ECCO UNO DEI ”FRUTTI” DI PAGINE FRA MONTI E LAGO
editoriale di
Giorgio Borghini
Opera Pia Uccelli, Cannobio
Nell`incontro del 13 Marzo che ha chiuso la rassegna di quest`anno, ”Architettura rurale nell`Alto Verbano”, è risultato particolarmente evidente il riavvicinamento degli anziani a temi, luoghi e risorse appartenenti alla propria storia di vita. Riflettere sul modo in cui è sorto e si è sviluppato un paese, sull`intelligenza antica di chi decideva di costruire o di non costruire in base ai problemi e alle risorse naturali, è stato davvero interessante. Gli anziani hanno trovato un modo piacevole di ripercorrere i motivi profondi e i criteri che, fino a settant`anni fa, regolavano l`intervento dell`uomo sulla natura. Attraverso molte immagini d`epoca è stato possibile individuare i segni ancora più antichi dell`antropizzazione del territorio, a partire dai terrazzamenti di origine medievale, il tracciato dell`argine del Cannobino, fino alle carrarecce e i sentieri lastricati. Muri a secco che ci parlano ancora oggi di saggezza, esperienza e cultura; agglomerati di edifici con forme coerenti e dimensioni caratteristiche, segni di un gusto che si sapeva armonizzare perfettamente con il contesto naturale; finestre, balconi e portali che ancora oggi suscitano stupore nell`osservatore attento. La relazione di Alessandro Pisoni e Valerio Cirio è andata a toccare anche i luoghi del lavoro, che erano tendenzialmente separati dall`abitato centrale. Si è fatto cenno ad alcuni lavori e ad alcune colture importanti, in modo particolare quella della castagna, l`ultimo ”frutto” di Pagine fra monti e lago.
Una domanda del relatore agli ospiti: quali tipi di castagne venivano coltivate in questo territorio? Elvira e Iole si confrontano e dopo un attimo la risposta: la
verdona e la
magretta. Il dato è interessante, tanto che il tema è stato ripreso qualche giorno dopo in un incontro di ”Sviluppo relazionale” con gli ospiti. Gemma, Maria, Elvira, Alighiero, Luisa, Marina, Antonietta, Lucia, Liliana, Siro, Battista e Andrea, tutti insieme nella ricerca di ricordi legati alle castagne. Le prime castagne a maturare e a cadere erano del tipo
tampurif (tamporive). Ecco le
rotondelle, tonde e dolci. Poi le
magrette, piuttosto piccole, simili alle
rotondelle, di forma arrotondata ma un po` più allungata e piatta; ideali per farne caldarroste. Altrettanto piccole ma lucide e più dolci di gusto le
vioe. Ultime a cadere dai rami le
verdone. Grosse, con la buccia lucida, simili per forma alle selvatiche, le
verdone si conservavano più a lungo. Infine i
marroni, le castagne più grosse, scure, con qualche striatura, che presentano una specie di peluria sulla buccia; i
marroni sono molto diffusi nel cuneese e, data la dimensione, sono ideali da fare bollite. Queste erano le castagne buone, frutto di innesti operati da mani esperte sugli alberi selvatici: si univano due o tre rametti di qualità su di un ramo tagliato, si applicava un po` di mastice o della cenere, infine si fasciava. Ultime, le castagne non innestate, le
selvatiche: non se ne trovavano molte perché i boschi venivano regolarmente tagliati e puliti. Con il legno di castagno, molto resistente nel tempo, si costruivano le orditure dei tetti delle baite e delle case. Il taglio dei castagni prevedeva che venissero lasciate alcune piante intatte, le cosiddette
madricine. Le castagne prodotte dalle
madricine erano belle e lucide poiché crescevano ricevendo più luce e calore. Le castagne che, all`interno del riccio, rimangono schiacciate e piatte, i
bagai, o si raccoglievano per i maiali o si lasciavano per terra. Qualcuno teneva buoni i ricci, da bruciare nella stufa: garantito che generavano un grande calore. Lucia ricorda di avere raccolto castagne da ben quarantadue alberi buoni che aveva ai
Pianoni. Quando a casa sua facevano le caldarroste sul camino, capitava di sentire il botto di qualche castagna accidentalmente non tagliata; il fatto equivaleva a una castagna in meno per tutti, motivo di uno scapaccione alla povera Lucia. Luisa ricorda la marmellata di castagne che preparava sua sorella in tempo di guerra. Maria ricorda invece che molto del raccolto locale veniva portato in vendita al mercato di Luino. Siro racconta del mulino che c`era a metà strada scendendo da Cursolo verso Orasso. Un mulino che, tra l`altro, produceva molta farina di castagne. Siro e amici, da bambini, si infilavano nel mulino passando di nascosto da uno spazio vuoto del sottotetto. Riuscivano a infilarsi nelle tasche dei pantaloni qualche manciata di farina. ”Eh, sai, era la fame…! E quella la chiamavamo la
farina Martina…”. E come dargli torto? Ognuno poi ricorda le
graa, le caratteristiche costruzioni che uno o più proprietari utilizzavano per l`essiccazione - quindi la conservazione - delle castagne. Una graticola fitta in alto, sulla quale venivano collocate le castagne, che regolarmente dovevano essere rigirate; sotto, a terra, un piccolo fuoco, acceso giorno e notte, per una lenta essiccazione che durava settimane e settimane.