GIO. BATT. BRANZINI
Carissimo Abate,
Buono è l’amor della patria, e, perché buono, si può rendere ancora migliore nella carità di Colui, che santificò tutti gli umani affetti. E così voi faceste, o mio dolcissimo amico, che animato appunto da questo spirito, senza muovere un passo, per così dire, oltre ai limiti, ne’quali vi ha posto la Provvidenza, vi adoperaste mai sempre in prò della vostra patria, non cessando in qualunque tempo della vostra vita dallo spendere voi stesso e le cose vostre, affine di promuoverne ognorapiù il bene sotto tutti gli aspetti, e con ogni mezzo possibile.
Testimonio oculare io medesimo di tante vostre beneficenze, e di più, destinato dalla divina Provvidenza a coadiuvare in qualche parte questa stessa vostra patria nel bene spirituale, e reso per ciò a Voi ed a lei più vicino, quasi socio e compagno vostro, sebbene a lunga distanza, in un medesimo officio, rivolsi ben tosto l’animo a rintracciare nei ritagli di tempo, liberi dalle altre mie occupazioni, le memorie di questa vostra terra natale. Né queste investigazioni tornarono infruttuose, ve lo confesso, mercè la cortesia di non pochi, che mi furono larghi a tal uopo dei loro lumi, additandomi o somministrandomi i fonti, ai quali potessi attignerle. Sicché omai pervenuto a formare un volumetto di tutte quelle notizie che ho potuto raccogliere, qua e là disperse in varie opere intorno all’antico borgo di Stresa, sì riguardo alle mutazioni di signorie, cui andò soggetto nei molti secoli di sua esistenza, che riguardo all’interna sua condizione non meno civile, che religiosa, godo ora di potervelo offerire in testimonianza di quell’affetto che nutro per voi e per la medesima vostra patria, persuaso che se a tutt’altri potrà parer troppo tenue una tale offerta, non sarà certamente per voi, né pei vostri compatriotti. Perocché siccome fu mai sempre stimata cosa vituperevole l’essere ignaro e quasi straniero nella propria patria, così fu giudicata cosa per lo contrario assai decorosa e dolce in uno e gioconda, l’essere appieno istruiti delle vicende d’ogni tempo della medesima, fatti quasi coetanei e per poco partecipi, anche dopo lunga serie di anni, dei patimenti e in un delle gioie degli avi nostri.
Che se a mantener ferma e viva la memoria di essi nell’animo de’ più tardi nepoti, non valgono sempre le tradizioni de’ maggiori, le quali col volgere dei secoli, se al tutto non periscono, monche però e bene spesso guaste e imperfette a quelli pervengono, come veggiam tutto giorno; la presente operetta servirà almeno a preservare dalle ulteriori ingiurie dei tempi que’ pochi avanzi che ci rimasero, a testimonio non meno di grato animo per quelli che trapassarono, che a documento perenne per quelli dei di futuri.
Ai quali avanzi, acciò non tornino troppo sterili e disadorni, e perciò stesso meno graditi, ho creduto necessario di premettere qualche altra breve notizia sui luoghi circonvicini, come anco di accompagnarli, per quanto mel permetteranno i limiti entro ai quali ho voluto restringermi, di tutte quelle circostanze, che servono a riunirli come in un solo corpo; nel che spero altresì di ben meritare di non poche terre e paesi del nostro Vergante, le cui antiche memorie quasi interamente andarono in dimenticanza.
Finalmente a comune edificazione di tutti ho pensato di aggiungere a questo libretto le vite dei quattro principali Santi e Beati del nostro Lago Maggiore, conchiudendo con un breve cenno di altri venerabili personaggi, che sortirono i loro natali sulle sponde del medesimo, o le illustrarono colla santità della loro vita.
Eccovi, o mio carissimo, il contenuto del volumetto, che con piacere e di cuore a Voi dedico e consacro. Accoglietelo benignamente quale è, e siate persuaso, che io mi terrò pago abbastanza del mio lavoro se avrò potuto ottenere, che di esso come di un dono vostro se ne possa confessare a Voi debitrice la vostra patria.
Continuate ad amare chi già vi ama e si pregia di essere
Stresa il 5 novembre 1854.
Vostro affezionatissimo Amico
SAC. VINCENZO DE-VIT
(1) Morì l`ab. Branzini il 26 ottobre dell`anno 1858 e fu tumulato nel sepolcro dei Sacerdoti nel Cimitero comune: è però a dolere, che niuna lapide ivi ricordi ai superstiti questo insigne benefattore della sua patria.