcivescovo di Milano adunò quel Sinodo per ordine dello stesso Pontefice, che con esso fosse posto un rimedio agli abusi, sebbene poi l’effetto non abbia corrisposto alle suo mire. Era quindi cosa prudente di non procedere in Roma all’assoluzione di Arialdo prima che fosse maturamente discussa ed esaminata ogni cosa.
2 Gli atti di queste legazioni sono riferiti dallo stesso S. Pier Damiano, e pubblicati con questo titolo nelle sue opere.
- A Cura di:
- [Luciano Besozzi]
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