STRUMENTI CULTURALI

del Magazzeno Storico Verbanese

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Elenchi di funzionari e cariche pubbliche in «ISOLA BELLA»

Denominazione:
Isola Bella
Breve Abstract:
Breve storia della nascita ed evoluzione del palazzo e dei giardini borromei
Abstract:
Fino a circa il 1630 l’Isola Bella, certamente la più nota e visitata tra le Isole Borromee, era solo un lembo di terra e roccia abitata da pescatori, sito accanto alla sponda verbanese del Vergante. Veniva allora chiamata “Isola Inferiore” o “Ixella de subtus” (per contrapposizione alla vicina Isola detta “Superiore” o “de supra”, oggi conosciuta come “dei Pescatori”, vista la secolare tradizionale professione degli isolani).

A partire dal 1439-1445, con Arona, Vitaliano I Borromeo ed i suoi successori ricevettero in feudo cospicue fasce rivierasche del Lago Maggiore. Le Isole Borromee -pur rientrando nella giurisdizione amministrativa e giudiziaria della famiglia- non facevano parte dei beni allodiali ad essa pertinenti. Fu Lancillotto Borromeo (1473-1512) il primo in famiglia a soggiacere al fascino delle isole. Le sue acquisizioni avvennero sull’Isola di S. Vittore (l`attuale Isola Madre), ma si ritiene che il nobile non escludesse di comperare anche alcuni fondi terrieri dell’Isola Inferiore. Ad una vera e propria campagna di acquisizioni si dedicò però con decisione il conte Carlo III Borromeo che, dopo essersi aggiudicato un sufficiente patrimonio immobiliare, diede il via (seconda metà del 1630) ai primi interventi concreti. Essi ebbero la supervisione dell`architetto Angelo Crivelli, coadiuvato dal fidato capomastro Bartolomeo Scarione. L’idea del conte era per certi versi semplice, per altri complessa: infatti egli pensò di costruire un palazzo dalle linee severe (tanto da rammentare un castello, addirittura dotato di torrette d’angolo e di una piccola piazza d’armi) nel sito dove oggi sorge il palazzo Borromeo; a questo edificio si sarebbe dovuto accompagnare un altro, più contenuto e di linee eleganti (benché forse un po’ rigide), che doveva sorgere, vero “casino di delizie”, nel punto più alto dell’isola. Il Casino doveva integrarsi idealmente con le terrazze dei giardini, che vennero immaginate dal conte e dal suo architetto sin dalle prime mosse del progetto (1630-1633). A quella complessa fabbrica di edifici e giardini il conte volle dare una denominazione che ebbe fortuna per un secolo circa: quella di “Isabella”, intesa ad onorare nelle cose il nome della moglie Isabella D’Adda; nome che l’uso comune da “isola Isabella” con fortunata eufonia ridusse, ancora in pieno ‘600, a “Isola Bella”.

I veri artefici della trasformazione dell’isola furono due dei figli di Carlo: Vitaliano VI (1620-1690) ed il card. Giberto III (1615 – 1672). Essi, avvalendosi dell’opera di insigni architetti e sulla scorta di quanto osservato ed apprezzato dal cardinale a Roma nei palazzi e giardini delle potenti famiglie nobili romane, migliorarono e innovarono il primitivo progetto del Crivelli. In particolare, nulla lasciò intentato il conte Vitaliano per la sua isola, di cui il nobile era innamorato al punto di parlarne come della “mia dama”; abbandonata l’idea del Casino di Delizie, palazzo e giardini vennero concepiti come un’unica entità di grande impatto scenografico che trasformò l’isola in un immaginario vascello con la villa edificata nella parte più stretta a settentrione (il cosiddetto “ponte di prua”), mentre al giardino venne riservata la zona meridionale assai più ampia (il “ponte di poppa”).

Nella realizzazione di questa visione si succedettero, tra metà Seicento ed il pieno Ottocento, architetti di fama quali, Gio. Angelo Crivelli, Jacopo Filippo Tiberino, Francesco Maria Richini, Francesco Castelli, Ambrogio Biffi, Filippo Cagnola, Carlo Fontana o, più in qua nei secoli, Giulio Galliori, Cosimo Morelli, Giuseppe Zanoia, Luigi Canonica e altri; il cantiere non cessò, nonostante periodi di inattività, sino a ridosso dei nostri giorni, quando il principe Vitaliano X Borromeo Arese (1892-1982) diede mano alla meritoria opera di completamento del molo alberato (la cosiddetta “Coda”), che si protende verso l’Isola dei Pescatori, e soprattutto del salone grande (1948-1952), secondo il progetto mai realizzato di Vitaliano VI.

Proprio la sostanziale unità della costruzione sorprende, specie se si pensa che essa ha preso l’attuale fisionomia durante tre secoli di lavori edilizi. Le facciate occidentale e settentrionale, ispirate al barocco lombardo (l’ala sud detta “Quarto nuovo” venne aggiunta nella seconda metà dell’Ottocento), si contrappongono alla facciata orientale, animata dal vivace alternarsi di pietre chiare e scure. Le sorprese e la varietà non mancano neppure all’interno, dove nel susseguirsi di sale arredate con oggetti artistici di gran pregio si snoda un percorso musicale ricco e affascinante.

La Sala delle armi conserva armi e armature antiche (secoli XVII-XVIII), taluna proveniente dalla rocca di Arona, che venne distrutta a colpi di mine (1801) secondo quanto previsto accordi internazionali tra il Bonaparte e l’imperatore d’Austria. Dall’atrio, che nel progetto originario doveva essere un ingresso secondario, ed è invece finito per diventare quello principale, il visitatore sale un monumentale scalone con balaustra in macchia vecchia; alle pareti stemmi a stucco propri della famiglia Borromeo e delle dinastie imparentatesi con loro.

Dalla Sala delle medaglie, così chiamata per la presenza di dieci medaglioni in stucco dorato scolpiti con Episodi della vita di San Carlo Borromeo del pavese Siro Zanelli (m. 1724), si passa al Salone grande, destinato ad ambiente di rappresentanza e quindi alla simbolica celebrazione della famiglia. Ultimato soltanto nel dopoguerra per volere del principe Vitaliano X, il salone conserva due statue neoclassiche di Pompeo Marchesi, otto busti dello Zanelli ed un modellino dell’Isola Bella, costruito nel 1812 da un cameriere della nobile casa Borromeo, tale Nicola Mazzoli, che avendolo costruito e «perfezionato» durante molti anni, lo esponeva illuminato a Milano, «nella casa situata nella contrada dei Tre Re al n. 4093, in una sala appositamente addobbata», previo pagamento d’un modesto biglietto d’ingresso.

La terza Sala detta della Musica, riveste soprattutto un interesse storico: qui si svolse, dall’11 al 14 aprile 1935, la Conferenza di Stresa tra Mussolini, Laval e Mac Donald che avrebbe dovuto garantire la pace europea. Sul fondo della sala si intravvedono tre tastiere di grande pregio: sono un clavicembalo, una spinetta e un fortepiano, datanti tra la fine del ‘600 fino al pieno ‘800. Sopra i due magnifici sécretaires fiorentini sorretti da sirene e tritoni (fine ‘600), alle pareti fan mostra di sè tele con paesaggi del fiammingo Pieter Mulier il Giovane detto il Tempesta (1637 c.-1701). Il Tempesta fu pittore ammirato e protetto da Vitaliano VI, che lo avrebbe voluto suo ospite nell’isola, tanto da preparargli un “quartiere” (un piccolo appartamento), peraltro mai utilizzato dall’artista. Infatti il Tempesta, dopo aver illuso il suo mecenate che lo fece addirittura liberare dal carcere di Genova dove stava rinchiuso a scontare la pena per l’omicidio della moglie, si trasferì a Milano, dove lavorò per il Borromeo; pare però che il conte Vitaliano dovesse comunque pagare profumatamente per i quadri che il suo protetto, dimentico dell’aiuto del nobile, eseguiva per lui.

Nella Sala di Napoleone, dove il Bonaparte soggiornò accompagnato da Giuseppina Beauharnais (1797), alla ricchezza dell’arredo improntato allo stile Impero e Direttorio fanno da sfondo un’Estasi di San Francesco di Giovanni Battista Crespi detto il Cerano (1575-1632), un Sant’Onofrio di Francesco Cairo (1607-1675) e un Liutista attribuito alla scuola del Veronese (sec. XVI). Superata la Biblioteca, che raccoglie rare edizioni letterarie e scientifiche, si incontra la sala dedicata al pittore napoletano Luca Giordano (1632-1705), presente con tre grandi tele a soggetto mitologico, il Ritratto di Carlo IV Borromeo e una Figura allegorica, accanto a due paesaggi attribuiti a Salvator Rosa (1615-1673). Splendidi gli stipi in legno e marmo decorati dal francese Paul Narcisse Salières (sec. XIX) e, nella vetrina, la preziosa sella da parata in avorio intagliato, variamente considerata opera della bottega veneziana degli Embriachi (fine ‘300), o, dalle più recenti attribuzioni, di scuola alto-atesina dell’inizio del XV secolo. La Sala del lavoro con ritratti della famiglia eseguiti da Cesare Tallone (1853-1919) precede quella dedicata al pittore toscano Francesco Zuccarelli (1702-1788) e la cosiddetta Sala della conversazione con lo splendido tavolino in marmo intarsiato. Notevoli anche le Rovine di Giovanni Paolo Pannini (1691-1788) e i busti del ticinese Vincenzo Vela (1820-1891). Un immenso lampadario di Boemia, finti marmi e stucchi neoclassici, insieme alle sculture di Francesco Carabelli (1737-1797) rievocano antichi fasti nel Salone da ballo tra i più eleganti e raffinati del palazzo.

Affascinanti le grotte, con il rivestimento in ciotoli chiari e scuri (pazientemente raccolti sulle sponde del Verbano da manovali e popolani), tufo e arenarie alternate a formare motivi marini; notevoli in esse la “Venere dormiente”, scultura di Gaetano Monti (discepolo di Antonio Canova), altri busti rappresentanti un Eroe (Achille?), il conte Giberto V Borromeo Arese, oltre a reperti archeologici della civiltà di Golasecca, un accurato modellino di “Elisabetta”, l’armo borromeo che vinse varie regate durante le gare di voga di Stresa del 1894; nelle sale successive sono conservate una collezione di bardature da parata per cavalli ed un modello in legno e gesso della rocca di Arona, oltre a pezzi d’arte cinesi e altri oggetti: si voleva ricreare, in quelle sale, una sorta di Wunderammer, un museo di curiosità e rarità dal gusto e dalla poliedricità quasi kircheriani.

Risalendo al piano nobile, attraverso il Corridoio degli specchi, l’Anticamera con dipinti della scuola di Giovanni Battista Tiepolo (1696-1770), del Cerano ed un Cristo coronato di spine di Bernardino Zenale (datato 1503), tramite l’Anticappella (dove è esposto un ritratto al naturale di Margherita dei Medici di Marignano con i tre figli (tra cui –a destra, in secondo piano– san Carlo) si giunge alla spettacolare Galleria degli arazzi che conserva sei imponenti arazzi di produzione fiamminga raffiguranti scene di lotta tra animali fantastici (sec. XVI); notevole è pure la collezione di dipinti tra i quali spiccano opere di Camillo e Giulio Cesare Procaccini, Francesco Cairo, Bernardino Campi, Francesco Albani e Salomon Adler.

La quadreria e gli arazzi si accommiatano dal visitatore, consegnandolo al giardino, meraviglioso soprattutto nei giorni di sole, ma affascinante e melanconicamente dolce anche nelle giornate piovose.

Splendido e grandioso esempio di giardino barocco all’italiana, esso è articolato in dieci terrazze digradanti, abbellito da vasche, fontane, prospettive architettoniche e una moltitudine di statue, quasi tutte scolpite nella seconda metà del Seicento da Carlo Simonetta e rappresentanti personificazioni di fiumi, stagioni, venti; tra esse si aggirano in libertà uccelli e pavoni dall’incantevole piumaggio. Le varie parti dei giardini, per antica consuetudine, hanno tutte un nome che le lega alla storia dei Borromeo e dell’Isola stessa: il Pocobasta, il giardino Triangolo, la selva Giulia, il bosco Elisa, il giardino di San Rocco, le Grotte dei Pipistrelli, il prato della Tromba, il teatro d’Ercole, il teatro Massimo, il teatro di Diana. Molti di questi “ambienti” sono delimitati da muraglie e balaustre in cui ancor oggi si intuiscono i punti da cui avrebbero dovuto sgorgare zampilli d’acqua, per realizzare fontane, cascatelle, scherzi e giochi. Per costruire tali ornamenti idraulici vennero mobilitati fontanari esperti, che prestarono il proprio servizio anche per le opere sotterranee di irrigazione dei giardini; tra essi si ritrovano i nomi di professionisti attivi anche nella villa Visconti Borromeo Litta di Lainate, famosa per i suoi giochi d’acque da poco splendidamente restaurati.

Nei giardini dell’Isola Bella vari alberi e arbusti sono stati educati secondo i dettami dell’arte topiaria; in capaci vasi di terracotta, marcati dell’impresa borromea dei “tre cerchi”, dimorano piante di agrumi (cedrati, limoni, bergamotti), un tempo coltivati intensivamente nell’isola per ricavarne essenze profumate; alle colonne e agli obelischi si arrampicano esemplari di rose antiche, taluna di sicura rarità; nelle vasche vegetano la Nelumbo nucifera (il fior di loto o loto sacro), variopinte ninfee e papiri. Molte specie vegetali sono di provenienza esotica: Gunnerae manicatae dalle ampie foglie, l’albero della canfora, del tamarindo, del caffè e del sapone, il banano, i fiori di loto e il papiro egiziano, il tutto in un contorno rigoglioso di camelie, rododendri, oleandri, olee fragranti, azalee e orchidee. Più domestiche essenze arboree, quali possono essere le querce da sughero, ombreggiano altre zone dei giardini, in cui il turista può trovare piacevole occasione di sosta, durante le quali lo sguardo si posa volentieri sullo spettacolo del Cinnamomum, della Canphora, dell`Abies concolor, della Quillaia saponaria e di numerose varietà di magnolie, rigogliose nel favorevole clima dell’Isola Bella.



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Autore:
   [Gioacchino Civelli]

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